Scatole cinesi – 5^ parte

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Dell’auto che aveva tamponato Antonio Della Monica non c’era traccia: chi la conduceva non si era fermato né per prestare soccorso, né per avvisare la polizia o i carabinieri dell’accaduto.

Sul luogo dell’impatto non c’erano elementi sufficienti a fare chiarezza sulla dinamica dell’incidente e l’assenza di telecamere di sorveglianza, in quel tratto in cui la carreggiata formava una curva a gomito, non era di grande aiuto: ‘se avessero voluto far uscire di strada deliberatamente l’auto del commercialista – pensò Iezzo – non avrebbero potuto scegliere un posto migliore’.

“Prima l’assassinio di Alfredo, ora l’incidente ad Antonio: cosa sta succedendo?” si chiese Laura mentre Iezzo le accendeva la sigaretta che si era portata alle labbra appena furono usciti dal pronto soccorso dell’ospedale.

Pasquale non poteva fare a meno di osservare la moglie di Della Monica e pensare quanto fosse stridente l’assortimento di quella coppia in cui a un uomo dall’aspetto insignificante si accompagnasse una donna di una tale bellezza e sensualità, che solo per un caso fortuito era scampata a un incidente che avrebbe potuto ucciderla.

‘Cazzo! L’auto precipitata nel dirupo era della Somma e al volante doveva esserci lei! Se non si fosse trattato di un incidente causato da un pirata della strada, ma di un deliberato tentativo di far fuori quella donna?’

Mentre provava ad annodare i fili di pensieri apparentemente distanti l’uno dall’altro, il commissario si congedò da Laura Somma e in compagnia di Franzese, che lo aveva atteso in auto, fece ritorno in ufficio.

Per il resto della giornata Iezzo restò in commissariato a sbrigare quelle noiose pratiche amministrative che aveva momentaneamente accantonato per dedicarsi all’indagine sull’omicidio di Alfredo de Silvestri.

Solo nel tardo pomeriggio, complice un ricorrente brontolio dello stomaco, si rese conto di aver saltato il pranzo.

Fuori era scuro e già stavano subentrando gli agenti del turno di notte.

Nel silenzio del corridoio, che conduceva alla sua stanza, risuonò un ticchettio di passi femminili che non ebbe difficoltà a riconoscere.

“Entra Franca” disse Iezzo mentre la donna bussava alla porta.

“Se non avessi la certezza di essere l’unica donna che viene a trovarti in ufficio, sarei lusingata dal fatto che riconosci il mio modo di camminare dal rumore dei tacchi.”

Sollevando gli occhi, che fino a quel momento aveva tenuto bassi sulle carte, Iezzo fu colpito dalla donna che, in un normalissimo tailleur pantaloni e dopo una giornata di lavoro, era più attraente che mai.

Franca, facendo finta di non aver notato lo sguardo ammirato di Pasquale, lo raggiunse dietro la scrivania per dargli un bacio sulla guancia, come faceva sempre quando s’incontravano da soli.

Questa volta, però, le sue labbra indugiarono qualche attimo più del solito sul volto dell’amico, che arrossì per l’imbarazzo.

“Sono venuta in commissariato, sperando di trovarti ancora qui, per invitarti a cena; e aspetta, prima che tu possa inventarti chissà quale scusa per sottrarti, voglio dirti che ho chiesto a Simone di riservarmi un tavolo per due fino alle nove. Ho pensato: se non gli basta l’invito di una bella donna, di sicuro non saprà dire di no alle prelibatezze cucinate dal suo chef preferito. Ora non ti resta che accettare, ma per cortesia lasciami credere che avremmo cenato insieme anche se ti avessi proposto un fastfood”.

La malinconica dolcezza di quelle ultime parole di Franca accarezzò il cuore di Pasquale che tornò a pulsare, di battiti dimenticati, per quella donna che aveva davanti a sé e che solo ora vedeva sotto una luce diversa.

Raccolse le sue cose dalla scrivania, prese Franca sottobraccio e uscirono insieme dal commissariato per raggiungere la locanda di Simone.

Seguirono il percorso di mare consigliato dallo chef e affidarono a due bottiglie di Biancolella d’Ischia il compito di condurli, almeno per quella sera, il più lontano possibile dai loro affanni quotidiani.

