Più di due miliardi di anni fa sul nostro pianeta cominciò a manifestarsi un evento che avrebbe portato alla comparsa del più importante fenomeno della nostra storia: l’apparizione delle prime forme di vita. Ma, insieme alla vita, sorse anche ciò che fino ad oggi caratterizza – in senso negativo – la nostra esistenza. In un imperdibile testo di biologia, intitolato per l’appunto Un meraviglioso accidente, la nascita della vita, i suoi autori ci informano che: «Sennonché, con l’apparire dei primi organismi, alle difficoltà ambientali si è aggiunto un nuovo fenomeno non meno destabilizzante: la lotta senza quartiere per la sopravvivenza. Nella competizione per garantirsi spazio e risorse, gli organismi si trasformano in predatori e predati. Comincia così, proprio agli albori della vita, quella guerra tra i viventi tuttora in corso … Questi atti ostili, scatenati quasi sempre dalla competizione per accaparrarsi le risorse o per conquistare spazi più favorevoli, sono uno degli aspetti della più generale lotta per la vita».
Sono trascorsi centinaia di secoli da allora. Si sono formate e sviluppate migliaia di specie viventi, il culmine delle quali, oggi, è rappresentato dall’Homo Sapiens. Ma, malgrado la straordinaria crescita delle capacità intellettive e delle conoscenze che caratterizzano la nostra attuale civiltà, un elemento primordiale è sopravvissuto e continua a operare attivamente: la guerra, la lotta per la vita. Esso è inscritto profondamente nel genoma umano, cioè fa parte del codice genetico, oltre che di tutte le specie viventi, anche di quella umana, che da esse discende. Oggi, però, rispetto a quanto hanno spiegato gli autori del testo in questione, non si possono più abbinare i termini “guerra” e “lotta per la vita”, come accadeva in quei remoti periodi ancestrali. Se “lotta per la vita” può ancora applicarsi a tutte le specie viventi del pianeta, esso non può più coniugarsi con “guerra” che, per quanto riguarda la specie umana, quasi sempre non è più motivata dalla lotta per la sopravvivenza. Il fatto che in questo momento, in tutto il mondo, vi siano in atto cinquantanove guerre dovrebbe farci riflettere, e trarne alcune considerazioni. La prima può essere il fatto che mentre nella stragrande maggioranza delle specie viventi la ferocia è una delle caratteristiche che accompagnano la loro lotta per la vita, in essa manca il componente che caratterizza la nostra specie, cioè la malvagità. Una tigre, un leone, una iena, sono animali feroci, ma non sono malvagi. Noi lo siamo.
Si sarebbe potuto ritenere che, con il progredire della cosiddetta “civiltà”, gli istinti belluini si sarebbero attenuati, fino a scomparire, in quanto vivere in pace dovrebbe essere l’obiettivo primario di ogni nazione civilizzata. La pace è la condizione essenziale per la vita: consente di sviluppare le arti, le scienze, la cultura in generale. Con la guerra tutto questo non è più possibile. Le risorse delle nazioni belligeranti sono necessariamente dirottate verso gli arsenali militari e sottratte all’utilizzo per lo sviluppo e il progresso. La guerra, oltre che lutti e sofferenze, è causa di regresso e impoverimento, eppure, ancora in questo inizio di 2024, essa è presente in tutto il mondo, e i motivi che la scatenano sono sempre abietti. Il conflitto russo-ucraino nasce dalla mente malata del “monarca” russo che, preda di manie di grandezza e nostalgie dell’era imperiale, aggredisce nazioni sovrane per annetterle al suo “impero”. Lo sterminio e la carneficina di Hamas derivano dal mai sopito obiettivo di cancellare Israele e il suo popolo dalla faccia della terra. E così anche per tutti gli altri conflitti, che non sono mai giustificabili con l’esigenza di sopravvivere, ma con la voglia di potenza, di asservimento, di arricchimento, accompagnati dall’assoluto disprezzo per la vita umana, disprezzo che si manifesta in molti modi oltre che con le guerre; per fare un esempio, pensiamo al gravissimo problema dei migranti. È inutile entrare nel dettaglio, basta tenere il conto di quante migliaia di disperati – che fuggono da guerre, carestie, violenza – sono stati lasciati morire in mare o respinti alle frontiere, o confinati in veri e propri “lager”, condannandoli di conseguenza ad una vita – se così si può chiamare – di reietti emarginati, perché la loro vita non è considerata di pari valore di quella degli abitanti delle nazioni “civili” che dovrebbero aiutarli. E non sembra essere un caso che la stragrande maggioranza d’essi sia costituita da gente di colore, nei confronti dei quali vi è ormai una sorta di “assuefazione”; nell’apprendere che ancora un’altra imbarcazione con donne e bambini è stata travolta dalle acque, e che molti vi hanno perso la vita, ormai il commento più comune è: ancora un’altra! Ma quando capiranno che devono smetterla di mettersi in mare sapendo come poi andrà a finire! Possiamo dire, senza tema d’essere smentiti, che, come disse all’apertura dell’anno giudiziario il procuratore generale della Cassazione, facendo riferimento al problema dell’immigrazione clandestina, “la pietà l’è morta”. Le sue precise parole furono: «La politica risulta essere al tempo stesso disinteressata al profilo umanitario: potrei dire che la pietà, declinata nel suo senso laico, è morta».
