Esistono opera d’arte famose che, oltre ad essere apprezzate per il loro intrinseco valore estetico, sono fatte oggetto della fantasia di scrittori e ricercatori. Quadri, sculture, composizione musicali si trasformano, agli occhi di tanti, in chiavi di rebus per decifrare messaggi lasciati (volutamente o meno) dagli artisti, per accedere ad una conoscenza misterica. Pensiamo al celeberrimo Cenacolo leonardesco ed alle strampalate teorie propinate dallo scrittore Dan Brown oppure ai bassorilievi del tempio di Seti I ad Abydos in cui i “teorici del paleocontatto” vedono carri armati e sottomarini nucleari. Gli scienziati chiamano “pareidolia” il fenomeno per cui il cervello interpreta casualmente stimoli visivi come qualcosa di familiare, anche se essi non sono affatto presenti. Ad esempio, vedere volti umani nelle nuvole oppure forme riconoscibili in oggetti confusi. E tuttavia è innegabile che esiste nella storia un filo rosso che unisce la conoscenza riservata agli iniziati e la creazione di opere d’arte.
Prendendo in esame il XVI secolo, assistiamo alla nascita delle accademie neoplatoniche, più famosa tra tutte quella fondata da Cosimo de’ Medici a Firenze. Accademia cui aderirono figure del calibro di Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola, Leonardo da Vinci, Michelangelo ed altri ancora. Scopo dichiarato era quello di coniugare lo studio delle filosofie “pagane” con la cabala e gli scritti cristiani al fine di far rivivere la “Prisca Theologia“, cioè una teologia primordiale sottesa a tutte le religioni e tradizioni sapienziali dell’umanità. A latere di queste ricerche ontologiche, si sviluppò un forte interesse per la magia naturalis, l’alchimia, l’astrologia e altre pratiche esoteriche. La riscoperta di testi quali il Corpus Hermeticus e le profezie dei Caldei indusse studiosi e intellettuali a cercare di comprendere i segreti dell’universo e la natura dell’uomo attraverso una combinazione di conoscenze ereditate dall’antichità e nuove scoperte.
Nella pinacoteca di Capodimonte si conserva un quadro che può essere considerato una delle massime espressioni di questa ricerca multidisciplinare, “il ritratto di fra Luca Pacioli” del 1495, di incerta attribuzione. L’opera, scomparsa per secoli, fu messa in vendita dal ramo cadetto napoletano dei Medici di Ottaviano ed acquistata dallo Stato italiano prima che finisse all’estero nel 1903.
Il dipinto raffigura il francescano Luca Pacioli, matematico e teologo, appartenente all’accademia neoplatonica. Il frate è raffigurato nell’atto di insegnare geometria euclidea a un discepolo, certamente un nobile vista la ricchezza degli abiti indossati. Intorno sono sparsi gli strumenti atti allo studio della matematica e della geometria (due libri, una penna d’oca col suo astuccio, un compasso, un goniometro, un gessetto e una spugnetta). Tra questi spiccano due straordinari solidi geometrici: un dodecaedro in legno e un rombicubottaedro in vetro. Entrambe i solidi geometrici richiamano il Timeo di Platone e la visione cosmologica platonico-pitagorica nella quale sono simbolo “dell’ornato del mondo”. Entrambi i solidi sono ampiamente descritti nella Divina proportione redatta da Luca Pacioli e illustrata da Leonardo Da Vinci nel 1496.
Il clima imperscrutabile e quasi sospeso che si respira nel dipinto di Capodimonte si riversa anche nell’enigma di chi sia il secondo personaggio ritratto e sull’identità del pittore che riuscì a rendere così puntualmente il clima erudito che circondava queste figure dedite allo studio della matematica e della geometria come discipline principali per conoscere e indagare la realtà.
Il cartiglio dipinto nell’angolo inferiore destro, con le parole “IACO.BAR.VIGEN/NIS. P. 149(5)”, dovrebbe risultare di fondamentale importanza per attribuire l’opera correttamente. Tuttavia, questa scritta è resa ancora più ambigua dalla presenza di una mosca posata sopra l’ultima cifra della data. Tale dettaglio suggerisce che l’artista abbia intenzionalmente inserito un elemento perturbante e ambiguo, non per indicare la sua identità ma per lasciare un messaggio da decifrare.
Interessante e verosimile è l’attribuzione a Leonardo da Vinci avanzata dagli storici dell’arte Carla Glori prima e Giovanni Barca poi. Non solo nell’alta qualità del dipinto si ravvisa la mano del genio vinciano ma l’analisi crittografica del cartiglio non lascerebbe alcun dubbio sulla paternità dell’opera.
Finita qui? Nemmeno per sogno! Sempre operando sulla decriptazione del misterioso cartiglio si evincerebbe anche l’identità del secondo personaggio ritratto nel quadro: Gian Galeazzo Maria Sforza, IV Duca di Milano, avvelenato dal suo stesso zio Ludovico detto il Moro per assurgere al potere.
In conclusione possiamo considerare questa opera come una pietra angolare dell’interazione tra conoscenza esoterica e arte. Il suo intricato simbolismo, l’esecuzione magistrale e l’attribuzione sfuggente continueranno ad alimentare speculazioni e dibattiti. Man mano che ci immergeremo nei misteri che circondano questo dipinto, nuove rivelazioni e interpretazioni potrebbero alla fine far luce sulla complessa rete di conoscenza e creatività che ha definito l’era del Rinascimento e le menti dei suoi illustri protagonisti.
Unico compito affidato alla politica, alle direzioni museali contemporanee è quello di pubblicizzare i tanti capolavori conservati nel nostro bello e sfortunato Paese, rendendoli fruibili e sempre più spendibili sul mercato internazionale del turismo.
Un pezzo ben strutturato che stimola ulteriori interrogativi e invita alla riscoperta di un patrimonio comune troppo spesso sottovalutato. Spero vivamente che articoli così illuminanti vengano letti da un ampio pubblico, arricchendo la comprensione collettiva del nostro inestimabile patrimonio culturale.
Grazie Raffaele per le tue gentili parole! Sono felice che il mio articolo abbia suscitato interesse. Spero davvero che possa contribuire a una maggiore consapevolezza e apprezzamento della nostra storia comune. Grazie ancora per il tuo sostegno!”