Prove tecniche di regime

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Si è detto, da parte di molti osservatori non prevenuti, che al Governo Meloni bisognava concedere una sospensione di giudizio fino al suo assestamento. Ad assestamento ormai avvenuto (siamo prossimi ai sette mesi di vita) si deve riconoscere che aveva ragione chi ne aveva già condannato le prime, inequivocabili mosse: il decreto rave, l’inumana stretta sul salvataggio dei naufraghi e sulle Ong, l’infelice uscita di Crosetto sulla dirigenza ministeriale che non collabora, quella di Fazzolari sulla Banca d’Italia, le clamorose affermazioni di La Russa, Sangiuliano e Lollobrigida, la propalazione di notizie secretate, utilizzate indegnamente da Donzelli per accusare il PD di connivenza con i detenuti al 41 bis. E poi i silenzi e le omissioni della stessa Meloni, il suo sottrarsi alle conferenze stampa per esibirsi sui social senza alcun contraddittorio come amava ed ama tuttora fare il suo padre putativo, Berlusconi, quello vero essendo Giorgio Almirante mentre Benito ne è il nonno. Potremmo andare ancora avanti ricordando tutte le provocazioni, come la convocazione del Consiglio dei Ministri per il 1° maggio. Non parliamo degli assillanti soliloqui di Salvini che in questo clima ci sguazza per sé e per i suoi.

Sono sufficienti questi indizi a condannare l’azione del Governo? A prima vista sembrerebbero solo affermazioni demagogiche e identitarie (il decreto rave è stato ritirato, gli immigrati salvati dalle Ong, dopo la tragedia di Cutro, vengono accolti, sia pure dopo itinerari prolungati deliberatamente verso assurde località di sbarco). Se analizziamo però la natura dei provvedimenti sin qui assunti o in corso di approvazione o semplicemente annunciati, quegli indizi vengono tristemente rafforzati. Soppressione del reddito di cittadinanza, conferma o riduzione dei finanziamenti in materia di assistenza sanitaria e sociale, concrete strizzatine d’occhio agli evasori fiscali attraverso depenalizzazioni ed agevolazioni nel versamento delle imposte dovute, azzeramento delle multe ai no-vax (salvo poi solidarizzare ipocritamente con Giuseppe Conte schiaffeggiato da uno di loro), difesa ad oltranza di tassisti e concessionari del litorale demaniale vanno tutte in direzione opposta alla redistribuzione dei redditi e alla lotta alla povertà.

Ma ciò che più allarma è l’esasperazione dello spoil system, spinto ben oltre i limiti consueti, una sorta di pericolosa bulimia dovuta forse alla lunga astensione dalle stanze dei bottoni. Dopo la sostituzione dei vertici di tutte le grandi aziende partecipate (Eni, Enel, Leonardo, Terna e Poste) si è passati al commissariamento dell’INPS e dell’INAIL. E per quanto riguarda la RAI si è giunti allo scandalo non solo etico ma anche giuridico di emanare un decreto mirato al licenziamento anticipato del Direttore del Teatro San Carlo per far posto all’attuale amministratore delegato dell’azienda televisiva, Fuortes, e quindi per coprire la poltrona ormai libera con una persona fidata. Le dimissioni volontarie presentate da Fuortes, che si è rifiutato di prendere parte a questa bassa manovra, ha aperto comunque al Governo la possibilità di mettere la RAI nelle mani di Giampaolo Rossi, un altro convinto oppositore, come Lollobrigida, della “sostituzione etnica” concepita dal solito miliardario ebreo Soros. Le beghe interne alla maggioranza hanno però rinviato questa designazione all’agosto 2024: fino ad allora Rossi sarà soltanto direttore generale.

C’è quindi in atto una capillare occupazione che non risparmia neppure gli istituti ed enti che pubblicano dati statistici riguardanti pensioni, contributi, sicurezza sul posto di lavoro, come l’INPS e l’INAIL e che prima o poi coinvolgerà anche altri istituti pubblici, come l’ISTAT, che elaborano periodicamente statistiche e relazioni sui temi del lavoro, della povertà e così via. I nuovi vertici decanteranno le “magnifiche sorti e progressive” di un’occupazione crescente, di salari adeguati e di tanti altri miracoli economici che susciteranno l’ammirazione dell’universo mondo. Possiamo essere certi che nel giro di qualche mese gli italiani scopriranno di vivere, a loro insaputa, nel paese dei balocchi o nel “migliore dei mondi possibili”, come dice il precettore Pangloss nel “Candide” di Voltaire.

Ridimensionata e intimidita la libera informazione, il Governo potrà inoltre coltivare senza intralci i numerosi conflitti di interesse che sono presenti al suo interno in numero ben superiore a quello che pesava sui precedenti governi, come quello gigantesco del premier Berlusconi concessionario di emittenti televisive. Sotto l’ampio ombrello mediatico offerto dalla nuova RAI, dalle emittenti Mediaset e dai quotidiani posseduti da Angelucci si annida infatti un bel numero di conflitti di interesse. Antonio Fraschella su Repubblica dello scorso 3 maggio ne contava almeno sei: Daniela Santanché, ministro del turismo, ha ceduto al compagno le quote del Lido Twinga; Adolfo Urso, ministro delle imprese e del made in Italy, ha ceduto al figlio le quote di una società di consulenza alle imprese da lui fondata, la Italy World Service; Marcello Gemmato, sottosegretario alla salute, ha ancora una partecipazione del 10% in un’azienda che si occupa di consulenza per la gestione di case di cura e della produzione di software di miglioramento gestionale in ambito sanitario; poi c’è Marina Elvira Calderone, ministro del lavoro, che era tra i vertici dell’Ordine nazionale dei consulenti del lavoro, il cui consiglio rimane presieduto dal marito Rosario De Luca; Maurizio Crosetto, ministro della difesa, ha invece chiuso, questo sì, la sua società di consulenza che ha lavorato per molte imprese fornitrici del suo dicastero, ma detiene tuttora il 25% di uno studio contabile che svolge attività similari; il vice ministro dell’economia, con delega in materia tributaria e fiscale, Maurizio Leo, braccio destro della Meloni in campo fiscale, continua a mantenere quote di partecipazione nella società “Progetto fisco”, tra i cui soci figurano anche la moglie e i figli.

Ma aldilà della copertura che l’occupazione capillare del potere può fornire a possibili favoritismi, comunque da dimostrare, è fuori dubbio che il controllo dei mezzi di informazione costituisce un volàno capace di accrescere il consenso verso il Governo, obiettivo essenziale per realizzare le innovazioni istituzionali che sono la stella polare di questa maggioranza di governo, il presidenzialismo, l’autonomia differenziata ma, soprattutto, l’asservimento della magistratura al potere esecutivo. Tutti questi insani proponimenti potrebbero aver bisogno per la loro realizzazione di essere confermati da referendum popolari. La Meloni invoca la stabilità del governo ricordando che dalla fondazione della nostra Repubblica se ne sono susseguiti ben 68. Fermamente convinti che le soluzioni siano da cercare altrove (per esempio in una nuova legge elettorale, come proposto dalla Schlein) ci piace ricordare alla Meloni, ma lei lo sa meglio di noi, che il governo più longevo e stabile fu il regime fascista. È forse questa la sua segreta ambizione?  

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