Le elezioni e il campo largo

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pagina di diario

I risultati elettorali sono stati senz’altro incoraggianti per il PD e AVS tanto alle europee quanto alle amministrative, che hanno visto affermarsi ben sei dei loro candidati sui dieci passati al primo turno. L’alleanza tra Bonelli e Fratojanni ha messo poi a segno due colpi molto significativi con l’elezione della Salis e di Lucano. Il successo della collaborazione tra questi due leader offre l’occasione per sottolineare come tra politici seri, cioè capaci di individuare i veri avversari, la coabitazione sotto lo stesso tetto sia possibile e soprattutto proficua.

Questa capacità è invece mancata a Conte. La sua opposizione, anche se spesso ferma e convincente, alla maggioranza di governo è apparsa come un atto dovuto mentre gli strali più pungenti, quotidianamente sostenuti dal “Fatto quotidiano” di Marco Travaglio, hanno avuto per bersaglio la Schlein, un po’ per motivi di concorrenza elettorale ma anche per una certa distanza programmatica ed ideologica. D’altra parte la vocazione antipolitica originaria ma tuttora presente nel Movimento non andava tanto per il sottile: bisognava abbattere un sistema corrotto e sostituirlo con una virginale ventata di “onestà”, qualità negata a tutti i politici di professione. Uno vale uno, riduzione del numero dei parlamentari e delle loro indennità, limitazione del numero dei mandati elettivi, piattaforma Rousseau ed altre ingenuità si sono in breve rivelate un fallimento. Altrettanto sciagurata fu poi la scelta di far cadere il governo Draghi ma, per quanto tuttora poco affidabili, i pentastellati sono i candidati predestinati ad estendere quel campo largo che oggi vede alleati solo il PD ed AVS.

Perché la confluenza possa avvenire utilmente saranno necessari sostanziali chiarimenti all’interno del Movimento per verificare se può essere ancora guidato da Conte: in tal caso potrebbero verificarsi fratture o defezioni da parte di chi non intende tradire i valori originari di cui si diceva, valori che però non hanno più spazio tanto è vero che si è cominciato da subito a parlare di rimozione del limite dei due mandati. Se alla guida dei 5 Stelle dovesse restare Conte, dovrà adattarsi ad un ruolo ancillare o, al massimo, ad una condivisione paritaria con la Schlein. La segretaria PD ha mostrato sin dal suo insediamento ai vertici del partito grande disponibilità verso Conte e il suo Movimento, fino al punto di accettare numerosi rifiuti e imposizioni. Parte del successo elettorale della Schlein è forse dovuto proprio alla fermezza con cui ha cercato di allargare il fronte da opporre a questa destra dalle forti tinte autoritarie. Non a caso le prime analisi del voto adombrano che l’affermazione del PD e il crollo dei 5 Stelle non sono dovuti ad un travaso di voti. Sembra invece che chi non ha più votato per Conte si sia astenuto mentre la Schlein sia riuscita nell’intento di scuotere l’astensionismo. Alla luce dell’esito elettorale sarà in grado Conte di contenere le sue ambizioni?

Questo dunque è lo schema auspicabile e già collaudato, anche se a parti invertite, col governo Conte 2 che operò decorosamente malgrado la pandemia ed al netto della colossale svista del bonus edilizia. Esiste indubbiamente un discrimine che sembra al momento insuperabile riguardo all’invio di armi in Ucraina, discrimine che vede peraltro l’AVS sulla stessa linea del M5S. Ma il buon senso suggerirebbe di tenere questa partita fuori dalla trattativa: c’è una situazione di vivo allarme per la protervia crescente della maggioranza in casa nostra e non è il caso di dividersi su questioni la cui soluzione non è alla portata delle singole nazioni. La prospettiva della convergenza a sinistra richiede però una precondizione anche nel PD: molti maggiorenti si sono ben guardati dal sostenere concretamente la Schlein, colpevole di aver scippato con le primarie la segreteria politica a Bonaccini. Un chiarimento sarà dunque necessario anche tra le correnti che attraversano tuttora il partito, tra le quali preoccupa, come sempre, quella riformista che fa tuttora capo al “plurisuicida” Renzi. Risorgerà anche questa volta? Certo, Renzi, Calenda e la Bonino rappresentano quasi l’8% dell’elettorato, una quota in grado di equiparare il consenso dei partiti di sinistra a quello della destra, ma le loro scelte rimangono avvolte tuttora in una nuvola di ambiguità.

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