Una vittima, due funerali

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La vittima per la quale viene celebrato il primo funerale è Satnam Singh, il bracciante indiano morto atrocemente qualche settimana fa mentre lavorava in un campo agricolo del Lazio. Il secondo funerale, contemporaneo al primo, è quello della nostra Democrazia che, assieme alla tragedia rappresentata da quella morte, ha rappresentato, plasticamente, qual è in Italia il rispetto per la vita e il rispetto della Costituzione repubblicana (artt. 2,3,4).

Ancora una volta chi è responsabile di questo scempio fa finta di non vedere, o volge la testa da un’altra parte. Gli italiani sono diventati un popolo di ipovedenti e in cima ad essi stanno quelli che li governano. Non vedono la rinascita del fascismo proprio in casa loro, non vedono l’avanzare inarrestabile dell’antisemitismo, non vedono la mortificazione del cittadino che, dopo aver subìto un abuso d’ufficio vede il responsabile farla franca, non vedono la folla enorme dei più di 230.000 veri e propri schiavi, vittime delle loro miserie e dello sfruttamento dei padroni di fronte ai quali si vergognerebbe perfino Simon Legree, crudele protagonista del romanzo La capanna dello zio Tom. Non vedono il degrado in cui ogni giorno di più scivolano le grandi città, nelle quali è ormai divenuto pericoloso circolare di notte. Non vedono l’inerzia delle pubbliche amministrazioni, da loro collocate nei loro incarichi per servire i cittadini, che come unica scusa per la loro inerzia e inefficienza sanno soltanto ripetere la stantia litania che la colpa è delle amministrazioni precedenti o della mancanza di risorse; non vedono le condizioni disperate del nostro Servizio Sanitario Nazionale, che priva i cittadini, in particolare i meno abbienti, di ciò che è un loro sacrosanto e inalienabile diritto: quello alla salute. E poi, ciliegina sulla torta, apprendiamo dai giornali dell’arresto di quattro illustri cardiochirurghi siciliani per mazzette e regalìe!

Che nel nostro Paese la democrazia sia periclitante, lo si è capito con estrema chiarezza dall’imperdibile discorso tenuto dal nostro capo dello Stato, il presidente Mattarella, a Trieste in occasione della settimana dei cattolici, una vera e propria Lectio Magistralis, come la definisce Concetto Vecchio su la Repubblica. In esso egli comincia con il riferimento al noto filosofo francese Alexis de Tocqueville e al suo celebre saggio La democrazia in America, nel quale si afferma che «Una democrazia senz’anima è destinata a implodere». E cosa può esserci di più di senz’anima dello sfruttamento vergognoso dei lavoratori, sottoposti a condizioni di vita che non si riscontravano nemmeno nei lager di Auschwitz e Dachau? Condizioni che, come narra in prima persona Marco Omizzolo, un sociologo che per un anno e mezzo ha vissuto con i Sikh della provincia di Latina e ha lavorato per tre mesi come bracciante insieme a loro, il quale racconta: «Fra gli eredi dei coloni della bonifica, gli attuali “padroni”, è prassi frequente “tenere altari mussoliniani nelle case e nelle aziende, obbligare i migranti al saluto al Duce di prima mattina, occhi bassi di fronte al busto”, e altri riti». E poi, continua Vecchio sempre in riferimento a Mattarella, «Tira fuori l’amato don Lorenzo Milani, che esortava a “dare la parola”, perché “solo la lingua fa eguali”. A essere alfabeti nella società … Si percepisce una gravitas, la spia di una preoccupazione».

