Dopo quasi cinquant’anni, durante i quali avevano stretto alleanze di ogni genere pur di gestire il potere, i maiali erano stati malamente cacciati e il governo era finito nelle mani delle volpi, che avevano stretto un’alleanza con i cinghiali e uno sparuto gruppo di lupi.
Fra alterne vicissitudini, la coalizione aveva retto per un ventennio, con qualche interruzione in cui i pavoni erano riusciti ad affermarsi per periodi più o meno lunghi.
Fra i vecchi e i nuovi governanti, però, non di rado capitava di ritrovare i più scaltri fra i maiali, mimetizzati di volta in volta fra le fila delle volpi, dei cinghiali o dei pavoni.
Col tempo, anche per le furbe volpi, guidate dal Volpone, il vento finì con il girare e con esso il favore del destino.
Una mano al fato l’avevano data gli asini, da sempre deputati, per il loro acume, ad amministrare la giustizia nella fattoria: asini che non avevano lesinato a dispensare condanne, più o meno motivate, specie ai danni del Volpone.
Così a governare la fattoria furono chiamati i pavoni insieme ad altri sparuti gruppi di animali da cortile che, con la scusa di sentirsi responsabili del destino della fattoria, sostennero il nuovo governo pur di restare aggrappati ai privilegi del potere.
In questo clima di decadenza dei costumi e di caccia alle streghe, dal nulla politico spuntarono le cavallette e invasero l’aia, levando alto il loro zillare e promettendo che, giunte al governo, tutto sarebbe cambiato.
Il popolo credulone dei buoi, delle pecore e degli altri animali della fattoria volle credere, meschino, alle lusinghe delle cavallette.
Le consultazioni elettorali rovesciarono il governo dei pavoni, naturalmente incline a badare più alla forma che alla sostanza e un numero impressionante di cavallette fu catapultato nelle stanze del potere, senza che le stesse sapessero cosa fare: per cui, cominciarono a improvvisare.
Pur essendo tante, il loro numero, nondimeno, non era sufficiente a far sì che potessero governare da sole.
E così le cavallette decisero di allearsi con quegli stessi cinghiali che fino a poco prima erano stati i fedeli sodali del Volpone, facendo di necessità virtù: o tempora, o mores!
Detto fatto, cavallette e cinghiali diedero vita a un nuovo esecutivo, ma il loro sodalizio, vuoi per le intemperanze verbali del Cinghialone, vuoi per l’insipienza dei leader delle cavallette, durò quanto un gatto in tangenziale.
Fu così che le locuste, pur di restare al potere, decisero di stringere quell’alleanza con i pavoni che anni prima avevano invece rifiutato, quando a proporla erano stati proprio i vanesi pennuti, usciti vittoriosi dalle urne elettorali.
Anche in questo caso, tuttavia, la litigiosità ebbe il sopravvento sulla necessità di occuparsi concretamente dei reali problemi degli animali e il governo andò a carte quarantotto!
Spinti dalla necessità di non perdere la ricompensa di fine mandato, quasi tutti gli eletti nel parlamentino animale raggiunsero la madre di tutti gli accordi: cavallette, cinghiali, volpi e pavoni avrebbero governato insieme, per il bene del popolo animale!
A chiamarsi fuori furono solo i lupi e qualche sparuto pavone, che paupulava sperando di farsi notare.
Alla naturale scadenza del mandato, messo in saccoccia il vitalizio, si tornò finalmente a votare.
E la Lupa, con al guinzaglio volpi e cinghiali, finì col fare un solo boccone dei pavoni, che continuavano a fare la ruota e a curare l’armocromia del proprio piumaggio.