Radici di un divario

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Rappresentazione di reti neuronali (Fonte: www.wired.it/)

Le reti neuronali di cui siamo dotati hanno la funzione di trasmettere impulsi nervosi che trasportano informazioni, e si eccitano e si inibiscono a seconda degli input che ricevono. Più impulsi trasmettono, più queste vie neuronali si rinforzano, facilitando il passaggio di informazioni. Ecco perché, nonostante il decadimento cerebrale dovuto agli anni e la conseguente perdita delle cellule nervose (neuroni), le vie più battute, rinforzandosi, sono soggette a quella “plasticità” che consente negli anni prestazioni cognitive magari migliori degli anni passati. Le vie meno battute dagli stimoli-impulsi, viceversa, vanno incontro a una progressiva atrofia, fino a scomparire. Ciò spiega perché le persone che nel corso della loro infanzia hanno avuto scarsi stimoli per motivi socio- economici, in età adulta hanno meno possibilità di emergere dal punto di vista sociale e lavorativo. Ogni volta che il cervello impara qualcosa, le connessioni tra i neuroni si modificano: possono aumentare, rinforzandosi, o variare gli scambi elettrici con migliore efficienza.

A questo punto, avendo letto il titolo dell’articolo, penserete: a cosa volevo riferirmi con questa premessa fisio-anatomica del cervello? Il riferimento è a un ennesimo articolo apparso su un quotidiano nazionale, a proposito dell’annosa “questione meridionale” tornata in auge in seguito alle pressioni politiche per l’autonomia differenziata, fortemente voluta dalla Lega. Ormai si sprecano gli argomenti sulla sua giusta attuazione, nonostante la storia e l’economia dicano il contrario. Il principale argomento a favore è la destinazione del gettito fiscale, cui non corrisponderebbero investimenti equivalenti, dimenticando però che

A) il gettito fiscale al Nord è maggiore rispetto al meridione perché c’è meno disoccupazione, quindi più gente che paga le tasse;

B) la Costituzione parla di equa distribuzione delle risorse su tutto il territorio nazionale, non di privilegi per aree già sviluppate, usando un termine, perequazione, che non si presta ad equivoci.

Il divario Nord-Sud dopo l’unità d’Italia era modesto. Cominciò a crescere solo alla fine del secolo, quando l’Italia imboccò la via dell’industrializzazione moderna, fino a divenire irreversibile. Ma già nel 1861 il ministro Nitti emanò una legge sulla “unificazione dei debiti pubblici” che gravò soprattutto sul meridione, essendo il debito del Piemonte (142 lire per abitante) più del doppio di quello del sud peninsulare (63 lire pro capite), oltre al peso della pressione fiscale che incise profondamente sulle condizioni socio-economiche del Sud. Quindi la storia ci dice, chiaramente, che questo divario era non solo previsto ma addirittura pianificato. Tant’è che alla fine della seconda guerra mondiale l’economia italiana era ormai polarizzata: un Nord in gran parte industrializzato, mentre il Sud restava in prevalenza rurale. E per giustificarlo negli anni si è evocato addirittura un problema antropologico: il meridionale è individualista, indisciplinato, dedito al delitto (Alfredo Niceforo), mentre l’uomo del Nord è più portato al bene comune, alla civiltà. Si faceva riferimento a Lombroso: il meridionale ha un cranio dolicocefalo e capelli neri, caratteristiche associate alla delinquenza. Anche un illustre meridionalista come Giustino Fortunato cadde in questa trappola genetica: la stirpe del Sud ha caratteristiche anatomiche diverse da quelle del Nord (brachicefalica) oltre ad avere ascendenze istituzionali medioevali rispetto a quelle comunali (da cui emerse la borghesia, l’industria e il commercio) del Nord. Si è scomodato anche il Q.I. (quoziente intellettivo), con test scolastici che hanno evidenziato punteggi nettamente superiori al Nord rispetto al Sud. Fino a che i progressi della genetica (col sequenziamento del genoma) e seri studi sociali ottenuti su campioni più ampi ed eterogenei hanno smentito quelle affermazioni. Non esistono razze, abbiamo tutti una comune ascendenza, le differenze fisiche dipendono dalle condizioni ambientali in cui si vive: il colore scuro della pelle, ad esempio, dipende dalla iper pigmentazione dovuta alla melanina, che ci protegge dai danni dei raggi solari (quando si vive nella fascia equatoriale) mentre i popoli del Nord, invece, meno esposti al sole, hanno una carnagione più chiara.

Il differente Q.I. rilevato nei testi scolastici quindi dipende dalle condizioni socio-economiche diverse, che influenzano in maniera positiva le reti neuronali se sono stimolate, o in maniera negativa in caso contrario. Estremizzando, un bambino recuperato da un abbandono scolastico, o che vive in una famiglia di semianalfabeti, disoccupati o con lavori saltuari e al limite della legalità, certamente partirà svantaggiato rispetto a chi vive in una famiglia di livello culturale ed economico migliore. È il cosiddetto “effetto Flynn”. Ossia migliori condizioni socio economiche sono associate a un aumento del Q.I. medio.

Questo fenomeno si è visto negli anni ‘90 dopo l’unificazione delle due Germanie, quando un programma politico-economico mirato ha ridotto le differenze esistenti, risolvendo il divario delle condizioni di vita pre-unificazione. Quello che purtroppo non si è fatto in Italia in questi anni, dove al posto di un’equa redistribuzione delle risorse derivanti dagli introiti fiscali e dai fondi europei si è privilegiata sempre la parte ricca del Paese a spese di quella povera. Naturale allora, tornando alla premessa iniziale e all’effetto Flynn, e concludendo, che lo svantaggio economico si manifesti con uno svantaggio socio culturale, perché certe autostrade neuronali sono state poco percorse durante l’infanzia, sicché uno del Sud, per emergere, ha dovuto studiare e impegnarsi il doppio per riempire quel gap di partenza.

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