Cosa vuol dire «essere alfabeti nella società»? Esattamente il contrario di analfabeti, cioè ignoranti; ma ignoranti in che cosa? Una risposta pertinente la troviamo in un saggio di Ilya Somin, professore di diritto negli Stati Uniti, che in esso pone la domanda: «La democrazia è il governo da parte del popolo, ma può funzionare se il popolo ignora cosa fanno i governanti?» (Ilya Somin, Democrazia e ignoranza politica. Edizioni IBL Libri, 2015) Uno dei maggiori problemi delle democrazie contemporanee riguarda proprio la scarsa preparazione dei cittadini, che non sono attrezzati per esaminare con cognizione di causa il contenuto delle decisioni politiche. Ciò spesso è la conseguenza di un comportamento razionale: molti comprendono che il loro voto non può cambiare l’esito di un’elezione e pertanto non sono incentivati a informarsi sulla politica. Inoltre l’attività dello Stato è sempre più pervasiva e complessa: è pressoché scontato che gli elettori saranno incapaci di valutare le iniziative dei loro rappresentanti quando riguardano questioni sulle quali non hanno strumenti per maturare opinioni consapevoli. A questo importante problema Somin dedica un intero capitolo del suo libro, che intitola Gli elettori ne sanno abbastanza? Al quale dà inizio citando Joseph Schumpeter, uno dei maggiori economisti europei del secolo scorso, di origini austriache, secondo il quale: «Entrando nel raggio della politica, il cittadino medio scende a un gradino inferiore di rendimento mentale. Ragiona e analizza in un modo che giudicherebbe infantile nella sfera dei suoi interessi concreti. Ridiventa primitivo». Schumpeter aveva perfettamente ragione nel definire “infantile” lo stato mentale della stragrande maggioranza degli elettori. Se soltanto ci limitiamo a dare uno sguardo un po’ più attento alle contese elettorali più recenti, da quelle europee a quella americana, ci rendiamo conto che gli elettori non si avvedono che le loro decisioni avranno effetti duraturi su se stessi, ma si comportano come dei fan di una partita di calcio o di un incontro di pugilato. Fanno il tifo, quando invece dovrebbero entrare nel merito dei programmi dei candidati, cercando di comprendere dove inizia la propaganda e dove sta la verità. La tenzone fra Biden e Trump ne è un esempio. Fatta di colpi bassi, che hanno come obiettivo la persona e non le sue idee e i suoi progetti. Basta vedere le folle osannanti ai comizi di alcuni leader politici; sembra di essere allo stadio o sul ring, dove si incitano i rispettivi campioni a colpire più forte. Come scrive, brillantemente, il grande etnologo e psicologo francese Gustave Le Bon in Psicologia delle folle (Edizioni Clandestine, 2014): «Per il solo fatto di far parte di una moltitudine, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà». Questo accade, continua Le Bon, perché «In verità, i padroni del mondo, i fondatori di religioni e di imperi, gli apostoli di tutte le credenze, i più grandi uomini di Stato e, in ambito più circoscritto, i leader di piccole collettività, sono sempre stati, magari incoscientemente, eccellenti psicologi, che avevano dell’anima delle folle una conoscenza istintiva, spesso accuratissima. Solo in questo modo, ne sono facilmente diventati i padroni». Le Bon, dando prova di un’acuta intelligenza e profonda conoscenza della psicologia umana, poi spiega: «Quando un certo numero di esseri viventi si riunisce, che si tratti di animali o uomini, si pone istintivamente sotto l’autorità di un leader che riconosce quale guida … i trascinatori di folle, il più delle volte, non sono intellettuali, ma uomini di azione, poco avvezzi a configurarsi scenari di lunga portata … La forza, conferita loro dal ritenere giuste le proprie posizioni, conferisce un grande potere suggestivo a ogni parola che essi pronunciano. La folla ascolta sempre l’uomo spinto da una volontà irriducibile, perché gli individui confluiti in una moltitudine, persa la propria, si volgono istintivamente a chi mostra di possederne una … L’anima delle folle è sempre dominata dal bisogno di servitù, non da quello di libertà. La sete di obbedienza le fa sottomettere d’istinto a chi si eleva padrone». Con molto anticipo Le Bon descriveva dettagliatamente ciò che sarebbe accaduto in Europa con Hitler e Mussolini! E ne troviamo autorevole conferma nelle parole di Antonio Gramsci: «Il mussolinismo è un risultato più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l’abito cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus ex machina, la propria salvezza». L’«abito cortigiano» di cui parlava Gramsci, molti italiani non hanno mai smesso di indossarlo; a conferma ne è la notizia, di recente apparsa sulla stampa, secondo la quale si vorrebbe intitolare a Silvio Berlusconi lo scalo milanese di Malpensa! A prescindere delle mie personali opinioni sulla persona, mi sento di condividere al cento per cento quella di Natalia Aspesi che, alla domanda: «Un anno fa la morte di Silvio Berlusconi. Meritava i funerali di Stato e l’iscrizione nel famedio dei milanesi insigni ai quali dovremmo essere grati?» ha risposto: «Lo ripeterò in eterno: Berlusconi è stato un mascalzone. Lasciamo stare la sua visione delle donne, sulla quale durante le celebrazioni funebri si è sorvolato: per me resta una figura orrenda. Ci ha cambiati in peggio, ci ha rovinato. È tra i maggiori responsabili dello sfacelo» (Il venerdì del 21 giugno 2024). Chi ha orecchie per intendere, intenda!

