La notizia che la proposta di legge regionale presentata dal presidente del Veneto Luca Zaia sul fine vita non è passata anche a causa dell’astensione della consigliera regionale del PD Anna Maria Bigon, ha agitato non poco le acque già mosse nelle quali naviga il partito della Schlein. La posizione assunta dalla Bigon ha di fatto impedito, insieme ai voti contrari di una parte della Lega, di Forza Italia e di FdI, il varo di una legge che avrebbe definitivamente normato, sia pure nel solo Veneto, un diritto riconosciuto dalla Corte Costituzionale: il suicidio assistito, cioè l’auto-somministrazione di un farmaco letale, quando il richiedente sia capace di prendere scelte libere econsapevoli, sia affetto da patologie irreversibili, patiscasofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili e sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.
Al biasimo di molti colleghi di partito ha poi fatto seguito la revoca dell’incarico di vice segretaria della sezione di Verona del PD da parte del segretario provinciale Franco Bonfante. Il provvedimento ha immediatamente riacceso la polemica. La Bigon ha dichiarato: «Sono nel Pd non per avere l’incarico di vicesegretario ma per i principi e valori che lo statuto sancisce e che vorrei fossero riconosciuti. Ribadisco che la scelta di garantire diritti ai malati deve essere fatta in maniera diversa, con leggi nazionali o delibere sanitarie specifiche, per evitare diritti diversi ai cittadini a cui va garantita in ogni caso la qualità delle cure palliative». All’autodifesa della consigliera regionale si sono immediatamente aggiunti i commenti indignati di molti cattolici del PD. Pierluigi Castagnetti, tra i fondatori del Partito Democratico, ha sentenziato: «Ciò che sta accadendo nel Pd di Verona è a dir poco sconcertante. Anche perché dubito che il tutto avvenga all’insaputa di organi “superiori”». Non meno sferzante il commento di Graziano Delrio, di simpatie renziane e tuttora senatore PD: «La revoca dell’incarico a Bigon è un brutto segnale. Resta inammissibile che si voglia processare una persona per le sue idee e non può essere accettato».
Ora, nessuno intende mettere in discussione il principio della libertà di coscienza, ma un qualche approfondimento sulla sua natura può essere utile.La coscienza di chi si dà alla vita politica dovrebbe articolarsi in tre valori fondamentali: i propri personali principi, la condivisione della linea politica del partito nel quale si candida e il rispetto dei propri elettori se il sistema elettorale consente loro di esprimere preferenze. Si suppone che tra tutti questi elementi ci debba essere una certa armonia. Ferma restando la tutela della libertà individuale contenuta nell’art. 67 della Costituzione («Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»), l’ideale sarebbe che nelle libere scelte di un politico si specchiassero armonicamente tutte e tre le componenti della sua coscienza.
Bisogna però tener presente che non tutte le assonanze possono essere garantite a priori perché non tutti gli eventi sui quali il politico sarà chiamato a votare sono prevedibili nel momento in cui il partito, il candidato e gli elettori si sono riconosciuti concordi: possono infatti verificarsi eventi straordinari, quali ad esempio il coinvolgimento del Paese in una operazione bellica o la comminazione di sanzioni eccezionali per taluni reati. È evidente che in queste circostanze la personale disposizione del politico chiamato ad esprimersi può prevalere. Ci sono però anche tematiche che, diversamente da quelle appena richiamate, riguardano il riconoscimento di libertà individuali il cui esercizio non comporta alcun obbligo per chi non volesse avvalersene: pensiamo al divorzio e all’aborto. Votare contro l’approvazione di leggi che intendono riconoscere tali libertà appare francamente sorprendente specialmente se in conflitto col comportamento dei colleghi di partito e dell’orientamento generale del partito stesso. Ciò non toglie che la destituzione della Bigon dal suo incarico sia stata una violazione della sua libertà di coscienza. Ma è pur lecito chiedersi come abbia fatto la consigliera veneta a non cogliere, al di là dello spirito libertario della proposta di legge in sé, l’importanza di poter rompere, una volta tanto, il fronte politico avversario, pericolosamente coeso. Non convince del tutto la giustificazione addotta dalla Bigon secondo la quale, come sopra riportato, “la scelta di garantire diritti ai malati deve essere fatta…. con leggi nazionali o delibere sanitarie specifiche, per evitare diritti diversi ai cittadini…». Perché impedire un piccolo passo nella giusta direzione per attendere una legge nazionale di là da venire, come se le due cose fossero in contrasto?
La coscienza di cui si rivendica giustamente la libertà può dunque avere inclinazioni diverse: è libertà di coscienza anche quella di Zaia che ha portato in votazione un testo sviluppato dalla “Associazione Luca Coscioni” sul fine vita, in evidente dissenso con buona parte del suo partito e con i suoi alleati di governo. E lo è anche quella del segretario Bonfante che argomenta la sua decisione, certamente avventata, chiarendo che: «Consiglieri e consigliere di centrosinistra, componenti di importanti comunità religiose cattoliche, hanno votato a favore della proposta di legge, spiegandone le ragioni con interventi di grande spessore e profondità in riviste cattoliche. Rilevo altresì che nella mia esperienza decennale di consigliere regionale e di vicepresidente del Consiglio regionale del Veneto mi sono trovato in alcuni casi in dissenso rispetto al mio gruppo, ma ho sempre votato quello che il gruppo a maggioranza decideva, pur su temi che potevano essere considerati sensibili, perché è così che ci si comporta quando rappresenti un’intera comunità: il senso di responsabilità nei confronti degli altri e della comunità che si rappresenta, non è meno importante del rispondere alla propria coscienza, che riguarda se stessi». A ciascuno dunque la propria coscienza da rispettare, così come quelle della Bigon, di Castagnetti e di Delrio che forse si sono riconosciuti nel partito sbagliato.
Le citazioni riportate sono tratte da Avvenire del 25 gennaio 2024.