Quella macchia di verde nei pressi di casa esercitava sui suoi sensi, appannati dal caldo asfissiante, un’attrazione irresistibile: peccato che di lì a poco si sarebbe rivelata fatale!
Camminava con al guinzaglio il suo riluttante amico a quattro zampe, che dava l’impressione di essere rassegnato a seguirlo più per affetto che per la necessità fisiologica di espletare i propri bisogni.
L’anticiclone Cerbero picchiava duro e non poteva fare a meno di chiedersi chi fosse il “genio” che desse i nomi alle ondate di calore, attingendo a mani basse dalla mitologia greca e romana, mentre invece, provenendo tutte dal continente africano, sarebbe stato più corretto denominarle con termini desunti dal lessico dei paesi di provenienza.
Seguendo il filo imperscrutabile delle associazioni di idee, si ritrovò a pensare che, forse, l’avanzare inarrestabile di quel caldo dall’Africa volesse, sia pure in minima parte, fare giustizia di tanti respingimenti.
Assorto in queste divagazioni, la cui genesi sicuramente risentiva dell’alta temperatura e dell’insopportabile tasso di umidità, si ritrovò davanti all’ingresso di un grande parco pubblico, ricavato dal giardino di una villa settecentesca che aveva vissuto tempi migliori.
Varcare la soglia e ritrovarsi trascinato nel prato dal fido cane fu questione di pochi secondi.
L’abbaio e le giravolte su se stesso esprimevano una tale gioia che non gliene volle per essere stato bruscamente costretto a correre per alcune decine di metri prima che il cane decidesse di fermarsi ad annusare la base di un tronco d’albero.
Ripreso fiato, non poté fare a meno di notare un gruppetto di donne che, per quel poco che riusciva a intuire data la sua totale incompetenza nel merito, probabilmente stavano praticando chissà quale particolare esercizio di meditazione yoga.
Dalla posizione assunta dalle signore riusciva a percepire, o almeno solo quello gli interessava, la sinuosità di alcune forme che avevano catalizzato il suo sguardo.
L’abbaio insistito del cane, che richiamava possibili compagni di gioco presenti nelle vicinanze, lo distolse da ciò che stava osservando con tanta attenzione.
Prima di volgere lo sguardo verso il quadrupede che l’accompagnava, aveva avuto il tempo di notare che le signore dedite agli esercizi di contemplazione trascendentale erano tutte scalze.
Pensò al refrigerio che stessero provando al contatto con l’erba fresca del prato e decise che sarebbe stato saggio imitarle.
Tolte scarpe e calzini cominciò a camminare a piedi nudi nel parco.
Un atto liberatorio che gli riportò alla mente la brillante commedia di Neil Simon, tante volte vista e apprezzata nella riduzione cinematografica interpretata da Jane Fonda e Robert Redford, nell’ormai lontano 1967.
“Che piacevole sensazione” pensò, mentre l’erba gli accarezzava le estremità inferiori del corpo, procurandogli un refrigerio il cui ricordo si perdeva negli anni dell’infanzia.
Rapito da quel flashback, non si avvide dell’insidia nascosta nel prato.
Fu un attimo e l’estasi si trasformò prima in turbamento per poi degenerare in repulsione, quando affondò il piede in una cacca fumante deposta da uno di quei cani che, alleggeritosi del peso, ora trotterellava felice nell’erba.