Ritornando a Somin e alla democrazia, tenendo sempre a mente le parole di Mattarella secondo il quale «battersi affinché non vi possano essere “analfabeti di democrazia” è una causa primaria», l’autore si chiede: «Quanta conoscenza dovrebbero possedere coloro che votano? È sufficiente che sappiano pochi fatti basilari sulla politica? O dovrebbero saperne molto di più, forse persino diventare appassionati dilettanti della politica? Basta la semplice conoscenza fattuale, oppure chi vota deve anche conoscere una filosofia politica? Tutto dipende da che tipo di democrazia vogliamo. Teorie diverse della partecipazione democratica danno a queste domande risposte divergenti. Alcune esigono dai votanti più di altre. Purtroppo, le conoscenze di chi vota sono inferiori ai requisiti anche delle teorie meno esigenti … Nessuna teoria richiede che gli elettori siano in possesso di qualcosa di simile a una conoscenza completa di tutte le questioni. Ma tutte richiedono la conoscenza di almeno alcune cruciali nozioni di base. Purtroppo le persone restano al di sotto di tutti i requisiti richiesti».

Quanto sia importante per la democrazia che gli elettori, invece che fan di qualcuno, lo siano di una democrazia liberale, lo sottolinea Mattarella quando dice: «Le libertà sarebbero vulnerate ipotizzando democrazie affievolite da tratti illiberali». E se lo dice a voce alta il nostro Presidente, è evidente che lo fa perché intravede questo pericolo all’orizzonte, che emerge quando pronuncia «Un fermo no all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, che può prevaricare». Continua Somin: «Solo i cittadini elettori possono impedire che ciò accada ma un efficace controllo democratico richiede che gli elettori almeno abbiano una certa conoscenza della politica. In generale, gli elettori non possono chiedere conto agli eletti delle loro azioni se non sanno cosa fa il governo. E non possono sapere quali proposte dei candidati corrispondono maggiormente agli interessi degli elettori se non hanno almeno un certo grado di conoscenza della natura di quelle politiche e dei loro probabili effetti». E a questo punto viene tirato in ballo un altro grande filosofo ed economista del XIX secolo, John Stuart Mill che in Considerazioni sul governo rappresentativo affermava: «Per questa ragione siamo giustificati nell’invocare limiti alla portata di questa scelta se l’ignoranza o altri fattori inducono gli elettori a compiere errori sistematici» (vedi l’errore fatale degli elettori britannici che, con la scelta di farsi governare dai Tories, sono usciti dall’Europa a loro danno e hanno dovuto attendere quattordici anni di governi che li hanno impoveriti prima di ridare il voto al Labour).

La scarsa adesione dei cittadini elettori, con la loro non partecipazione al processo democratico, è un’altra grande preoccupazione del Presidente Mattarella: «Si può pensare di arrendersi, “pragmaticamente”, al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della “cosa pubblica”? … È nell’esercizio democratico che i diritti si inverano. Con meno partecipazione crescono i rischi di involuzione. I diritti si inverano nell’esercizio democratico. Democrazie affievolite, depotenziate da tratti illiberali che vulnerano le libertà. Un mondo in cui le maggioranze pensano di essere sciolte dai vincoli. Il bene comune non è il bene pubblico dell’interesse della maggioranza, ma il bene di tutti e di ciascuno al tempo stesso. No, quindi, all’assolutismo di Stato. A un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice». Insomma, conclude il Presidente: «La democrazia va vivificata. Come forma di governo non basta a garantire in misura completa la tutela dei diritti e delle libertà: essa può essere distorta e violentata nella pretesa di beni superiori o utilità comuni. Il Novecento ce lo ricorda e ammonisce». Menzionando gli analfabeti della politica, Mattarella si riferisce fatalmente ai denigratori dell’Europa, dice che «si avverte la necessità di costruire una solida sovranità europea che integri e conferisca sostanza concreta e non illusoria a quella degli Stati membri. Un’Europa più forte, e unita, è condizione di salvaguardia e di progresso dei nostri ordinamenti di libertà, di uguaglianza, di solidarietà, di pace».

Ogni parola del Presidente in questo suo intervento andrebbe accuratamente valutata, soppesata e meditata, anche alla luce del fatto che abbiamo un governo di destra-destra, la cui tradizione, mai dimenticata, non è certamente quella della libertà e dell’uguaglianza.

