Scatole cinesi 2^ parte

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Durante il corso della mattinata i soci della vittima e la segretaria avevano verificato che dallo studio non era stato sottratto nulla e quindi si poteva escludere che a uccidere Alfredo de Silvestri fosse stato un ladro colto sul fatto.  

Franzese era anche andato in giro per il quartiere a fare domande e aveva potuto riscontrare che del commercialista parlavano tutti con particolare deferenza, quasi una sorta di rispetto.

Inoltre aveva appreso che la vittima era solita frequentare la palestra poco distante dallo studio, dove si recava almeno tre volte a settimana durante le pause dal lavoro; pertanto il poliziotto aveva ritenuto opportuno fare un sopralluogo in quello che si era rivelato un centro fitness di lusso, il cui proprietario, Marco Colucci, era a sua volta cliente dello studio associato de Silvestri, Pisanti e Della Monica.

Quanto al resto sembrava non ci fossero chiacchiere sulla sua vita privata che potessero far presumere la presenza di amanti e quindi di mariti traditi in cerca di rivalse.

Infine, l’assenza di negozi, e delle relative telecamere di sorveglianza, nella zona residenziale di via Verdi, non aveva consentito di acquisire immagini che fossero d’aiuto a ricostruire i movimenti lungo quella strada nelle ore in cui era avvenuto l’omicidio di Alfredo de Silvestri.

Questo, in sintesi, fu il resoconto che Franzese avrebbe potuto riferire al commissario in meno di cinque minuti; in realtà il povero Iezzo dovette sorbire, per un’interminabile mezz’ora, un dettagliatissimo rapporto, zeppo d’inutili particolari e ripetizioni che più di una volta avevano rischiato di fargli perdere il filo del racconto.

Sacramentando in silenzio, Iezzo uscì dall’ufficio di Franzese e lasciò il commissariato per raggiungere la dottoressa Marino all’istituto di medicina legale.

Franca aveva ricevuto l’autorizzazione del magistrato a eseguire l’autopsia in tarda mattinata e quando il commissario Iezzo bussò alla porta del suo ufficio, adiacente alla sala mortuaria, stava completando la stesura del rapporto sull’esame autoptico effettuato sul cadavere di Alfredo de Silvestri.

“Se fremevi per rivedermi ti sarebbe bastato farmi una telefonata e sarei venuta io da te: lo sai che non rifiuterei mai un tuo invito, anche se mi chiami sempre e solo per motivi di lavoro” esordì con un tono di falso rimprovero la dottoressa Marino vedendo entrare il suo amico.  

“Dai Franca, mi chiedo perché non perdi mai l’occasione per mortificarmi: evidentemente devi provare un sottile piacere nel punzecchiarmi di continuo”

“Che fai, Pasqualino, ora mi metterai il broncio come quando eravamo bambini?” ribatté maliziosa la donna avvicinandosi al commissario e baciandolo sulla guancia.

“Passata la bua?”

“Franca smettila di scherzare. E poi non capisco come fai a essere sempre così di buon umore con il lavoro che fai”

“Commissario, tu ed io abbiamo a che fare dalla mattina alla sera con i peggiori misfatti che le persone possano compiere; ma io, sin da quando ho cominciato a svolgere questo lavoro, che pure mi appassiona, ho sempre pensato che si trattasse, appunto, solo di lavoro. Tu te ne fai una malattia, che ti rode dentro e ti acquieti solo quando risolvi il caso; ma così non va bene, perché ne paghi le conseguenze nella tua vita privata. A proposito: ce l’hai ancora un’esistenza al di fuori del commissariato?”

Pasquale assorbì il colpo sotto la cintura infertogli dalle parole dell’amica senza replicare.

Del resto Franca aveva ragione.

Quel suo modo di essere gli era costato l’abbandono della moglie che un po’ alla volta, con il tempo, si era allontanata da lui.

Franca si rese conto di essere stata brusca, ma la passione che da sempre provava per il suo Pasqualino, ora che dopo il divorzio l’uomo era libero dai vincoli che fino a quel momento l’avevano trattenuta, reclamava di essere corrisposta.

