E anche questo 25 aprile se n’è andato. Alla sua celebrazione presso l’Altare della Patria hanno presenziato, insieme al Presidente Mattarella anche le alte cariche dello Stato: Ignazio La Russa, Lorenzo Fontana e Giorgia Meloni. L’encomiabile sussiego esibito nella circostanza dal trio non ha fugato i dubbi e i sospetti che l’Italia antifascista nutre tuttora sulla risicata conversione della sua componente ex-missina (per il leghista Fontana il discorso è un po’ più complesso). Molti restano infatti convinti che questa incresciosa formalità sia stata onorata per non suscitare ritorsioni di Bruxelles in materia di finanziamenti del Pnrr.
Lo scetticismo manifestato da buona parte dei media e dei commentatori politici ha alimentato, sia nei giorni precedenti che in concomitanza della festività, dibattiti sul fascismo e sull’antifascismo più infuocati del solito, com’era prevedibile data l’inedita presenza di FdI nella maggioranza di governo. L’impressione che se ne ricava è che Meloni e soci non si dichiarano né fascisti né antifascisti, conclusione, questa, che potremmo accettare: chissà quanti elettori si considerano nella stessa condizione. La quota culturalmente più attrezzata degli indifferenti guarda a questa contrapposizione come a qualcosa di superato perché lontano nel tempo, un ingombro nel difficile cammino verso il futuro. E per certi versi non hanno torto: il dibattito che si è aperto su questo tema da quando Berlusconi sdoganò, nel 1994, Alleanza Nazionale si è dimostrato sin qui sterile, malgrado il ravvedimento di Gianfranco Fini oggi rinnegato, e rischia di diventare addirittura stucchevole.
È quindi lecito chiedersi se non sia il caso di archiviare le categorie del fascismo e dell’antifascismo sostituendole con quelle, più attuali, della democrazia liberale e della democrazia illiberale, ossimoro accettato ormai da tutti. Giudicare il nostro Governo alla luce di questa nuova distinzione può rendere tutto più facile. Guardando ai contenuti chiediamoci dunque: i provvedimenti che questo Governo ha assunto o ha provato ad assumere lo collocano in prossimità di quale delle due alternative? Quelli in materia economica e fiscale, discutibili perché contrari alla redistribuzione della ricchezza e diseducativi rispetto all’obbligo di contribuire al finanziamento della spesa pubblica attraverso il pagamento delle tasse, non ci dicono molto in proposito, pur essendo innegabile che il sostegno alla maternità somiglia non poco alla tassa sul celibato di mussoliniana memoria.
Sono invece più eloquenti i tentativi posti in essere dal Governo nei suoi sei mesi di vita per ridurre le libertà individuali e civili: divieto di organizzare i rave party, limiti inumani all’attività di salvataggio dei naufraghi, persecuzione degli ambientalisti che imbrattano i monumenti (anche se in maniera rimediabile), divieto di iscrizione all’anagrafe dei figli di coppie non eterosessuali. Si tratta, com’è evidente, di creare nuovi reati (come il reato di clandestinità introdotto dalla Bossi-Fini) o di inasprire le pene per quelli già esistenti.
La compressione dei diritti individuali può essere perseguita anche attraverso la rimozione di reati, come succederebbe nel caso dell’abolizione del reato di tortura, promossa da questo Governo che, nel frattempo, voleva però annullare i reati commessi dagli evasori fiscali mentre ha di fatto azzerato le multe irrogate ai no-vax dal Governo Draghi. Restrizioni dei diritti si concretizzano potenzialmente anche opponendosi all’approvazione di leggi che tendono ad ampliare i diritti dei cittadini, come i partiti al governo hanno fatto negando la concessione della cittadinanza in base allo “jus soli”. Il tutto condito dall’insofferenza alla dialettica democratica e dai proclami demagogici.
Ma la configurazione della democrazia cui si ispira il Governo Meloni sarebbe gravemente lacunosa se non si menzionassero anche il presidenzialismo e un attacco al potere giudiziario caratterizzato dalla separazione delle carriere dei magistrati e dalla rimozione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Queste due controriforme darebbero una vera spallata alla nostra Costituzione e alla libertà, altro che le discussioni sul 25 aprile.
Se l’attuale maggioranza parlamentare aspira a questo progetto politico che va ben oltre un semplice programma di governo perché prospetta una profonda revisione istituzionale e culturale, non possono sussistere dubbi di sorta: collocherebbe decisamente l’Italia nell’area delle democrazie illiberali. Dovesse essere realizzato, ne conseguirebbe l’automatica decadenza della festa del 25 aprile: dovremmo sostituirla con quella che celebrerà la liberazione da questo Governo protervo e disumano e dai partiti che lo sostengono, tutti variamente ma sostanzialmente fascisti.
È una questione di lana caprina, solo dialettica. In sostanza questi son fascisti! Il vero problema forse sta nel fatto che gli italiani nel 2023 non si riconoscono nei valori espressi dalla Resistenza o, almeno, lo fa solo con la faccia e non con il cuore