Ancora una volta, per cercare di comprendere come in questo XXI secolo prevalgano comportamenti, modi di sentire, sentimenti, che sono tutto l’opposto di ciò che il buon senso comune e l’umanità dovrebbero prevalere, dobbiamo fare riferimento, come in una precedente occasione, al processo mentale che è stato definito come “deumanizzazione”, ovvero la giustificazione e legittimazione della violenza.
Come scrive Chiara Volpato nel suo acuto lavoro sulla deumanizzazione: «Una seconda funzione dei processi deumanizzanti è la legittimazione dello status quo. Deumanizzare i poveri, gli sfortunati, i vinti è consolante per chi povero, sfortunato, vinto non è, o non si considera. Aiuta a pensare che meritino il poco o niente loro riservato, che non c’è bisogno di stringersi per fare loro spazio, né di dividere con loro le risorse, sempre per definizione considerate come scarse. La deumanizzazione ha in questo senso una funzione rassicurante per i gruppi favoriti: serve a far credere che non saranno toccati da una sorte analoga a quella dei gruppi meno fortunati. Sono esemplari in questa prospettiva gli atteggiamenti che le società occidentali esibiscono nei confronti di immigrati e rifugiati». Atteggiamenti che spinsero il 10 marzo 2010 l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite a ricordare agli italiani, durante un’audizione al Senato, che gli immigrati “non sono rifiuti tossici”, né vanno trattati come tali.
La deumanizzazione è la spiegazione razionale di tutto ciò di cui abbiamo parlato, ovvero che l’essere umano “normale”, come pensiamo di essere noi e la maggior parte di coloro che conosciamo, non si sognerebbe nemmeno lontanamente di impugnare un’arma e uccidere a casaccio quante più persone possibile (cosa che accade quasi ogni giorno in varie parti del mondo a individui che poi vengono definiti “mentalmente disturbati”). Ma cos’è la guerra se non l’applicazione su larga scala di tale comportamento? Persone “normali” con una vita normale, da un giorno all’altro diventano assassini, uccidono persone che non conoscono sol perché qualcuno che detiene il potere gli ordina di farlo. La guerra, quindi, può essere definita una “pazzia collettiva”. A tal proposito sembra estremamente interessante la testimonianza di Howard Zinn, storico fra i più influenti del secolo scorso, che narra la sua esperienza durante la seconda guerra mondiale alla guida di un caccia: «Gli uomini che ho conosciuto in aviazione … non avevano desiderio di uccidere, non erano entusiasti della violenza e non amavano la guerra. Erano coinvolti, come me, nell’assassinio su larga scala di persone per lo più non combattenti: donne, bambini e vecchi che si trovavano ad abitare nei pressi delle città che bombardavamo …. Tutto questo però non derivava dalla nostra natura, che non era cambiata da quando, in tempo di pace, giocavamo, studiavamo e vivevamo la vita normale …. Le imprese sanguinose che compivamo erano il risultato di un insieme di esperienze facilmente immaginabili: eravamo stati educati a credere che i nostri capi politici avevano buone ragioni e che potevamo confidare nella giustizia delle loro azioni nel mondo … D’altronde non eravamo costretti a vedere le gambe di una ragazzina spazzate via dalle nostre bombe: noi stavamo a diecimila metri di quota, dove non potevamo vedere gli esseri umani, né ascoltare le loro grida. Sembra allora che la malvagità non sia appannaggio esclusivo di individui devianti o pazzi, ma che chiunque possa infierire contro un altro essere umano».
