Il recente impegno letterario di Vincenza Alfano, La guerra non torna di notte (Solferino editore 2023, pp. 208, €16,50), a me è apparso come uno struggente dialogo d’amore tra una nipote e una nonna che, pur non essendoci più, è ancora viva nel profondo dell’animo della scrittrice tanto da farle avvertire una necessità emotiva di ripercorrerne la storia, in cui riecheggiano temi molto cari all’autrice partenopea tra cui inquietudine, ribellione, ansie e venature di follia da lei trattati nella sua vasta produzione precedente.
Storia vera di una vita intensa, fatta di amore e disamore, di abbondono e distacchi dolorosi, di angustia e audacia, di pieni e vuoti che si sono alternati nei lunghi anni della sua esistenza.
Un incipit magistrale per la delicatezza dei sentimenti, l’intensità delle riflessioni e la raffinatezza del linguaggio ci accompagna nella casa del mare, quella dei tuoi racconti, lì dove si snoda gran parte della narrazione che appartiene al mondo dei ricordi che pervengono all’autrice da un quaderno ricevuto dalla zia, accanto al letto di morte di sua nonna Cenzina.
Entriamo così d’emblée nel passato, attraverso il narrato in prima persona, in cui la scrittura della nipote dà voce a Cenzina e le cede il passo. Sullo sfondo sempre quel mare, il mare che bagna Napoli.
Il racconto prende l’avvio nel 1933 quando la protagonista ha diciannove anni, età in cui i sogni la fanno da padrona e la vita sorride alla gioventù. Ma…i ma, tanti ma negli anni infelici dell’infanzia, conseguenti a seri problemi familiari le avevano spento il sorriso del tutto allorquando il distacco dalla casa materna le infliggerà una ferita profonda.
Cenzina proverà a riemergere; ma la rinuncia alla sua vocazione di concertista, un matrimonio ricco combinato dallo zio, accettato forse solo razionalmente, però nel profondo avvertito come una sottomissione forzata, due maternità che la tengono, seppur per amore, legata a una vita ripiegata su se stessa, alimentano la sua intima inquietudine Dentro un enorme desiderio di esplodere, ribellarsi; fuori silenzi e solitudine. Qualche amicizia, sì. Vera e consolatoria. E la sua vita da signora borghese, bella e inquieta, scorre quasi per inerzia. Poi arriva la guerra, le bombe su Napoli, i tedeschi che fanno razzie, la paura del quotidiano, le corse nei ricoveri. Tutto il fuoco che ardeva in lei sotto la coltre di cenere comincia a ribollire. Basta sottomissione, basta accondiscendenze, ora c’è da agire. Cenzina rivela un ardire che lascia tutti sorpresi. Quando ci sarà da salvare due giovani polacchi ebrei, sarà lei a organizzare come e dove nasconderli, rischiando in prima persona e non solo.
Così come insieme alle altre donne, tra cui Addolorata, personaggio di grande spessore, risponderà alla chiamata di difendere la città a tutti i costi. Imbracciando fucili, scendendo nelle strade a far barricate, incitando gli uomini a combattere contro il nemico. Napoli non sarà ridotta a “fango e cenere”, come voleva il Fuhrer.
La storia di Cenzina diventa così paradigmatica. Donne che al momento giusto sanno rialzarsi, imporsi, decidere, trasformare la rabbia e il dolore in coraggio, riscattando se stesse e tutte le altre.
In una prosa limpida, avvolgente, a tratti lirica, il bel romanzo di Vincenza Alfano ci consegna una pagina di storia vista e vissuta dal basso che non poteva e non doveva restare un ricordo personale; tanto più oggi che pochi restano i testimoni viventi di quel tempo non si può pensare che tutto cada nel dimenticatoio e che i giovani ne sappiano poco o addirittura nulla.
“Penso che in fondo questa storia non appartenga soltanto alla nostra famiglia. Penso che da domani dovrò occuparmene e assicurarle un futuro.”
VINCENZA ALFANO, scrittrice, giornalista, docente di italiano e latino. Ha al suo attivo una vasta produzione tra romanzi di successo e collane collettanee, per varie case editrici. Si occupa di consulenza editoriale e scouting letterario e ha fondato e conduce l’ “Officina delle parole”, laboratorio di scrittura creativa presso la libreria IoCiSto. Dal suo romanzo Perché ti ho perduto (Giulio Perrone Editore 2021) è stato tratto il film per la tv “Folle d’amore”, prodotto da Rai fiction e Jean Vigò per la regia di Roberto Faenza.