Troviamo, quindi, in queste parole, ancora una volta un riferimento alla responsabilità degli elettori. Come scrive Jason Brennan in Contro la Democrazia (Ed. Luiss, 2018): «Se la maggior parte degli elettori agisce con stupidità non fa del male soltanto a sé stessa. Fa del male a elettori meglio informati e più razionali, agli elettori che appartengono a minoranze, ai cittadini che si sono astenuti dal votare, alle generazioni future, a bambini, immigrati e stranieri che non sono nelle condizioni di votare ma sono comunque interessati o danneggiati dalle decisioni democratiche. In politica il processo decisionale non è mai scegliere per sé stessi; è scegliere per tutti. Se la maggioranza prende una decisione capricciosa, i rischi ricadono anche sugli altri». Sono parole che vanno attentamente ponderate; non si tratta di filosofeggiare, perché nel processo democratico è in gioco la vita e il benessere di milioni di persone e anche delle generazioni future. Ecco perché ci sembrano da prendere in seria considerazione le ulteriori parole di Brennan: «Perciò il processo decisionale che caratterizza la politica, che sia democratico o no, ha un onere giustificatorio maggiore rispetto alle decisioni che prendiamo per noi stessi. Per giustificare i diritti liberali fondamentali dobbiamo spiegare perché si deve concedere agli individui di fare del male a sé stessi. È un compito difficile, e ancora oggi ci sono filosofi che pensano sia lecito impedire agli individui di compiere scelte sbagliate. Giustificare la democrazia richiede un lavoro ancora più grande: dobbiamo spiegare perché alcune persone hanno il diritto di imporre cattive decisioni agli altri. In particolare, per giustificare la democrazia abbiamo bisogno di spiegare perché è legittimo imporre su persone innocenti decisioni prese in modo incompetente … La libertà di parola, generalmente, ci dà un potere soltanto su noi stessi, mentre solitamente il diritto di voto ci dà – come entità collettive, se non come individui – un significativo potere su altri … Proprio come sarebbe sbagliato costringermi a subire il bisturi di un chirurgo incompetente o ad andare in una nave guidata da un capitano che non sa il fatto suo, sembra sbagliato costringermi a sottomettermi alle decisioni di elettori incompetenti. Le persone che esercitano potere su di me – compresi altri elettori – dovrebbero farlo in modo competente e moralmente ragionevole. Altrimenti, per ragioni di giustizia, si dovrebbe proibire loro di esercitare potere, o dovrebbero esistere robuste istituzioni volte a proteggermi dalla loro incompetenza». Le idee di Brennan sono sicuramente suggestive, ma ritengo che sia molto difficile che possano inverarsi.

All’inizio di questa riflessione sullo stato della Democrazia, abbiamo affermato che, con ciò che accade quotidianamente sotto i nostri occhi, sembra se ne possa celebrare il funerale. Di opinione contraria, e ci auguriamo sinceramente che abbia ragione, è il giornalista e politico francese Bernard Guetta, che in un articolo apparso su la Repubblica del 3 luglio scorso, intitolato La Democrazia non è morta, scrive: «Le brutte notizie sono tante che non sappiamo vedere quelle buone. Le cattive, le conosciamo. Domenica prossima l’estrema destra francese potrebbe arrivare al potere. Anche se non succedesse, la seconda potenza europea rischia di restare ingovernabile a lungo. La Germania non è in forma migliore e tutta l’Unione ne risulta indebolita nel momento stesso in cui ai suoi confini orientali si combatte una guerra, mentre il caos assoluto incombe sul Medio Oriente e mentre gli Stati Uniti si allontanano dall’Europa e dal Mediterraneo per concentrarsi sull’Asia e sulla sfida con la Cina. La democrazia più potente del mondo in parallelo dovrebbe scegliere a novembre tra un presidente imprevedibile e un presidente uscente che non riesce più ad articolare. Europa e Stati Uniti, tutte le democrazie occidentali barcollano oggi al punto da sembrare in procinto di cadere dritte dritte in bocca a Putin e Xi. Siamo arrivati davvero a questo punto? Le elezioni per la presidenza fanno degli Stati Uniti una potenza alla deriva, divisa, umiliata, estremamente ridicola. L’America non aveva mai vissuto niente di simile». Dopo queste, e altre, notizie sconfortanti, Guetta procede ad elencare i motivi che, nonostante tutto, gli danno ragione di sperare, motivi certamente validi e importanti che si possono riassumere nella presa di coscienza non solo delle grandi democrazie europee, compreso il cambiamento radicale della Gran Bretagna, ma anche l’ascesa di un candidato riformista alla presidenza dell’Iran. Per cui, egli conclude il suo articolo con le parole del titolo: La Democrazia non è morta! Facciamo i più sinceri auguri a Guetta, alla Democrazia, e a tutti noi europei, auspicando un futuro migliore alla nostra vecchia e cara Europa e al mondo intero.

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