Una situazione di armonia tra scienza e fede è spesso oscurata dagli interventi fragorosi di chi si pone agli estremi del dibattito, quasi si avvertisse la necessità di dover scegliere ad ogni costo una delle due posizioni ed escluderne l’altra. «Delusi dall’eccessiva asprezza di entrambe le prospettive, molti optano per respingere tanto l’attendibilità delle conclusioni scientifiche, quanto il valore della religione organizzata, scivolando invece in varie forme di pensiero antiscientifico, spiritualità superficiale o semplice apatia» (Francis Collins, Il linguaggio di Dio, Milano 2007, p. XVII).
Un contributo metodologico importante è costituito dall’approccio filosofico del realismo critico. Di recente tale metodo si sta rivelando molto utile nel promuovere un dialogo costruttivo fra teologia e scienze in quanto riferirsi esclusivamente ai dati oggettivi non potrà mai condurci a un punto di osservazione globale in grado di produrre il sapere e rendere vana la fede.
La conoscenza scientifica è anch’essa sottoposta a evoluzione, i dati che in un certo momento storico possono sembrare assodati, con il trascorrere del tempo non potrebbero apparire più tali. Ai nostri giorni, ad esempio, stiamo constatando che, anche se è vero che le leggi della fisica classica risultano ancora valide nel nostro orizzonte spazio-temporale, è allo stesso tempo vero che su di esse non è più possibile costruire un’adeguata visione del mondo. Non è possibile partire dal rigore della sola ricerca scientifica per tentare di raggiungere un unico punto di vista talmente ampio da generare una visione completa e oggettiva dell’esistenza. È necessario assumere la consapevolezza che esiste una radicale differenza di metodo nell’approcciarsi al reale e che è possibile raggiungere certezze diverse rispetto a quelle che procedono dalla razionalità; certezze altrettanto valide e talora più profonde.
Wittgenstein afferma nel suo Tractatus logico-philosophicus: «“Il senso del mondo dev’essere fuori di esso”, vale a dire che per l’indagine sul senso complessivo del mondo è necessario attingere un punto di vista esterno al mondo, cosa di cui le religioni e le filosofie si ritengono capaci, ma che le porta per ciò stesso a risultare intrinsecamente indimostrabili». È necessario «liberarsi dalle strettoie del materialismo che, parlando dell’Universo, vuole ridurre ogni cosa a dimostrazione, e sentire la potenza spirituale della libertà che produce pensiero non dimostrando ma mostrando l’intuizione del principio che informa l’Universo» (Vito Mancuso, Il principio passione, Milano 2013, p. 41).
Le domande sul fine e sul senso del vivere sono oggetto di grande attenzione per la filosofia e per la teologia, discipline che nascono proprio per questo scopo, ma che, a loro volta, non possono svolgere il loro compito in maniera adeguata e responsabile se non prendono seriamente in esame i dati offerti dalla ricerca scientifica. Allo stesso modo quest’ultima dovrebbe confrontarsi con gli elementi filosofico-teologici altrettanto seriamente che con quelli della fisica.
La scienza ci offre i suoi dati e il pensiero filosofico cerca di meditarli per comprenderne il senso complessivo, per questo motivo solo l’armonia, solo un percorso intrapreso con maggior modestia e discrezione, e che sappia dare ragione a entrambe le prospettive, può essere in grado di produrre un sapere unitario e donare alla mente un grande senso di unità. «Occorre sempre tenere presente la lezione di Hegel, che “il vero è l’intero”, e non si deve tralasciare nessun fenomeno se si vuole tentare di avere realmente a che fare con la Verità» (Corrado Augias e Vito Mancuso, Disputa su Dio e dintorni, Milano 2010, p. 100).