Mentre gustavano quell’unica porzione di cannolo scomposto che avevano ordinato per concludere la cena, Pasquale si chiese cosa potesse nascere dall’unione di due solitudini e Franca, come se gli avesse letto nel pensiero, in quello stesso momento gli accarezzò il viso.

Pagarono il conto, salutarono Simone e, in silenzio, si avviarono verso l’auto della donna.

Durante il tragitto verso casa del commissario, cosa alquanto insolita per Franca ma normale per Pasquale, i due restarono in silenzio.

Giunti a destinazione, Iezzo si girò verso l’amica per salutarla, incrociò il suo sguardo e finì per perdersi nel verde di quegli occhi.

Le note di “Take Five”, che annunciavano la prima telefonata della giornata per il commissario Iezzo, li trovarono ancora a letto, nudi e abbracciati come due teneri amanti che non vorrebbero separarsi.

Fu Franca a far notare a Pasquale che il suo cellulare squillava da un bel po’ e che forse, data l’insistenza, era il caso di rispondere.

Iezzo guardò quella splendida donna nuda stesa al suo fianco e, per la prima volta da quando si conoscevano, si rese conto di quanto fosse bella.

Quello sguardo carico di ammirazione non sfuggì a Franca che, con un pizzico di malizia, colse l’attimo per alzarsi dal letto con la scusa di recuperare il telefono di Iezzo, finito chissà dove nella concitazione della sera prima, che intanto continuava a squillare: cercandolo, offrì al suo Pasqualino una diversa prospettiva da cui farsi osservare.

“Dimmi Franzese – rispose Iezzo senza neanche guardare il display del telefono, poiché sapeva che solo quell’uomo avrebbe potuto spezzare la magia di quel momento – cosa è successo?”

“Commissario, pochi minuti fa hanno telefonato dall’ospedale: Antonio Della Monica è deceduto.”

La notizia della morte del commercialista fece svanire l’incanto che aveva trasformato i due amici in amanti.

Giusto il tempo di un caffè e di una doccia e già erano pronti per uscire.

Nell’androne del palazzo incrociarono Ernesto, che mai avrebbe potuto perdere l’occasione di un caloroso vaffanculo mattutino al suo amico commissario e a quella bella donna che lo accompagnava, di cui ebbe modo di apprezzare le generose forme con un ammirato “che tette!”: di certo l’interesse del diciottenne per la sensualità di Franca Marino era dovuto al subbuglio ormonale tipico di quell’età e il complimento, non certo galante, espresso ad alta voce, fu solo in parte, almeno questa volta, ascrivibile alla sindrome di Tourette.

Mentre saliva le scale del commissariato e si preparava psicologicamente a sostenere l’urto del dettagliato resoconto di Franzese sul decesso di Antonio Della Monica, nella mente del commissario prendeva sempre più corpo la convinzione che l’auto del commercialista fosse stata volutamente tamponata per farla precipitare nel dirupo: in quel caso ora gli omicidi su cui indagare sarebbero stati due e, molto probabilmente, connessi fra loro.

Così la pista lo riconduceva allo studio dei tre soci, di cui ormai ne rimaneva solo uno.

Il ricordo della notte appena trascorsa fra le braccia di Franca aiutò Pasquale a sopportare pazientemente l’ascolto del tedioso rapporto stilato da Franzese sulla morte del secondo commercialista.

Quando un improvviso silenzio gli diede la certezza che l’ispettore non avesse più nulla da aggiungere, Iezzo dispose che Laura Somma, la moglie di Della Monica, fosse convocata in commissariato.

Appena la donna entrò nell’ufficio del commissario, Iezzo non poté fare a meno di notare che quei bellissimi occhi blu, che l’avevano colpito al primo incontro in ospedale, ora sembravano spenti e in quello sguardo si poteva leggere qualcosa che andava oltre il dolore, ma che il poliziotto non riusciva a decifrare.

“Signora Somma, mi dispiace molto per suo marito e ancora di più di averla convocata in commissariato in un momento così triste per lei, ma ho bisogno di chiederle alcune cose.”

“Faccia pure, commissario, se può servire a fare chiarezza sull’incidente, ma non so cosa altro potrei aggiungere a ciò che le ho già detto ieri.”

“Il fatto è che non credo si sia trattato di un incidente: l’auto è stata volutamente spinta fuori strada.”

Di fronte all’affermazione di Iezzo, la donna impallidì e il commissario continuò.

