Napoli: a che punto è la notte?

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Eduardo De Filippo nei panni di Gennaro Jovine dalla commedia “Napoli Milionaria”, disegno di Antonio Nacarlo

Un ragazzo, sparato alle spalle da un altro ancora più giovane, muore sull’asfalto mentre sorge il sole nella nuova piazza Municipio. Due bambine tremanti, nel buio di una struttura fatiscente della periferia più oscura, vengono abusate ripetutamente da un gruppo di balordi nemmeno maggiorenni. Pochi mesi prima, nell’iconica via Partenope tirata a lucido e liberata dalle auto, viene ammazzato come un cane un giovane operaio reo di aver sporcato le scarpe ad un baby camorrista. Tre storie di dolore, tre assurdi tributi pagati alla violenza metropolitana di una città che cerca di scrollarsi di dosso l’etichetta d’invivibilità. Eppure, se si ha la voglia, con un immenso sforzo di pazienza e di civiltà, è possibile scrostare dalla superficie quella rabbia giustizialista, quella follia collettiva che ci prende allo stomaco e ci spinge a prendere corde e forconi per farci giustizia da soli.

Diceva Leonardo Sciascia, nel magnifico romanzo Porte aperte, “la politica ha bisogno della pena di morte, alla giustizia non serve”. La ventata fascista che sta attraversando l’Italia sta accecando gli occhi di molti, troppi che non riescono più a vedere al di là della retorica veicolata dai nuovi alfieri della libertà, attraverso un servizio pubblico d’informazione lottizzato e indirizzato a destra. In questi giorni d’assedio mediatico catalizzati da questi tragici eventi occorsi, nessuna voce è uscita dal coro, tutti hanno sostenuto la tesi degli errori della società civile rea di aver abbandonato una metropoli intera, anzi metà del Paese al suo destino.

E le colpe dello Stato? Troppo facile proporre l’invio dell’esercito e dichiarare lo stato d’assedio, politicamente paraculo presentarsi alle marce di solidarietà nell’inferno avendo paura delle proteste degli ex percettori del reddito di cittadinanza, preparando una claque di sodali di partito senza simboli e bandiere, in borghese, per proteggere la premier nella sua triste e svilita passerella sul dolore. Giorgia promette al parroco anticamorra l’arrivo di soldi e lavoro per gli abitanti del parco verde di Caivano. Eppure la premier sa bene che con l’attuazione della legge quadro sulla Autonomia Differenziata (voluta dal ministro del suo governo, Calderoli) la situazione di disgregazione sociale e povertà aumenterà ancora in maniera esponenziale in tutto il meridione d’Italia.  Se non dovesse saperlo, andasse a leggere la relazione biennale, stilata dalla Corte dei conti, sulla gestione finanziaria degli Enti Locali (2020/22), che segnala una diseguale distribuzione territoriale della spesa pubblica, certificando un gap degli investimenti in opere pubbliche per il Mezzogiorno nell’ordine di decine di miliardi di euro! Miliardi che avrebbero potuto essere spesi per sanare la carenza di servizi pubblici e infrastrutture, che rendono difficile l’accesso all’istruzione, alla sanità, alla mobilità, al lavoro, al tempo libero. Oppure per ridurre il degrado urbanistico e ambientale, che compromette la bellezza e la salubrità dei territori, esponendoli ai rischi d’inquinamento e di dissesto idrogeologico. Investirne una parte per combattere la povertà e la marginalità sociale, che colpisce soprattutto le fasce più deboli della popolazione, come gli anziani, i bambini, i disabili, gli immigrati. Infine per debellare la criminalità organizzata e la illegalità diffusa, che minaccia la sicurezza e la vivibilità delle periferie, alimentando fenomeni di violenza, degrado, sfiducia nello stato.

Non è un sogno, basterebbe applicare la Costituzione facendo riferimento all’articolo 117 comma “m”, cioè tenendo in considerazione i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP), ossia gli indicatori dei diritti civili e sociali che dovrebbero essere determinati e garantiti su tutto il territorio nazionale.  Intanto chi vive lontano dalla realtà quotidiana delle periferie propone ricette per impedire che avvengano questi crimini efferati; tutti si sentono investiti dal sacro fuoco della verità, credono di detenere la panacea ad ogni male: reprimere, vietare, punire. Reprimere i reati, ma solo quelli della microdelinquenza però, quelli che si percepiscono con fastidio, come gli scippi, il piccolo spaccio, la prostituzione. Così i turisti e le signore della Napoli bene possono sciamare tranquille per la città senza paura. Vietare i social media, oscurare i video osè, che spingerebbero l’animale abitante dell’hinterland alla violenza sessuale. Vietare la musica Urban (rap, hip hop, trap) perché i contenuti delle canzoni istigherebbero a delinquere i figli di papà. Magari non considerando che in molti casi quelle storie cantate sono vere, raccontate da chi sfortunatamente conosce solo quel tipo di realtà. Punire, magari con la morte, chi compie reati che indignano l’opinione pubblica. Prevenire l’evoluzione di sicuri criminali, strappandoli alle famiglie, togliendo i diritti di genitorialità ai delinquenti. Ipocrisia, vane parole che si sgonfieranno appena l’ultimo riflettore si sarà spento sulle vicende.

Ma chi la periferia urbana la vive vorrebbe solo una cosa: potersi permettere di scappare da questa realtà. Andarsene perché non crede più che possa esserci redenzione in questa Gehenna. Non ha mai contato, purtroppo, di essere cittadino di una repubblica di eguali ma si è sempre sentito servo di un potere lontano e distante. Si sente fortunato se riesce a portare avanti la famiglia magari lavorando a rotta di collo. Oppure si sente stupido perché la tassonomia dei valori è cambiata negli ultimi cinquant’anni.

Per un punto di vista diverso ci viene in aiuto un testo storico del gruppo napoletano Almamegretta, capitanato da Gennaro Della Volpe alias Raiz. Scrittore sensibile, intellettuale impegnato, da sempre vicino al mondo degli ultimi canta in questa canzone:

ce sta chi tiene ‘e ccarte ‘e cientomila lire
ce sta chi ind’a sacca nun tiene manco mille lire
ije so’ nato e so’ cresciuto ind’a nu quartiere
addò o arruobbi o spacci o te faje na pera
senza ‘na lira nanz’a televisione
che te dice nun sì ommo si nun tiene ‘o machinone
‘a scola ll’aggio fatta mmiezo ‘a na via
mmiezo ‘e mariuole e mmiezo ‘a polizia
e allora che vulite si vengo ‘a cucaina
si voglio magnà pur’ije sera e matina
si voglio stà pur’ije comm’e figlie d’e signure
co ‘e denare ind’a sacca ‘e co ‘e vestiti bbuoni!

Questa riflessione personale, sia chiaro, non pretende di essere motivo di giustificazione o arringa di difesa per esporre attenuanti nei confronti degli autori di questi o altri crimini ignobili. Tornando a bomba io non ho proposte da suggerire per risolvere i mali di questa città, ma ho nel cuore un immenso dolore per i genitori delle vittime, sicuramente orbati della gioia più grande: la felicità dei figli. Avrei anche una speranza in un futuro migliore, ma non incondizionata. Eduardo quasi ottanta anni fa ci rincuorava dicendo “a da passà a nuttata”, ma io, con i versetti del profeta Isaia vorrei chiedere: “sentinella a che punto è la notte?” per questa città.

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