“Perdonami, non volevo ferirti”

“No scusami tu. Il fatto è che dovrei apprezzare di più la tua gioia di vivere e lasciarmi contagiare; invece finisco con il trasmetterti il mio cattivo umore”

“Pasqualino lo sai che non posso avercela con te per più di cinque minuti al massimo” gli sorrise Franca pizzicandogli le guance con tutte e due le mani, come faceva da ragazzina per suggellare la pace fatta dopo un litigio.

“Ad ogni modo t’informo che Alfredo de Silvestri è stato ucciso fra le ventuno e le ventidue di ieri sera, con un solo colpo, violento, sferrato alla nuca con un oggetto metallico. Nulla di affilato, tipo lama di coltello; direi piuttosto una specie di poliedro, vista la lacerazione dei tessuti e la particolare frattura dell’osso occipitale. Azzarderei l’ipotesi che possa essere stato colpito con la base di una statuetta”

“Quindi l’assassino non è andato lì con l’intento di uccidere; probabilmente deve esserci stata una discussione che è degenerata, e la vittima è stata colpita mentre dava le spalle al suo carnefice”

“Esatto”

“Ma per avergli voltato le spalle, in quella che possiamo presumere sia cominciata come una lite verbale, non solo doveva conoscere l’omicida ma doveva anche fidarsi di lui”

“È un’ipotesi che sta a te verificare”

“Hai scoperto altro?”

“E dagli con questo hai scoperto altro: come te lo devo dire che il medico legale non scopre, ma esamina. L’autopsia non è una caccia al tesoro, ma un esame scientifico, in cui il paziente non può nascondere nulla”

“Franca, non ricominciare, per favore”

“E va bene. Qualche altra cosa l’ho scoperta

 “Vale a dire?”

“Il nostro Alfredo, poco prima di passare a miglior vita, aveva avuto un rapporto sessuale completo”

Erano da poco passate le diciannove quando il commissario Iezzo varcò il portone del palazzo in cui abitava.

Sull’uscio della portineria c’era la signora Carla, la moglie del custode, insieme al figlio Ernesto, un ragazzone di diciotto anni con una spiccata propensione per la musica, ma un piccolo problema.

“Dottore buonasera” disse cordialmente la portinaia.

La signora Carla nutriva un grande affetto e una smisurata ammirazione per quel commissario così distinto e taciturno che abitava nel suo palazzo e di cui spesso leggeva il nome sulla cronaca nera dei quotidiani, per i casi brillantemente risolti.

Ma Carla era riconoscente a Pasquale Iezzo soprattutto per l’attenzione che riservava a Ernesto.

“Buonasera Carla. Ciao Ernesto, come va?”

“Vaffanculo commissario, tutto a posto”

Ecco, era questo il piccolo problema di Ernesto: era affetto dalla sindrome di Tourette.

Nel ragazzo quel disturbo neurologico, oltre che per i non pochi tic nervosi, si caratterizzava per l’involontario turpiloquio che spesso faceva capolino nei suoi dialoghi.

“Ernesto, chiedi subito scusa al commissario” disse mortificata la moglie del custode.

“Tranquilla, Carla, lo sappiamo che non era intenzionale. Piuttosto, dimmi Ernesto: come procedono le lezioni di piano?”

Dall’età di dieci anni il ragazzo riceveva, gratuitamente, lezioni dal maestro Attilio Cuocolo, un virtuoso del pianoforte, amico di Iezzo. I due avevano stretto un’autentica amicizia anni addietro quando, agli inizi della sua carriera in polizia, il commissario aveva risolto il caso dell’omicidio della moglie di Attilio. Tutto faceva supporre che ad ammazzarla fosse stato il marito, perché avevano trovato le sue impronte digitali sul coltello con cui la donna era stata uccisa. Attilio, in lacrime e sconvolto per la morte della moglie, aveva giurato di aver estratto il coltello dal corpo della donna nel tentativo di soccorrerla. Il fermo e l’arresto erano stati inevitabili. L’indagine fu affidata a Iezzo, commissario fresco di nomina, perché si facesse le ossa con un caso di facile soluzione: sull’arma con cui era stata ammazzata la donna c’erano le impronte del marito. Restava da scoprire solo il movente. Il fascicolo arrivò sulla scrivania di Pasquale Iezzo dopo l’arresto di Attilio Cuocolo, cosicché il giovane commissario dovette recarsi in carcere per raccogliere la deposizione dell’accusato. Durante l’interrogatorio che seguì, Iezzo cominciò a nutrire dubbi sulla colpevolezza del Cuocolo e indirizzò le indagini verso altre piste. Così, in capo a tre giorni, scoprì che a uccidere la moglie del pianista era stato un collega d’ufficio della donna, respinto dopo l’ennesima avance. Attilio tornò libero e si legò a Pasquale di una sincera e ricambiata amicizia.