Ciò che dice Zinn è esattamente ciò che esprime il concetto di deumanizzazione: non pensare che in quel momento si sta privando un bambino, una donna, un anziano o chiunque altro, di una gamba, di un braccio, di un occhio; non si vede lo smembramento e perciò si può far finta di niente. È quello che, per esempio, sta accadendo in questo preciso momento a Gaza, dove un milione di persone innocenti sta subendo un martirio immeritato dai bombardamenti a tappeto che lasciano sul terreno un carnaio di vittime colpevoli soltanto di abitare lì. Solo facendo astrazione dalle sofferenze inflitte, un essere umano “normale” può essere indotto a compiere efferatezze del genere. Sono poche le persone veramente malvage che compiono il male in maniera deliberata perché amano farlo, come quei carnefici di Hamas che godevano nel violentare, sgozzare, mutilare e uccidere ragazzi e ragazze che non gli avevano fatto alcun male, e può dirsi lo stesso per tutti gli autori di stragi, genocidi, olocausti, tutti orrori che sono di esclusiva pertinenza della specie umana e sconosciuti a tutto il resto delle specie viventi. D’altra parte solo un essere umano avrebbe potuto pronunciare le parole di Adolf Eichmann quando ormai la Germania era avviata alla sconfitta: «Salterò nella fossa ridendo … avere sulla coscienza la morte di cinque milioni di ebrei mi dà una soddisfazione enorme».
Alla luce di quanto abbiamo esposto fino ad ora, rimane sempre più pregnante la domanda: ci sarà mai un tempo in cui gli esseri umani penseranno di risolvere le loro controversie con il dialogo, il compromesso, gli accordi, tenendo sempre presente che la posta in gioco è la più alta che possa esistere, e cioè la vita umana? Ogni vita umana è preziosa perché è unica. Sarebbe veramente opportuno se, prima di mettere mano alle armi, si riflettesse sul fatto che dall’altra parte ci sono persone come noi, con i nostri desideri, le nostre speranze, le nostre debolezze e che nessuno ha il diritto di privarli di ciò a cui noi stessi teniamo più di ogni altra cosa: la vita, nostra e dei nostri cari. La guerra è la negazione di tutto ciò. È difficile essere ottimisti, se, come abbiamo visto, la violenza, la sopraffazione, lo sterminio sono annidati nel profondo del nostro essere, nelle caratteristiche genomiche della specie umana. Ma, c’è un “ma” di estrema importanza. Gli esseri umani hanno una capacità che manca in tutte le altre specie viventi, ovvero quella del ragionamento. C’è una qualità che si contrappone alla violenza insita in noi; una qualità che possiamo coltivare, se lo vogliamo, e costituisce il rimedio a molti mali. Norberto Bobbio le dedicò il titolo di un suo libro: Elogio della mitezza. Sì, la mitezza, e, per usare la definizione che ne dà il grande filosofo: «Identifico il mite con il nonviolento, la mitezza con il rifiuto di esercitare la violenza contro chicchessia. Virtù non politica, dunque, la mitezza. O, addirittura, nel mondo insanguinato dagli odii di grandi (e piccoli) potenti, l’antitesi della politica». D’altra parte, chi è cristiano, ci ricorda Bobbio, dovrebbe tenere sempre presente una delle frasi più note al mondo, quella in cui è detto: “Beati i miti perché erediteranno la terra”. Ma anche questa promessa, come tutte le altre contenute nei libri “sacri”, non è stata mantenuta e probabilmente non lo sarà mai. La realtà è che, già Plauto, due secoli prima di Cristo, e successivamente Hobbes, sette secoli più tardi, avevano perfettamente ragione quando scrissero che homo homini lupus, e cioè l’uomo è lupo per l’uomo: era una caratteristica inestirpabile dall’essere umano che in determinate circostanze si trasforma e compie atti che nella vita “normale” sarebbero impensabili. La conclusione che se ne trae è che la guerra è una caratteristica congenita della specie umana e che, fra i mille motivi diversi, ce ne sarà sempre uno che la giustificherà per dichiararla “guerra giusta”, mentre la parola “guerra” e la parola “giusta” sono assolutamente inconciliabili. La guerra non è MAI giusta, sono gli uomini che la etichettano così, per costruirsi un alibi morale come esimente per ciò che compiono.
