Risibili salvataggi

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Fotogramma dal film Pinocchio di Disney (Fonte: Wikipedia)

La gaffe telefonica in cui la Meloni si è intrattenuta per una buona mezzora con due comici russi, che si erano spacciati per il Presidente della Commissione dell’Unione Africana, riporta alla mente, per una certa analogia, Maurizio Paniz. Per chi non lo ricordasse, ma per molti è indimenticabile, l’avvocato Paniz, all’epoca deputato eletto per la terza volta nella lista berlusconiana, si rese celebre per aver pronunciato nell’aula di Montecitorio il 27 maggio 2010 un’arringa difensiva volta a spiegare che il Cavaliere era effettivamente convinto che Ruby Rubacuori fosse la nipote del presidente egiziano Mubarak. La linea difensiva adottata da Paniz sembrò a molti una toppa peggiore del buco che intendeva nascondere: secondo lui Berlusconi non aveva mentito, come tutti sia a sinistra che a destra ritenevano, dati anche i robusti precedenti, ma era piuttosto un ingenuo credulone, qualità che poco si addice a chi guida un Paese.

Nei giorni scorsi Alfredo Mantovano, ex magistrato oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla sicurezza della Repubblica, ha imboccato una linea difensiva opposta a quella di Paniz sostenendo che la Meloni non ha abboccato perché ha capito subito che era una burla. Percorsi antitetici dunque (l’eterno scontro tra magistrati e legulei) ma confluiti entrambi nello stesso alveo: aveva mentito Paniz e ha mentito Mantovano con la medesima conseguenza e cioè accrescendo il discredito per le figure politiche che intendevano difendere, l’ormai consueta eterogenesi dei fini. Infatti, come avrà potuto una Premier tanto impegnata da dover concedere col contagocce rarissime e frettolose conferenze stampa ed altrettanto sporadiche presenze alle assemblee parlamentari, spendere mezzora del prezioso tempo, suo e del Paese tanto amorevolmente da lei guidato, per conversare serenamente con due buontemponi avendoli sgamati sin dall’inizio? Proprio qualche giorno prima aveva lamentato l’assillo degli impegni politici ed istituzionali. Anche qui una toppa peggiore del buco da coprire ma che sarà a sua volta cancellata o minimizzata dall’informazione di regime e da quella amica, come è ormai d’abitudine. La Meloni non sta perdendo consensi pur avendo confermato, in oltre un anno di governo, la sua naturale disposizione a dire cose inesatte o a rifugiarsi nel silenzio nel timore di domande imbarazzanti. L’inesattezza più recente riguarda lo stanziamento in bilancio per la sanità per il 2024: è vero che è di tre miliardi in più dello stanziamento 2023, ma è altrettanto vero che questo incremento non copre l’aumento dei costi dovuti all’inflazione (lo stesso ministro del suo governo ne aveva chiesti almeno quattro). L’inesattezza più clamorosa, peraltro ripetuta più volte, è che la riforma costituzionale recante, tra l’altro, l’elezione diretta del premier appena varata dal Consiglio dei ministri “non intacca le prerogative del Capo dello Stato”, mentre invece le comprime palesemente perché la Costituzione vigente gli riserva in maniera esclusiva e discrezionale il conferimento dell’incarico al premier per formare il governo.

Quanto ai silenzi, iniziati con il caso Delmastro, sono poi proseguiti senza intoppi col caso Santanchè, con quello dell’assessore alla Regione Lazio De Angelis e del generale Vannacci.

Riusciranno mai le opposizioni a contrastare sul piano della comunicazione la posizione dominante della destra? Forse, dopo aver concordato un programma comune, circostanza che oggi appare lontana. Al momento sembra possibile solo alzare i toni delle denunce che rimangono, almeno per il PD, ancorate ad uno sterile fair play.

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