Avere o essere?

tempo di lettura: 4 minuti

www.zonagrigia.it sta sempre sulla notizia, e lo dimostrano in particolare i preziosi e puntuali interventi di Elio Mottola e di altri attenti collaboratori. La notizia di cui vorremmo occuparci, da alcuni giorni riempie le pagine di tutti i giornali, deborda nei notiziari televisivi ed è oggetto di commenti della più svariata sorta fra i cittadini. Credo che ormai sia chiaro che ci stiamo riferendo alla vicenda di Leonardo “Apache” La Russa, uno dei tre figli del presidente del Senato (gli altri due sono Kociss e Geronimo, il che tradisce una passione sfrenata per il western alla Tex Willer o per i capolavori di John Ford con John Wayne, in piena armonia con l’atteggiamento sanguigno dell’illustre senatore).

Tutto ciò che c’è da dire è stato detto, ed anche con accenti e parole che vanno ben oltre le mie capacità. Si veda, per esempio, l’eccellente articolo di Concita De Gregorio apparso a pagina 26 di Repubblica del 9 giugno scorso. Quindi, non essendo io un “addetto ai lavori” non avrei nulla da aggiungere alle copiose informazioni che già ci sommergono. Ciò, però, non mi impedisce di pormi delle domande che vanno ben oltre questo odioso fatto di cronaca, investendo un costume che ormai straripa e che è certamente, anche se in parte, dovuto alla straordinaria diffusione e invadenza dei social che, in tempi brevissimi, stanno cambiando il volto della società in tutto il mondo. Invadenza che assume toni sempre più preoccupanti e che investe in particolare il mondo dei più giovani, dall’adolescenza in poi.

Sembra che oggi la cosa che conti di più sia l’apparire, l’avere, sotto qualsiasi forma, come, per esempio, la incomprensibile corsa ai tatuaggi. Fino a qualche anno fa la caratteristica dei tatuaggi sembrava essere un’esclusiva del popolo Maori della Nuova Zelanda, fra i quali gli splendidi tatuaggi avevano la funzione di comunicazione sociale (un po’ anche oggi), e principalmente servivano a definire la casta di appartenenza del singolo individuo. Oggi non esistono le caste (ma in realtà sono presenti fra di noi, anche se con altro nome) e non dovrebbe essere necessario tatuarsi per informare gli altri del nostro stato sociale. Ormai è comune incontrare giovani tatuati in tutto il corpo con i ghirigori più strani, alcuni con delle poesie o delle scritte provocatrici su braccia e gambe e in ogni parte del corpo visibile e non visibile. Poi è esplosa anche la “moda” di applicare alle unghie forniteci da madre natura, saggia e parsimoniosa, unghie artificiali dalle lunghezze e dai colori più disparati, che rendono molto più complicato afferrare gli oggetti. Se fossero state necessarie quel tipo di unghie, la nostra Madre ce le avrebbe fornite, così come ha fatto con moltissime specie di altre creature viventi.

Cosa c’è dietro tutto questo esibizionismo che fa sì che, anche quando si compie un crimine o un’azione riprovevole, si è irrefrenabilmente spinti a esibirla, data la facilità di immortalare gesti e parole in ogni momento della giornata con gli smartphone che ormai sembrano un’appendice, un’estensione della mano? Non vorrei apparire saccente, ma non posso non ricordare il famosissimo e imperdibile saggio di Erich Fromm, Avere o essere, nel quale l’illustre psicanalista tedesco divide in due categorie gli umani: quelli dell’avere, e quelli dell’essere. Secondo Fromm, l’esistenza incentrata sull’avere identifica la persona con ciò che possiede, e non solo in termini di ricchezza materiale, ma, principalmente, di notorietà, di impatto sugli altri, anche se per ottenere queste cose si è obbligati a travalicare i limiti della decenza, del buon senso, della morale comune. Oggi si è valutati per i “like” e non per ciò che siamo; pur di moltiplicare i “like” molti sono disposti a fare qualunque cosa, come, per esempio, l’«Apache» La Russa che per “sfondare” tra i suoi coetanei cantava “sono tutto fatto, sono tutto matto, ma ti fotto pure senza storie”.

Una volta, nel “buon tempo antico” si direbbe, esisteva un sentimento di rilevante importanza che oggi è definitivamente tramontato: la vergogna. Ci si vergognava quando si era scoperti a fare qualcosa di indecente o di riprovevole. Si chiedeva scusa, si era posti in punizione dai padri con l’obbligo di non farlo più. Oggi alla parola vergogna è stato sostituito il termine esibizione che ne è l’esatto opposto. Più sei trasgressivo più hai, in termini di consenso, di fans, di notorietà.

L’essere di Fromm, invece, non si basa sulla competizione e sul possesso, ma su un rapporto creativo con il mondo: io sono chi sono, non ciò che ho. Le persone della storia mondiale che hanno lasciato una traccia indelebile della loro esistenza, non sono certamente le persone dell’avere, ma le persone dell’essere. Quanti, fra dieci o venti anni, si ricorderanno del multimiliardario Berlusconi o Zuckeberg o Musk, se non come uno sbiadito ricordo di megalomani straricchi. Noi, invece, o meglio la storia, non dimenticheremo mai persone più modeste, ma dalla personalità e dal genio inimitabili, persone come Einstein, Newton, Galileo, Leonardo, Hawkins, che erano quello che erano e saranno per sempre ricordati per le tracce indelebili che il loro essere, non il loro avere, hanno lasciato nel trascorrere dei tempi.

Ecco, questo è il mondo dell’«Apache», un mondo in cui gli altri non contano, in cui conta solo il nostro egotismo e, perché non dirlo?, la nostra vigliaccheria, quando si cerca di evitare la giusta punizione che spetta a chi commette atti disgustosi come quello di cui egli è accusato. Alcuni vorrebbero invocare l’esimente della giovane età, ma non funziona, e tanto meno funziona per il suo illustre padre che dall’altissimo scranno sul quale (legittimamente ma con quanto merito?) siede ha già risolto il problema, — dopo uno stringente e serrato interrogatorio del figliuoletto — facendo da giudice, giuria, avvocato difensore; scranno dal quale ha pronunciato l’inappellabile sentenza di “not guilty” per il suo adorabile rampollo come si dice nelle serie TV americane. Ignazio è un uomo senza mezze misure, che esibisce la sua muscolatura politica a fini esclusivamente personali, commettendo così un abuso di potere e uno schiaffo alla democrazia e al potere giudiziario (con il quale lui e il suo partito sono in rotta di collisione) che certamente non depongono a favore del suo dover essere “terzo” in qualunque controversia, e particolarmente in quelle riguardanti la sua famiglia. Sull’argomento ci sarebbe ancora molto, anzi moltissimo da dire, e forse lo faremo un’altra volta. Per adesso ci fermiamo qui con un forte senso di disgusto, di nausea, di pena e di tristezza per lo stato non commendevole in cui versano le più alte cariche dello Stato che, eccettuato il Presidente della Repubblica, meriterebbero l’ostracismo perpetuo.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto