La nuova conformazione di Piazza Municipio a Napoli è il frutto di un lungo e complesso processo di trasformazione urbana che ha coinvolto due architetti portoghesi di fama internazionale: Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura. Il progetto si basa su un forte segno direzionale, una lama bianca in marmo che attraversa longitudinalmente la piazza e punta alla fontana del Nettuno, simbolo della connessione tra la città e il mare. La lama funge anche da presa d’aria per la galleria sottostante che collega il porto con la metropolitana. La piastra è stata disegnata con pochi elementi: due filari di alberi, alcuni arredi urbani eleganti e minimali e una presa d’aria circolare che funge da lucernario per il parco archeologico.
L’intenzione degli architetti era di creare un’immagine pura e raffinata, che ricordasse i boulevard parigini e gli spazi senza tempo di Roma. La nuova configurazione urbanistica del sito ha suscitato però molte polemiche, soprattutto per la scarsità di verde e di ombra in un’area così ampia ed esposta al sole. Alcuni hanno criticato la scelta di privilegiare una monumentalità che non tiene conto delle esigenze dei cittadini e dell’ambiente. Altri hanno invece apprezzato la complessità e la delicatezza dell’intervento, che ha restituito alla città una purezza formale andata perduta nel periodo borbonico, un luogo di incontro, di dialogo e di festa. Come ha dichiarato lo stesso Siza: “La piazza è stata concepita come uno spazio aperto al pubblico. Non abbiamo voluto imporre una forma, ma lasciare che la piazza si adattasse alle esigenze e alle abitudini della gente. La piazza è un luogo di relazione, di scambio, di comunicazione. Non è un monumento, ma una parte viva della città”. Un esempio di come l’architettura contemporanea possa trasformare il volto di una metropoli, ma anche di come sia necessario confrontarsi con le diverse sensibilità e visioni che animano il tessuto urbano. Come ha scritto in proposito il critico d’arte Marco Petroni: “Il nuovo per quanto indigesto può solo liberare caratteri, atteggiamenti, modi di vivere lo spazio pubblico. Ed è tutto da vedere”.
Secondo lo storiografo napoletano Gleijeses, in età greco-romana il sito ospitava l’agone delle corse di bighe ed era detto Platea Corriggiarum. L’aria ‘o Castiello, cioè il largo attorno al Maschio Angioino, fu costruita dagli angioini nel XIII secolo e poi riadattata dagli aragonesi nel XV secolo. Il largo era delimitato da una cinta bastionata e da un fossato, che lasciavano poco spazio alla vita pubblica. Solo alla fine del XVI secolo, grazie all’opera di Domenico Fontana, il largo fu spianato e reso più fruibile, con l’aggiunta di una fontana e di alcuni edifici civili. Da allora, il largo del castello fu teatro di fiere, cerimonie, parate militari e manifestazioni popolari, come documentano le numerose vedute storiche.
Napoli è una città che ha sempre avuto un forte legame con l’arte contemporanea, sia per la sua storia culturale che per la sua vitalità creativa. Negli ultimi anni, Partenope si è trasformata in una “capitale dell’oggi”, grazie a numerose iniziative che promuovono l’arte contemporanea nelle istituzioni e nei luoghi più significativi del capoluogo campano. Tra queste spicca “Napoli contemporanea 2023”, un progetto curato da Vincenzo Trione, consigliere del sindaco per l’arte contemporanea e i musei, che mira alla riqualificazione urbana degli spazi pubblici e alla riattivazione della stagione museale attraverso installazioni all’aperto e numerosi progetti espositivi. L’installazione della Venere degli stracci nella piazza è una delle iniziative del progetto. La scultura è una versione monumentale dell’opera di Michelangelo Pistoletto, realizzata nel 1967, che consiste in una statua di gesso raffigurante la dea della bellezza appoggiata su un mucchio di stracci colorati. L’opera è un’ironica critica al consumismo e al materialismo della società moderna, che contrappone la classicità della Venere al caos degli stracci. L’installazione è stata inaugurata il 28 giugno 2023 e vi rimarrà fino al 31 ottobre 2023.
La Venere dell’artista biellese è un’opera emblematica dell’arte povera, un movimento artistico sorto in Italia nella seconda metà degli anni Sessanta del Novecento, che rifiutava i valori culturali legati a una società organizzata e tecnologicamente avanzata, per fare ricorso a materiali “poveri” come terra, legno, ferro, stracci, plastica, scarti industriali. L’arte povera mirava al recupero dell’azione, del contingente, dell’archetipo come sola possibilità d’arte. Il termine fu coniato dal critico Germano Celant in occasione di una mostra tenuta a Genova nel 1967, alla quale parteciparono artisti come Boetti, Fabro, Kounellis, Paolini, Pascali e Prini. Il movimento si inseriva nel panorama della ricerca artistica dell’epoca, mostrando consonanze con altre esperienze come la pop art, il minimalismo e la land art. L’arte povera segnava una reazione contro la pittura astratta modernista e il minimalismo americano, privilegiando l’uso di materiali semplici e artigianali, la forma dell’installazione e dell’“azione” performativa, il riferimento al mito e alla memoria, il contrasto tra il nuovo e il vecchio, l’altamente lavorato e il pre-industriale.
Il rinnovamento architettonico della città di Napoli è un fenomeno interessante e complesso, che ha aspetti positivi e negativi. Tra i progetti più significativi possiamo ricordare tra gli altri: il Museo Madre, progettato da Álvaro Siza negli anni ’90, che ha trasformato il Palazzo Donnaregina in un museo d’arte contemporanea con una facciata minimalista e un interno ricco di opere site-specific; il restyling del Complesso Monumentale di Santa Maria La Nova, progettato da David Chipperfield nel 2012, che ha restaurato e riqualificato il convento seicentesco con una nuova ala espositiva e una corte interna.
Le stazioni dell’arte sono un esempio di come l’architettura e l’arte contemporanea possano interagire con il contesto urbano e con la mobilità pubblica, creando spazi di bellezza, cultura e innovazione. Premiata come la più impressionante d’Europa dal quotidiano The Daily Telegraph nel 2012 e come la seconda più bella d’Europa dalla CNN nel 2014, la Stazione Toledo della metropolitana, progettata da Oscar Tusquets Blanca nel 2011, ha realizzato una suggestiva galleria decorata con mosaici blu che evocano il mare.
Questi sono solo alcuni esempi di come Napoli sia diventata un laboratorio di sperimentazione architettonica, capace di attrarre grandi architetti internazionali e di dialogare con le diverse anime della città. Tuttavia non bisogna dimenticare le criticità che ancora affliggono il tessuto urbano napoletano, come la congestione del traffico, l’inquinamento, l’emergenza rifiuti, il degrado sociale, la criminalità organizzata. Per questo sarebbe auspicabile una maggiore attenzione alle esigenze dei residenti, alla qualità della vita e alla sostenibilità ambientale.