E così la Meloni ha pubblicamente accettato l’invito della Schlein ad un confronto televisivo. La notizia è stata accolta con soddisfazione non solo dalla segretaria del PD ma anche dal partito e dalla stampa non ostile.
A sinistra nessuno si nasconde i rischi che si corrono non soltanto in considerazione della consumata retorica e della dialettica sui generis della Premier, per non dire del suo studiato vittimismo, dell’innata aggressività e del sarcasmo, spesso di bassa lega ma proprio per questo di provata efficacia.
All’armamentario tribunizio della Meloni occorre poi aggiungere il pericolo di cadere nelle grinfie di moderatori per niente moderati: Bruno Vespa ha da subito rivendicato il diritto di ospitare il dibattito sulle poltrone di “Porta a porta”, in quanto più tempestivo di tutti i concorrenti che lo hanno poi seguito.
Questi dunque i pericoli evidenti cui la Schlein si è esposta. Altri ce ne sono, e non meno grandi, ma pare che nessuno se ne sia accorto. La disponibilità lanciata dalla Schlein a ridosso del suo iniziale rifiuto a salire sul palco della celebrazione di Fratelli d’Italia, intitolata all’incolpevole Atreju, voleva dimostrare che non le manca certo il coraggio di offrirsi alle spire della pitonessa Meloni. Ma se la si legge nell’ottica degli altri partiti di opposizione, questa iniziativa può essere letta come un gesto di arroganza, un’autoinvestitura al ruolo di leader degli avversari della Premier.
Qualunque sarà quindi l’esito dello scontro annunciato, non c’è dubbio che il fatto in sé sia un passo indietro nel processo di federazione della sinistra di cui tanto si parla, solo al termine del quale sarebbe stato giusto individuare la figura del leader unico, se ritenuto necessario: non dimentichiamo che proprio nella sinistra progressista e riformista trova tradizionalmente spazio il rispetto delle minoranze. Non si può non ricordare in proposito la formula su cui poggiavano trasmissioni televisive come “Tribuna elettorale” e “Tribuna politica”. Nata nel 1960 sotto il Terzo governo Fanfani appena costituito, “Tribuna elettorale” ospitava i leader di tutti i partiti rappresentati in Parlamento, inclusi l’MSI e il Partito Monarchico, riconoscendo a ciascuno di essi lo stesso minutaggio per illustrare la propria visione e il proprio programma politico a prescindere dalla consistenza delle rispettive rappresentanze parlamentari: prova assoluta del pluralismo che la Corte Costituzionale aveva sollecitato appena qualche mese prima. Altri tempi, altro contesto ma anche altro personale politico.
L’assunzione unilaterale della leadership dei partiti di opposizione da parte della Schlein non sarà dunque indolore mentre lo è quella della Meloni, un po’ perché capo del Governo ma anche perché leader del partito decisamente egemone nell’alleanza di destra. Tra il PD e il M5s i sondaggi sono invece ancorati da tempo ad una differenza a favore del primo che oscilla tra i 3 e i 4 punti percentuali: troppo poco per giustificare il primato del PD. Meglio, molto meglio sarebbe stato proporre alla Meloni due distinti confronti: uno con la Schlein e l’altro con Conte. In caso di rifiuto da parte della Premier la Schlein avrebbe potuto comunque vantare nei confronti di tutti, alleati, avversari ed elettori, un gesto di apertura politica concreto e inequivocabile: un bel passo avanti verso quella federazione che oggi appare indispensabile se si vuole contrastare con qualche speranza di successo ciò che ormai possiamo definire lo strapotere del Governo Meloni.
Le possibili implicazioni negative presenti nella scelta della Schlein non saranno, tra l’altro, sfuggite alla furbizia volpina della Meloni ed è anzi lecito sospettare che abbia già avvistato i vantaggi supplementari che possono derivarle dal mancato o ritardato processo di federazione della sinistra. Ne è invece consapevole Pierluigi Bersani. Ospite insieme a Giuseppe Conte di Floris su La7 qualche sera prima che la Schlein ufficializzasse la sua disponibilità al confronto, Bersani ha voluto diradare le perplessità di Conte sulla prospettiva di federazione col PD chiarendo che, a suo avviso, la convergenza verso un percorso comune da parte di due forze politiche simili ma non uguali deve prescindere dalle dimensioni del consenso di cui ciascuna di esse gode. Saggia e fondamentale precisazione che cadrà nel silenzio come le tante, illuminate e pittoresche metafore dell’inascoltato decano della sinistra nostrana. C’è da pensare che anche lui valuti con preoccupazione la scelta della Schlein.