L’avevamo chiamata “Giano bifronte” prendendo atto del contrasto stridente tra l’immagine rassicurante offerta all’estero ed il tono arrogante, spesso irridente delle sue esternazioni in àmbito nazionale. Ci sbagliavamo: le due facce calzavano a pennello per stigmatizzare la doppiezza politica della Meloni. Ma in realtà le facce sono tre, quella interna, che peggiora con l’approssimarsi delle elezioni europee, e due esterne che si barcamenano tra le diverse forze in campo in attesa del risultato. Delle due sopravvivrà quella che le permetterà di essere benaccetta alla nuova maggioranza. Tutti ci auguriamo che il risultato elettorale assicuri la continuità, per quanto poco efficace si sia rivelata negli ultimi anni la politica comunitaria. Ma la Meloni è pronta anche ad una nuova e diversa maggioranza: l’importante, aldilà di possibili, ulteriori ambizioni, è che le lascino portare a compimento il suo principale obiettivo cioè la restaurazione dell’Italia in chiave neofascista. Le iniziative in questa direzione vanno infatti intensificandosi approfittando della babele in atto nell’opposizione (si pensi all’uscita sciagurata di Emiliano o all’appoggio di Calenda al candidato della destra nelle prossime regionali in Basilicata) ma anche dell’allentamento della vigilanza dell’UE, distratta dalla fase elettorale.
E così assistiamo al disinvolto proseguimento dell’occupazione dei centri di potere: le manovre in corso tendono ad occupare la direzioni di prestigiose istituzioni culturali tra cui il “Teatro alla Scala” e “La Fenice” di Venezia. Al momento risulta che il sovrintendente alla Scala sarà quello indicato dal ministro Sangiuliano. Ben più preoccupante è il tentativo di vendere la seconda agenzia di stampa nazionale, l’Agi, attualmente controllata dall’Eni, ad Antonio Angelucci, già proprietario dei quotidiani Il Giornale, Libero e Il Tempo, nonché, guarda caso, deputato della Lega. Ma il pericolo più incombente è l’avvenuta costituzione, già programmata dal governo Draghi nell’ambito del Pnrr, della “3-I Spa”, società pubblica che si occuperà della gestione di software e sistemi informatici degli enti previdenziali, dell’ISTAT e della Pubblica Amministrazione. L’azionariato della società, che nei prossimi mesi prenderà in carico i servizi operativi, sarà per il 49% in capo all’INPS, azionista di maggioranza relativa, seguito dall’INAIL per il 30% e dall’ISTAT per il 21%. L’INPS e l’INAIL sono entrambi commissariati dal maggio 2023 in attesa della nomina dei nuovi presidenti, sulla quale i partiti di governo non hanno ancora trovato un’intesa, ovviamente di natura spartitoria, così come per l’ISTAT che avrà un nuovo presidente ed un nuovo CDA alla scadenza non lontana di quelli in carica.
La proprietà della nuova Spa, che sarà il crocevia di milioni di dati e miliardi di euro di appalti, è dunque saldamente in mani governative visto che presidente e direttore generale di 3-I sono nominati dal Presidente del Consiglio. La Repubblica del 9 febbraio scorso chiariva e specificava che con questa nuova società pubblica, così come rivisitata dal Governo, si stabilisce “il controllo diretto della politica e della sua massima espressione, la Presidenza del Consiglio dei ministri, sugli Istituti che custodiscono le anagrafiche di 16 milioni di pensionati, 23,7 milioni di lavoratori, 1,8 milioni di disoccupati, 4,5 milioni di imprese”. Sempre da la Repubblica (ma anche dal Domani del 18 dicembre 2023) apprendiamo che la materia delle nomine è affidata alle cure di Giovanbattista Fazzolari, il più affidabile dei bracci destri di questa dea Kalì “de noantri”. E quindi, se i disegni governativi andranno in porto, possiamo attenderci statistiche sul lavoro e sull’occupazione piegate alle esigenze propagandistiche del Governo ed, in generale, una disinformazione volta a tener buoni gli italiani più fragili.
La cosa più allarmante riguarda però i rapporti tra la maggioranza e il Presidente Mattarella. La Repubblica del 2 aprile, in un articolo a firma Emanuele Lauria, riassume le occasioni in cui il Capo dello Stato si è espresso in maniera difforme dagli esponenti della maggioranza. Alla sola esternazione nella quale il Presidente, dopo i fatti di Pisa e di Firenze, definiva un “fallimento” l’uso dei manganelli, la Meloni reagiva proclamando il suo sostegno alle forze dell’ordine. Si è poi astutamente astenuta da ogni commento lasciando ai suoi sodali e colleghi della maggioranza l’azione di contrasto. E quindi è toccato a La Russa e a Salvini contraddire, in maniera più o meno larvata, l’apprezzamento di Mattarella per la chiusura dell’Istituto Scolastico di Pioltello in occasione del Ramadan. La telefonata di Mattarella al padre della Salis, in netto contrasto con il dilatorio invito del ministro degli esteri Tajani a non politicizzare la vicenda, ha invece suscitato la stizzita reazione di Gasparri. Ma, tenuto conto dell’accelerazione impressa in questi giorni all’introduzione del premierato, non sorprenderebbe se si fosse deciso di cominciare a lavorare ai fianchi la presidenza Mattarella: lo lascia supporre il titolo che occupava spudoratamente (com’è suo costume) la prima pagina di La Verità del giorno di Pasqua: “Mattarella usa la Salis contro la Meloni”. Un titolo ai limiti dell’offesa al Capo dello Stato ex articolo 278 del codice penale. Niente di stupefacente però: non dimentichiamo che la parola “verità” è la traduzione italiana del termine russo “pravda”, che dava il nome al famoso notiziario di regime dell’Unione Sovietica cui il quotidiano di Belpietro e soci si è voluto bellamente ispirare.