“Quando si vince a Napoli, con tutto il rispetto, San Gennaro non c’entra niente”
Antonio Ghirelli
Il Napoli si appresta a divenire campione d’Italia nel campionato di calcio 2022/23, la città ferve ed i preparativi per la festa scudetto sono frenetici nelle ultime ore. A nessun balcone mancherà la sua bandiera azzurra, nel tripudio di una liturgia laica che diverrà nelle ore seguenti parossismo dionisiaco, lo stesso che pervade gli abitanti di Partenope da sempre. Il Napoli vincerà avendo dominato sul campo, i napoletani gioiranno come solo loro sanno gioire, lontani dalla retorica ma fedeli al refrain della canzone Simm ‘e Napule paisà di Peppe Fiorelli e Nicola Valente:
Tarantella, si ‘o munno è na rota
Pigliammo ‘o minuto
Che sta pe’ passá…
Qualche commentatore estraneo al contesto cittadino certamente storcerà il naso non comprendendo come si possa essere tanto felici per così poco, ma appunto essendo avulso alle dinamiche emotive del popolo partenopeo non glielo si potrà spiegare in maniera comprensibile. Ad esempio potremmo rispondere al vate del giornalismo Aldo Cazzullo, che recentemente si è scomodato dal trono del Corriere della Sera per rassicurare i napoletani che “non c’è nessun complotto contro di loro” con quello che faceva dire al professor Bellavista l’indimenticabile Luciano De Crescenzo: “la parola esagerazione non esiste nel vocabolario dell’Amore”.
Tornando al dato squisitamente sportivo possiamo ben sperare che la visione societaria del presidente De Laurentis, pragmatica e performante, saprà sfruttare a pieno questo entusiasmo monetizzando anche la gioia dei tifosi per dare la stura ad un ciclo di vittorie prossime venture. Non molto popolare per la verità il patron ma, da suo contestatore, riconosco che sia molto difficile fare impresa in questa città. Una pletora di clientela parassitaria fatta di politici, stampa, sedicenti gruppi di tifoseria organizzata ecc., ereditata dalle precedenti gestioni fallimentari, non hanno perso occasione per nuocere al progetto. I cinque presidenti precedenti, esempi d’incapacità manifesta, distrussero un capitale tecnico tattico disperdendo, in meno di un decennio, miliardi delle vecchie lire e milioni di simpatizzanti in tutto il globo. Il Napoli ha conosciuto la vergogna del fallimento, ma è risorto dalle sue ceneri. Non è successo improvvisando, ma attraverso un processo di crescita che dura da quattro lustri. Un crescendo rossiniano partendo dai campetti di periferia fino alla Champions. Chapeau! Ora, visto che solitamente ci occupiamo d’arte, potremmo paragonare le compagini dei tre scudetti azzurri a tre opere d’arte:
1987 – Diego Armando Maradona, D10S fa meraviglie e incanta la città ed il mondo. La città conosciuta per le morti di camorra, le rovine del terremoto del 1980, l’emergenza sanitaria del colera, l’infima classe politica trova il suo riscatto nel calcio. Primo scudetto, il primo amore, fortemente identitario e magicamente sognante. Senza dubbio un capolavoro di Marc Chagall,Soleil dans le ciel de Saint-Paul.
Il dipinto raffigura la vista di un paesino in Provenza. Il cielo blu sopra la città contiene un grande sole giallo brillante e vari altri elementi dell’iconografia dell’artista: animali, musicisti e la coppia volante. Come il primo scudetto del Napoli i dipinti di Chagall sfidano il significato simbolico e la categorizzazione, manifestazioni di un’immaginazione ricca e colorata che può essere compresa non attraverso l’intelletto ma attraverso l’intuizione.
Lo scudetto del 1990 è una tela dell’ultimo Caravaggio, disperatamente stupenda, tragica, pienamente barocca. Il Martirio di Sant’Orsola di palazzo Zevallos può restituire quel clima cupo creatosi intorno alla squadra di Bigon: zeppa di campioni sul campo ma afflitta dalle vicende umane degli stessi (camorra, bella vita, vizi pubblici…). Caravaggio sceglie di raffigurare il momento in cui la Santa, avendo rifiutato di concedersi all’unno Attila, viene da lui trafitta con una freccia. L’intero ambiente è permeato da un complesso gioco di luci e ombre che, tuttavia, in quest’ultimo dipinto dell’artista sembra dar vantaggio più alle seconde che alle prime, probabilmente specchio del travagliato periodo che l’autore stava vivendo nella parte finale della sua vita. Il Napoli assiste alla sua vittoria sapendosi prossimo al baratro, come il Merisi si autoritrae nella scena del martirio della Santa che morirà sulla Terra per rinascere nel Cielo.
Il terzo scudetto sarà un’immagine di bambini scattata da Oliviero Toscani per la Benetton, uno sguardo d’artista più attento alla comunicazione, spot per il calcio e la città, trasmissione di valori positivi, inclusivi, puliti. Atleti da tutto il mondo coesi in un collettivo granitico, calciatori utili alla causa, grandi nella loro professionalità e abnegazione.
Il trionfo della squadra di Spalletti segna un solco netto con il passato della squadra e della città. Soldi facili, bravate, chiacchiere non tangono gli atleti millennial di questo nuovo corso. Nessun giochetto di Palazzo ha favorito il Napoli di ADL. La squadra auto-esiliatasi a Castelvolturno, lontano dalla città tentacolare, lontano dal male oscuro che distrugge ogni cosa che tocca. Forse la squadra del mister di Certaldo sarà meno attenta all’aspetto “identitario” delle precedenti compagini iridate, ma diventa un bellissimo esempio da seguire. La consapevolezza di non aver bisogno di geni ed eroi per vincere qui, basta la competenza e l’abnegazione. I cittadini devono ricercare e pretendere un ordine che li riscatti, questo sì, da un quotidiano vissuto cialtronescamente da una parte del popolo e dalla classe dirigente. Maradona, San Gennaro lasciamoli in pace nel cielo più alto che meritano, impariamo dalla Società sportiva calcio Napoli l’elogio alla normalità.