“Antonio stava guidando la sua auto e solo per un caso non c’era lei al volante. Mi ha raccontato che avrebbe dovuto ritirarla dal carrozziere, ma era stata trattenuta da un impegno di lavoro e così aveva pregato suo marito di andarla a prendere: nell’auto volata giù nella scarpata avrebbe dovuto esserci lei. E questo è quello che credeva anche chi ha volutamente tamponato la sua auto per farla uscire fuori strada. Qualcuno la voleva morta. Chi può avercela con lei fino a questo punto?”

La rivelazione di Iezzo gettò la donna, già provata dalla morte del marito, nello sconforto più assoluto: volevano ucciderla e Antonio era morto al posto suo.

Iezzo chiamò Franzese e gli chiese di portare due caffè e una bottiglia d’acqua e, mentre aspettavano, riprese a interrogare la donna.

“Signora Somma, so che in questo momento è difficile, le chiedo, però, di fare uno sforzo e concentrarsi: provi a ricordare se negli ultimi tempi lei abbia avuto contrasti personali o professionali con qualcuno che potrebbe essersi risentito a tal punto da volerla uccidere.”

La donna rimase alcuni istanti in silenzio, come se stesse provando a riavvolgere il filo degli avvenimenti delle ultime ore, che avevano visto suo marito morire e lei vittima mancata di qualcuno che, chissà per quale motivo, volesse la sua morte.

L’ingresso di Franzese con l’acqua e i caffè le fece riprendere il contatto con la realtà.

“Non ho idea di chi possa volermi ammazzare e tanto meno del perché voglia farlo.”

“Eppure, se la mia ipotesi non è sbagliata, lì fuori c’è qualcuno che voleva ucciderla e non è escluso che possa riprovarci.”

La sola idea di un assassino in agguato fece rabbrividire la donna, gettandola nello sconforto.

“C’è qualcosa d’insolito che ha fatto, anche inconsapevolmente, o che le è capitato di recente che può aver scatenato la rabbia omicida di qualcuno?”

“Commissario, conduco una vita tranquilla e penso di non aver fatto del male a nessuno.”

“Cominciamo allora dal suo lavoro. Ha avuto screzi o discussioni con i colleghi?”

“Il nostro è un team di architetti molto affiatato, lavoriamo insieme da anni in grande armonia; per cui escludo che qualcuno di loro possa provare anche un minimo risentimento nei miei confronti”

“E riguardo a suo marito: quali erano i vostri rapporti?”

“Antonio era una persona tranquilla, ci volevamo bene.”

“Quindi potremmo dire che il vostro era un matrimonio sereno, senza scossoni.”

Il riferimento al rapporto sentimentale che la legava al marito provocò un improvviso quanto impercettibile irrigidimento della donna che non sfuggi a Iezzo.

“Antonio aveva un’amante?” chiese il commissario a bruciapelo.

“No, che dice”

“E lei? C’è qualcun altro nella sua vita?”

La domanda del poliziotto ebbe l’effetto di una doccia gelata su Laura Somma, che abbassò lo sguardo.

Le lacrime le rigarono il volto: Iezzo aveva colto nel segno!

Laura raccontò una storia uguale a tante altre.

Antonio era sempre più preso dal lavoro; rientrava a casa tardi, era taciturno, spesso nervoso e preoccupato. Si recava continuamente a Milano o a Ginevra, dove avevano sede gli altri due studi di cui era socio con Gianluca Pisanti e Alfredo de Silvestri. Negli ultimi tempi a casa si vedeva di rado e, quando c’era, non è che comunicassero più di tanto. Quei silenzi stavano logorando il loro rapporto; e Alfredo de Silvestri se ne era accorto. In occasione dei frequenti viaggi di Antonio fuori città, Alfredo ne approfittava per invitarla a pranzo o a cena, con la scusa di volerla aiutare a superare il momento di difficoltà che lei e il marito stavano attraversando. L’interessamento per la crisi coniugale si trasformò ben presto in un serrato corteggiamento; e divennero amanti.

Laura, dopo la confessione dell’adulterio, provò la sensazione di essersi liberata di un peso che la stava opprimendo fino a farle mancare l’aria.

I tratti del suo viso si distesero e, mentre accendeva l’ennesima sigaretta, fornì a Iezzo un tassello importante nel complicato puzzle dell’indagine sull’omicidio di Alfredo de Silvestri.

Continua…

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