Quando si perde il controllo

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La nomina del prof. Cassese alla presidenza del “Comitato per l’individuazione dei Livelli essenziali delle prestazioni” (LEP), istituito dal ministro Calderoli come punto di partenza della riforma delle autonomie regionali, aveva suscitato qualche perplessità. In particolare aveva destato stupore la disinvoltura dell’esimio giurista nell’accettare di assumersi il rischio dell’inevitabile strumentalizzazione o, se preferiamo, deformazione politica dei risultati del suo lavoro: non dimentichiamo che il federalismo fiscale è da sempre una meta delle ricche regioni del Nord-Est e un vessillo per la Lega quando era Lega Nord ed anche adesso che finge di non esserlo più.

In un breve articolo pubblicato su la Repubblica del 26 maggio scorso l’autore Sergio Beraldo mette in guardia i lettori dalla trappola che si cela dietro i LEP. Chiarisce, in primo luogo, che il concetto stesso di livello essenziale contiene implicitamente l’idea della disparità di trattamento perché i LEP costituiscono una sorta di minimo comune denominatore oltre il quale sono possibili ulteriori e “meno essenziali” prestazioni, la cui erogazione sarà possibile solo nelle regioni che sono dotate delle necessarie risorse aggiuntive. Ma la ripartizione tra la massa finanziaria da destinare alle prestazioni essenziali e quella spendibile per le prestazioni extra dipenderà esclusivamente da scelte politiche esposte, in quanto tali, agli umori ed agli orientamenti delle maggioranze di governo. Immaginare che il prof. Cassese non fosse consapevole di questo rischio è pura idiozia: evidentemente la sua adesione, ci siamo detti, risponde al desiderio di porsi autorevolmente a tutela della parità di trattamento tra le regioni del nord e quelle del sud, da una delle quali peraltro proviene.

Nei giorni scorsi il Professore si è poi dichiarato favorevole alla soppressione del controllo concomitante della Corte dei Conti, promossa dal Governo in relazione ai progetti del PNRR e poi presentata in Parlamento. La sua posizione non appare in linea né con le autorità comunitarie, che esprimono notevoli perplessità, né con i partiti di opposizione con l’eccezione, guarda caso, di Azione e Italia Viva che vanno assumendo sempre più il ruolo di fiancheggiatori della maggioranza di governo.

Sull’argomento, come sempre, c’è grande confusione. Per capirne un po’ di più si è dimostrato utile il contributo storico-giuridico di Carlo Canepa e Vitalba Azzolini, pubblicato il 3 giugno sul blog “PagellaPolitica”. I due autori ci chiariscono, in premessa, che «la Corte dei Conti svolge tre funzioni: esercita il “controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo”, esercita il controllo “successivo sulla gestione del bilancio dello Stato” e partecipa al controllo sulla gestione finanziaria di enti come le regioni e i comuni». Il “controllo concomitante”, ricordano gli autori, «è stato istituito con la legge n.15 del 4 marzo 2009. L’articolo 11, comma 2, di questa legge stabilisce che la Corte dei Conti “può” effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento».

Per più di dieci anni il controllo concomitante è rimasto di fatto solo sulla carta. Il secondo governo guidato da Giuseppe Conte lo ha rivitalizzato con il decreto-legge n.76 del 16 luglio 2020, convertito in legge a settembre di quell’anno. L’articolo 22 di quel decreto stabilisce che il controllo concomitante “deve” essere svolto anche sui «principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale». In effetti il controllo concomitante è stato ripreso e reso obbligatorio nel 2020 per fungere da «compensazione» alla sottrazione dei pubblici amministratori dalla responsabilità per colpa grave, prevista dal medesimo decreto n.76, il cosiddetto “scudo erariale” introdotto per facilitare gli interventi pubblici nell’emergenza causata dal Covid. D’altronde già nel 2020 prendeva forma il piano di ricostruzione e resilienza post Covid poi concretizzatosi nel 2021 sotto il governo Draghi. Aggiungiamo, rinviando per ogni ulteriore curiosità o approfondimento alla lettura del brillante lavoro riportato nel blog, che nel novembre 2021 la Corte dei Conti ha opportunamente istituito il Collegio del controllo concomitante e ha deciso di far rientrare sotto questo controllo il Pnrr, che è innegabilmente e a tutti gli effetti un “piano pensato per rilanciare l’economia italiana”, cioè rientra pienamente nella disposizione di cui al decreto-legge n.76, sebbene emanato prima del varo del Pnrr, come detto.

Nel lavoro richiamato si legge inoltre, giusto per dare un senso alla nuova funzione dei giudici contabili che «Ad oggi il Collegio del controllo concomitante ha pubblicato 48 delibere dove ha analizzato singoli progetti del Pnrr. Tra le altre cose i magistrati della Corte hanno individuato ritardi nel raggiungimento di vari obiettivi, come per esempio la piantumazione di 1,7 milioni di alberi entro la fine del 2022. In questo caso la Corte dei Conti ha scoperto che in alcune città sono stati piantati solo semi, e non piante già sviluppate, e che in altre, a differenza di quanto dichiarato dalle imprese aggiudicatarie, le piante non sono state piantate.»

Sembra inoltre certo che il controllo in via di cancellazione non sia un inutile duplicato di quelli spettanti agli organismi comunitari ma semplicemente un controllo in meno. Punto e basta. Non solo, ma mentre si sopprime il controllo concomitante si riconferma, col medesimo decreto, la sottrazione degli amministratori pubblici dalla responsabilità per colpa grave, rompendo in tal modo un equilibrio a suo tempo giustificato dall’eccezionalità della pandemia e dando in tal modo mano libera a chi dovrà gestire i progetti regionali e locali, una sorta di immunità che diventa strutturale visto che l’emergenza non c’è più.

Ma sulla validità di questa scelta governativa il prof. Cassese continua a mantenere una posizione favorevole. Colpisce, in una sua intervista rilasciata il 3 giugno su TGCOM24, la superficialità con cui liquida aspetti rilevanti della questione, ma sorprende soprattutto l’insolita durezza con la quale ridicolizza la richiesta della Corte dei Conti di un tavolo di confronto col Governo: ne parla paragonandone il comportamento a quello dell’associazione dei “tassisti” e degli imprenditori “balneari”. Grave caduta di stile per un personaggio dai toni abitualmente misurati e affabili.

Ci siamo allora ricordati che il Professore si espresse favorevolmente anche in merito al referendum costituzionale promosso da Renzi e bocciato nel 2016. Tirando le somme risulta difficile sottrarsi al sospetto che il prof. Cassese ami scaldarsi al fuoco del potere, di qualunque colore politico esso sia.

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