Trump e MAGA

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Una volta in America esistevano due grandi partiti: il GOP e i DEM. Il rrimo era il Great Old Party, il Partito repubblicano – noi diremmo la “destra” -, il secondo era il Partito democratico, che potremmo definire la “sinistra”. Adesso il primo, il GOP, esiste solo sulla carta: è stato cannibalizzato e profondamente modificato, addirittura stravolto, da Donald Trump, che lo ha trasformato nel “suo” movimento, un movimento personale che ricorda molto Forza Italia, fondato da Silvio Berlusconi. A tal riguardo mi è sorta una riflessione: una volta i partiti politici avevano dei nomi che indicavano con chiarezza la loro matrice ideologica, alla quale gli elettori, i cittadini in generale, potevano accedere, se lo avessero voluto, documentandosi. Ricordo il PLI (Partito Liberale Italiano), il PCI (Partito Comunista Italiano), la DC (Democrazia Cristiana), il PSI (Partito Socialista Italiano), l’MSI (Movimento Sociale Italiano, poi modificato in Alleanza Nazionale), il PSDI (Partito Socialista Democratico Italiano), il PNF (Partito Nazionale Fascista), il PRI (Partito Repubblicano Italiano) e tanti altri. Adesso i nomi dei partiti sono profondamente cambiati e non hanno alcun riferimento apparente all’ideologia che li anima. Per esempio, Forza Italia sembra più l’esortazione dei tifosi allo stadio che il nome di un programma politico. Poi c’è Fratelli d’Italia, che è assolutamente anodino e ricorda l’inno nazionale italiano, che può essere senza alcun dubbio attribuito a qualunque partito; il Movimento Cinque Stelle sembra la pubblicità di un albergo di lusso (per l’appunto a cinque stelle); Italia Viva (sarebbe strano che un partito si chiamasse Italia Morta, è quasi una tautologia). Azione è un partito la cui denominazione non è altro che lo stimolo al movimento, che caratterizza ogni formazione politica. Per non tediare il lettore, ci fermiamo qui. Ma ciò che abbiamo presentato è un quadro piuttosto desolante dello stato della nostra democrazia, caratterizzata da fondatori che prima facevano gli intrattenitori sulle navi da crociera, o che facevano ridere il pubblico televisivo con gag che lasciavano il tempo che trovavano, o che si battevano per ricostituire Leghe che rimandavano a un passato medioevale e separatista. Chi legge, sa di cosa parlo.

Ritornando ai due principali partiti statunitensi, i partiti della “più grande democrazia del mondo occidentale”, pensiamo che, se potesse, Alexis De Tocqueville, vedendo lo stato in cui sono ridotti, si rivolterebbe nella tomba. Quando lui scrisse il suo indimenticabile La democrazia in America, nel 1830, era presidente degli Stati Uniti Andrew Jackson, democratico, e De Tocqueville, reduce da un lungo viaggio in quel Paese per conoscerlo più da vicino, ne era ritornato entusiasta. Leggere De Tocqueville, oggi, è certamente un ausilio indispensabile per aiutarci a capire l’America dei nostri giorni, l’America di Trump. De Tocqueville esordisce affermando: «Se c’è al mondo un solo paese che possa apprezzare nel suo giusto valore il dogma della sovranità popolare, studiarlo nella sua applicazione alla vita sociale e giudicarne i vantaggi e i pericoli, questo paese è certamente l’America». Nel suo saggio De Tocqueville fa spesso paragoni con ciò che accadeva in Europa, dove le disuguaglianze fra le classi sociali erano la caratteristica dei governi del tempo, e dove i ricchi erano considerati esenti dalle leggi che, invece, si abbattevano sulla massa povera della popolazione. Per De Tocqueville, invece: «In America tuttavia sono i poveri che fanno la legge, e ad essi abitualmente si riservano i vantaggi più grandi». Insomma, l’America era il coronamento del sogno di tutti i liberali del mondo: un paese in cui era garantita l’uguaglianza a tutti i suoi cittadini, e dove non contava il censo, la ricchezza, la cultura o altro. L’autore, però, aveva trascurato alcuni aspetti essenziali di quella “democrazia” che ne inficiavano profondamente gli elogi attribuitele. Quando fu scritto il libro di De Tocqueville, come prima abbiamo detto, era presidente degli Stati Uniti il democratico Andrew Jackson, convinto sostenitore della schiavitù e autore di uno sterminio delle popolazioni indigene, i cosiddetti “indiani”, che non trova riscontro nella storia. Il “paese della libertà” (dei soli bianchi) in molti dei suoi Stati aveva una legislazione che era interamente basata sulla Bibbia, quindi su norme e regole vecchie di duemila anni. D’altra parte è ancora in questo retroterra bigotto e oscurantista che Trump e la sua “ideologia” affondano le loro radici. Difatti, tutto ciò che lui ha detto dopo il fallito attentato induce a pensare senza ombra di dubbio che egli si ritiene oggetto di un’investitura messianica, che dimostrerebbe che dietro la sua rielezione c’è un piano di Dio per salvare l’America. E di questo è fortemente convinto il popolo del movimento MAGA (Make America Great Again), che davvero considera Trump come l’unto del Signore, incaricato di realizzare il suo progetto terreno.