Probabilmente uno dei problemi consiste nel fatto che «la scienza procede determinata e sicura, e se guardiamo alla fisica e alla biologia di duemila anni fa, o anche semplicemente di cinquanta o cinque anni fa, e le confrontiamo con quelle di oggi, possiamo constatare facilmente i loro progressi. Ciò è dovuto al fatto che la scienza prescinde dal sentire-con, depura cioè l’esperienza dalle dimensioni soggettive e personali, e così ottiene un sapere oggettivo e universale. Il punto però è che quelle dimensioni della realtà di cui la scienza si libera risultano spesso quelle veramente decisive per il senso della nostra vita. Ne prese coscienza un giorno Wittgenstein quando scrisse “Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati”. Al contrario, la filosofia e le discipline umanistiche non prescindono dalla dimensione soggettiva, anzi ne fanno la materia privilegiata della loro indagine, e per questo scaldano il cuore e accendono le passioni; al contempo però, sempre per questo motivo, esse sono prive di un consenso oggettivo che le renda universali, così che al loro interno regna una disorientante pluralità di vedute» (Vito Mancuso, A proposito del senso della vita, Milano 2021, p. 33).
Filosofia, teologia e scienza dovrebbero operare in modo sinergico per istituire un profilo che sia in grado di infrangere il pensiero riduzionista, che evidenzi il fatto che il soggetto della conoscenza non può essere ricondotto alla sola ragione, che la coscienza umana rappresenta invece un elemento decisivo nel fornire risposte ai tanti interrogativi che provengono dalla vita e dalla storia umana, che esistono diversi modi per analizzare la realtà, e che è necessario ricondurre l’esercizio della ragione all’interno di un’antropologia completa, in grado cioè di contemplare anche la possibilità di una dimensione trascendente che si traduce nella fede.
L’esistenza di una dimensione auto-trascendente nella conoscenza naturale è testimoniata dal fatto che l’uomo è un essere interrogante, un instancabile ricercatore della verità, nonostante sia perfettamente consapevole che questa verità lo trascende infinitamente, lo supera in maniera incommensurabile, e che, nonostante tutto, anche perdutamente lo attrae. L’uomo è immerso nella natura, ma non è interamente in balia della natura, è in grado di emergere da essa, di distanziarsi e di trascenderla.
L’utilizzo della riflessione e dei risultati delle scienze naturali nel lavoro della teologia costituisce una tappa fondamentale per un dialogo costruttivo tra queste due discipline, al quale si aggiunge una particolare responsabilità, quella di oltrepassare il limite della semplice analisi o giudizio di compatibilità, o quel senso di sfida che a volte si vede emergere da una certa reciproca provocazione. Invece, l’analisi dei dati scientifici rilevati deve offrire alla teologia la possibilità di vedersi obbligata a ricomprendersi all’interno di orizzonti inediti che presentano problemi nuovi e che la spingono verso analisi e sfide culturali più approfondite, deve offrire la possibilità di scoprire in essi fonti di ispirazione e di sviluppo dogmatico, facendosi carico dell’onere ermeneutico che questo comporta.
Fortunatamente oggi sembra che ci si stia incamminando verso un adeguato clima culturale perché le relazioni fra teologia e scienze non assumano più un carattere conflittuale ma piuttosto un carattere dialogico. Si intravede un certo superamento del meccanicismo determinista e della pretesa autoreferenzialità del principio logico-matematico, due parametri nei quali la conoscenza scientifica era rimasta imbrigliata per molto tempo, compromettendo ogni possibilità di dialogo con altre fonti di sapere. La scienza sta tornando ad interrogarsi sulla esaustività della sua metodologia, e la teologia, a sua volta, si sta rivolgendo al dato biblico e al sapere proveniente dalle scienze, con un approccio più maturo, vedendo in essi un fattore di progresso dogmatico. Tutto ciò mostra che esiste oggi la possibilità di intraprendere una strada che per molti anni era stata considerata impraticabile, pericolosa o perfino utopistica.
Si nota il sorgere di domande filosofiche e, a volte, perfino esistenziali, all’interno degli ambienti scientifici, sebbene, ovviamente, queste non possano essere risolte all’interno del metodo scientifico. La scienza teologica, dal canto suo, ben consapevole di non poter prescindere da altri saperi, sta mostrando una progressiva accoglienza della visione scientifica contemporanea sul cosmo fisico, sulla vita e sull’evoluzione della specie umana, visti sempre di più come un orizzonte contestuale irrinunciabile per una migliore comprensione della dottrina biblica sulla creazione e sulla stessa storia della salvezza.