“Il maestro Cuocolo mi ha detto che fra poco non avrò più bisogno delle sue lezioni perché sono diventato proprio bravo”

“Sono contento. Se Attilio ti ha detto questo, non ci resta che prepararci ad assistere a un tuo futuro concerto: spero che m’inviterai?”

“Certo”

“Ora però vado a casa perché sono un po’ stanco e ho ancora diverse cose da fare”

“Che cazzo hai da fare a quest’ora?”

“Ernesto!”

“Tranquilla, Carla. A domani Ernesto”

“Vaffanculo, commissario”

E Pasquale non poté fare a meno di sorridere, ripensando che quel siparietto tragicomico, che si ripeteva quasi ogni sera, rappresentava la nota più lieve del cupo spartito di cui risuonavano le sue giornate da quando la moglie l’aveva lasciato.

Nel frigorifero non c’era un gran che, giusto degli affettati sottovuoto e uno spicchio di provolone: ‘Non proprio il massimo’ rifletté Pasquale.

Mentre si stava rassegnando alla frugalità di quel pasto serale, squillò il telefono di casa.

“Non dirmi che stavi già cenando” esordì la voce dall’altro capo del filo.

Era Enzo Esposito, suo carissimo amico da più di trent’anni.

“Che ne dici se andassimo a mangiare qualcosa insieme alla locanda di Simone?”

“Dio ti benedica, Vincenzo!”

“Ok, allora passo a prenderti con la moto fra un quarto d’ora”

Seduti a un tavolo appartato nell’accogliente ristorantino, i due amici decisero di affidare al giovane e talentuoso chef la scelta delle portate.

“Simone fai tu, come al solito, che come fai, fai bene” disse Pasquale rivolgendosi al cuoco.

“Enzo, stasera mi hai salvato dalla depressione cronica che mi stava assalendo quando ho aperto il frigo”

“Meglio così, no?” disse Enzo indicando gli antipasti che nel frattempo erano stati portati a tavola.

I due amici mangiarono di gusto e con grande appetito per circa un’ora, accompagnando le pietanze con un ottimo vino rosso consigliato dallo chef.

“Non è solo per il piacere di vederti che ho voluto cenare con te – disse Enzo mentre sorseggiavano due bicchierini di grappa barricata – Ho sentito dell’omicidio di Alfredo de Silvestri e c’è qualcosa che dovresti sapere”

Il riferimento all’indagine in corso colse un po’ alla sprovvista il commissario Iezzo; però, a pensarci bene, il dottor Vincenzo Esposito, oltre ad essere un suo caro amico, era uno dei più noti commercialisti della città.

Figlio di un operaio e di una casalinga, aveva studiato tanto, e lavorato ancor di più, per affermarsi nella sua professione, fino a divenire un punto di riferimento per tanti suoi colleghi.

“Non voglio sapere nulla dell’indagine che stai conducendo, anche perché so che non mi diresti niente; ma sono a conoscenza di qualcosa che penso possa tornarti utile”

Enzo fece cenno al cameriere di portare il conto e, dopo aver pagato e salutato Simone, i due uscirono dalla locanda.

Aspettando che l’amico cominciasse a parlare, mentre camminavano Pasquale accese l’immancabile toscanello aromatizzato al caffè con cui, ogni sera, chiudeva ufficialmente la sua cena.

“La questione è delicata e ciò che sto per dirti è strettamente confidenziale e lo sto dicendo all’amico”

“Ma l’amico è un commissario di polizia che sta seguendo un’indagine” fece per obiettare Pasquale, ma fu subito interrotto da Enzo che sapeva dove l’amico volesse andare a parare.

“Difficilmente scopriresti ciò che sto per rivelarti e, credimi, è una questione molto delicata”

“Ti ascolto”

Continua …

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