Radici bigotte e oscurantiste che risalgono ai “Padri Pellegrini”, la cui convinzione nel colonizzare il nuovo territorio era così espressa: «Ho sempre creduto che fosse sacro dovere per noi, i cui padri hanno ricevuto segni così numerosi e memorabili della bontà divina nella fondazione di questa colonia, perpetrarne il ricordo». Parole di Nathaniel Morton, storico del tempo, citate da De Tocqueville, il quale fa notare come, nelle prime colonie, la legge che veniva applicata era quella basata testualmente sul Deuteronomio, l’Esodo e il Levitico. Una d’esse, infatti, così recitava: “Chiunque adorerà un altro Dio che il Signore, sarà messo a morte”. E De Tocqueville continua: «La bestemmia, la stregoneria, l’adulterio, lo stupro, sono puniti con la morte; l’oltraggio commesso da un figlio contro i genitori è colpito con la stessa pena». Alla luce di questo, e di tantissimo altro contenuto nel saggio storico che stiamo citando ripetutamente, sorge la domanda: cosa vuol dire esattamente lo slogan “Make America Great Again” (MAGA)? Di quale “grande” America parla Trump? Dell’America della colonizzazione selvaggia dei cosiddetti pionieri? Dell’America schiavista, che ancor oggi discrimina tutto ciò che non è Wasp (White Anglo-Saxon Protestant)? L’America che, come abbiamo detto, precedette abbondantemente Hitler nel genocidio dei nativi? L’America che non ha mai smesso di fare guerre dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale? L’America nella quale Trump vorrebbe che si proibisse ai trans di competere nello sport con le donne biologiche? Ciò che lui intende realizzare è un programma da brivido, che comprende la lotta senza quartiere agli immigrati illegali e ai prezzi alti, ed è per questo che il Tycoon chiede agli americani di recarsi in massa alle urne per poter guidare una nazione che vuole imporre a chiunque nel mondo, dalla Cina all’Unione Europea, i propri interessi economici al fine di restituire al popolo dei diseredati «ciò che le élite e i nemici ci hanno tolto». «L’unto del Signore», il fervente cristiano che Dio guida e protegge, ha come uno dei suoi obiettivi principali la deportazione di massa dei circa dieci milioni di immigrati illegali, e come dice il trumpiano governatore del Texas: «Bisogna triplicare il filo spinato lungo la frontiera con il Messico». Alle sue parole fa seguito Kari Lake, candidata senatrice dell’Arizona: «Biden apre il confine, li fa entrare perché vuole farli votare per strapparci l’America, per questo vi dico, dobbiamo essere MAGA ogni giorno, ci serve l’energia MAGA». Le fa eco un’altra fan dell’«unto», Kristi Noem, che afferma di «avere Dio nel cuore e vogliamo Trump alla Casa Bianca, per il recupero dei valori di Dio». Trump si è mai chiesto se il dio che lo protegge è d’accordo con il suo programma? Anche perché un altro “unto del Signore”, in ebraico Messia, sembrava che la pensasse diversamente da lui quando disse in uno dei suoi insegnamenti più conosciuti: «ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere … Ero pellegrino e mi ospitaste … In verità vi dico: Tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me» (Matt. 25:35-41). È evidente che la versione della Bibbia che usa Trump è la Versione riveduta secondo Trump, molto apprezzata anche dal nostro Salvini che, crocifisso al collo e rosario in mano, vorrebbe deportare in campi di “raccolta” tutti i poveri migranti che chiedono asilo e pane.

