Domenica 18 febbraio è andata in onda una puntata di “Report” in cui l’eroico Sigfrido Ranucci ha trattato col consueto scrupolo giornalistico e con l’immancabile dose di ironia il tema del ponte sullo Stretto di Messina. Ai margini dei tanti intrecci tra interessi politici e interessi economici puntualmente documentati spiccava una esilarante sequenza video nella quale Salvini, l’ultimo dei sostenitori della costruzione del famigerato ponte dopo, guarda caso, i populisti Berlusconi e Renzi, prevedeva quanti nuovi posti di lavoro avrebbe richiesto. Si partiva da 120.000 per calare, in tempi successivi, a 100.000, poi a 50.000 e infine a circa 40.000. Salvini, sparando cifre in libertà, non è dunque meno eroico di Ranucci il quale, a commento del video, ricordava che i due ponti più lunghi al mondo, in Turchia e in Danimarca, hanno impegnato rispettivamente 4.000 e 1.300 lavoratori.
La realtà, confortata dal precedente storico intestato a Silvio Berlusconi, è che la costruzione darà da mangiare solo a poche e qualificate famiglie, anche se non dovesse avere inizio: poche famiglie, per le quali il ponte sullo Stretto non è certamente lo “stretto necessario” come potrebbe invece essere per operai e tecnici.
Ma il coraggio di Salvini va ben oltre. Ci vuole una grande abnegazione, o una invidiabile faccia tosta, per continuare a tacere sul vincolo che da tempo unisce la Lega all’Unione Russa, il partito di Putin, anche dopo l’assassinio di Navalny. Certo, tra Salvini e Putin non esiste la stessa intimità che lo zar Vladimir aveva con Silvio, al punto da invitarlo nella sua esorbitante residenza per vedere e, forse, condividere il leggendario “lettone” (da leggersi con l’accento sulla “o” per non confonderlo con la nazionalità di chi abita in uno dei prossimi obiettivi militari necessari a ricostruire la Grande Madre Russia). Chissà se nel corso di quelle scanzonate vacanze punteggiate da allegre corse in slitta Putin avrà mostrato all’ospite anche l’“armadione” nel quale nasconde i numerosi scheletri che ha sulla coscienza. A proposito dell’ultimo arrivo, quello di Navalny, non ancora associato alla collezione custodita nell’“armadione”, le ultime illazioni, ovviamente fondate, sulla causa materiale del decesso sembrano ricondurle ad un pugno sferrato al cuore, secondo una tecnica in uso nel KGB, i servizi segreti brodo di coltura nel quale si è formata la personalità del nuovo Zar. Il pugno non lo ha sferrato lui personalmente ma qualche suo esperto emissario al quale avrà dato l’ordine di procedere con una lettera riservata. Scritta di suo pugno.