V’è, infine, un’ultima considerazione da fare su questo complicato e non facilmente dipanabile argomento, ovvero che – facendo riferimento alla politica – è ad essa che dobbiamo guardare se vogliamo essere aiutati a capire perché una nazione, per esempio l’Italia, dovrebbe avere la propensione alla guerra, anche quando vi sono molti altri mezzi per non giungere a questa “soluzione finale”. È un fatto che in molti paesi del mondo, particolarmente in quelli occidentali, vi è una sorta di suddivisione fra la “destra” e la “sinistra”, e la destra sembra pian piano prendere il sopravvento dappertutto; già in casa nostra ne abbiamo un esempio sotto gli occhi. E qual è una delle caratteristiche della destra? Quella di promuovere l’uso della violenza per potere esercitare la sua egemonia. E qual è il momento migliore per farlo? Certamente quello in cui è possibile indottrinare sin da bambini le loro menti per prepararli alla guerra. Altrove abbiamo ricordato il detto “libro e moschetto, fascista perfetto”. Il regime di allora attribuì alla scuola un ruolo fondamentale per la manipolazione ideologica e per la creazione del consenso. Essa divenne una delle fonti primarie di indottrinamento dei giovani, tramite le quali si diffondevano i punti cardine dell’ideologia fascista: la religione, il nazionalismo, la subordinazione della donna, la gerarchia, il militarismo, il virilismo, l’attivismo eroico, tutti substrati efficaci per creare nella gioventù “l’animo guerriero” che, essendo molto importante l’alleanza del fascismo con la chiesa cattolica, essa non fece mai notare, come sarebbe stato suo compito, che il virilismo e il militarismo erano in piena contraddizione con l’altro famoso passo del sermone della montagna: “Beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio”, del tutto trascurato durante il “regime”. La destra, ovunque nel mondo, ha il culto delle armi, e non v’è alcun dubbio che lo scopo delle armi è quello della guerra e non della pace. Chi sfoglia anche distrattamente i giornali avrà letto più volte delle iniziative dei fascioleghisti italiani di consentire anche ai sedicenni di portare armi e di fornire ai cittadini, per la loro difesa, la possibilità di possederle. Non parliamo poi degli Stati Uniti, nei quali senza girare armati ai cittadini di quel paese sembrerebbe andare in giro nudi.
Un recente articolo di Paolo Berizzi (la Repubblica, 2 gennaio 2024) era appropriatamente intitolato “L’attrazione fatale della destra per la fondina”, nel quale sciorina un lungo elenco di personaggi politici della destra neofascista italiana con il culto delle armi; e queste sono le prime righe del suo scritto: «Armiamoci e votate. O anche Dio, patria e revolver. Vecchia storia quella della destra pistolera italiana. Inciampi, gaffes più o meno volute, show elettorali, smargiassate da aspiranti cow boy di provincia, crociate sulla legittima difesa e propaganda del mito della difesa». E, aggiungo, se alle prossime elezioni presidenziali dovesse vincere ancora una volta Donald Trump, ne vedremo delle belle!
La conclusione di questo nostro ragionamento non è per niente confortante, in quanto credo che si sia compreso che, anche se evitabile, la guerra e la violenza sono le opzioni preferite dagli esseri umani per risolvere le loro controversie o esercitare l’innato istinto al dominio, insito nella loro natura. Possiamo solo sperare che, con il trascorrere del tempo, nuove generazioni di giovani si rendano conto della follia di tutto questo e che cambino registro, ma probabilmente noi di questa generazione non lo vedremo. E questo – finché considereremo il “nemico”, chiunque esso sia, un essere la cui vita vale meno della nostra, così deumanizzandolo per poterlo sopprimere senza troppi travagli di coscienza – è ciò che ci aspetta. Senza farci illusioni.