L’America è un paese problematico, e con Trump lo sarà molto di più e, come abbiamo già detto in un’altra occasione, dobbiamo preoccuparcene anche noi europei, perché «Il presidente degli Stati Uniti influenza tutti gli abitanti della Terra» (Naomi Klein, Shock Politics). Ed ecco il motivo per cui ce ne stiamo occupando con maggiore frequenza di quanto ci piacerebbe, anche perché, se ai tempi dei Padri Pellegrini erano necessari diversi mesi di viaggio attraverso l’Atlantico per raggiungere il nuovo continente, ora siamo a poche ore d’aereo e a pochi minuti di missile. Trump è pericoloso perché una parte non indifferente del popolo americano lo è, in particolare tanti appartenenti al Partito repubblicano. Peggy Nolan, storica autrice dei grandi discorsi del presidente conservatore Ronald Reagan, così scrive sulle pagine del Wall Street Journal: «Siamo a un cambio epocale. Il partito repubblicano si fa populista, nazionalista, si schiera con la classe operaia e i lavoratori, flirta con i sindacati … e non ci saranno passi indietro» e così il GOP è finito per far posto al movimento nazional-populista che Trump ha fondato.

Sembra di assistere a un triste viale del tramonto della stella repubblicana. Così infatti vede ciò che sta accadendo Jonathan Franzen, autore dell’indimenticabile Correzioni, che ci dice: «La violenza non è una novità negli Stati Uniti, colonizzati da europei in fuga dalle persecuzioni, forgiati dalla Rivoluzione contro l’impero britannico, e riformati loro malgrado da una Guerra Civile, che resta il conflitto più sanguinoso mai combattuto dagli americani. E poi quattro presidenti ammazzati, Martin Luther King e Robert Kennedy, le rivolte per i diritti civili, gli spari contro Reagan»; poi aggiunge: «Però è anche vero che la sensazione di incomunicabilità, di insanabile frattura politica, culturale e persino geografica, sembra oggi così profonda da far dubitare sulla capacità della democrazia più antica del mondo moderno di sopravvivere intatta». L’analisi di Franzen è molto più ampia e vale la pena di leggere la sua intervista su la Repubblica del 20 luglio scorso, nella quale esprime tutto il suo profondo rammarico, che conclude dicendo: «Servirebbe, per concludere questa riflessione, il tentativo di offrire qualche rimedio, uno spiraglio, una strada. Pochi intravedono la soluzione, però, a parte la certezza quasi messianica di pensare che imporre agli altri la propria volontà salvi l’America dalla dissoluzione». Parole molto amare da parte di chi ama il proprio Paese e lo vede precipitare nell’abisso. Ma, come abbiamo scritto di recente, contro il fanatismo delle masse, aizzate e sobillate ad hoc, non c’è rimedio che tenga. E sono queste masse, secondo le quali nulla avviene per caso e per le quali Dio ha salvato Trump affinché Trump possa salvare la nazione, che decideranno l’esito del voto. Se i delegati si fasciano l’orecchio destro – quello ferito di Trump – è per testimoniare che condividono anche il dolore fisico del leader. E, come afferma con decisione Nikki Haley, rappresentante repubblicana all’ONU degli USA: «Putin ha invaso la Crimea quando c’era Obama e l’Ucraina con Biden, ma durante i quattro anni di Trump non si è mosso perché aveva paura di lui». Un altro trumpiano di ferro, Mike Johnson, Speaker della Camera dei Rappresentanti promette: «Con noi i tagli fiscali diverranno permanenti mentre Biden e Harris pianificano miliardi di nuove tasse».

Che sia vero o meno poco importa al popolo di Trump il cui entusiasmo cavalca i tre no a inflazione, aborto ed immigrati illegali, promettendo all’America di «spegnere le fiamme del mondo» tornando ad «essere potente». È un messaggio che fonde sovranismo, isolazionismo, rabbia per la povertà e volontà di riuscire a invertire il corso della Storia, ridimensionando i diritti, dall’aborto a quelli di genere. È questa l’America di Trump che punta a tornare alla Casa Bianca, senza fare mai un cenno all’assalto del 6 gennaio 2021 contro Capitol Hill, ai numerosi guai giudiziari del suo leader ed alle ferite inferte ai principi della Costituzione. Il popolo MAGA segue e guarda solo al proprio condottiero, e noi europei – italiani e tedeschi in particolare – dovremmo saper bene ciò che questo significa e può comportare. Ed è con questo temibile avversario che i democratici, e non solo quelli americani, devono fare i conti. E questo anche in vista del fatto che con Trump e il suo MAGA e contro la UE si è schierata la nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che fiuta l’aria e si schiera in anticipo dalla parte del vincitore, infischiandosene del suo Paese, sempre più isolato in Europa. Amen.

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