In un passato non tanto remoto poteva capitare di sentirsi dire: “vaco a d’o zi Peppe”. Chi pronunciava questa frase criptica non dichiarava l’intento di portare il suo saluto a un consanguineo di nome Giuseppe, ma la necessità di servirsi del vaso igienico portatile per espletare un bisogno fisiologico. Lo zi’ Peppe è dunque una metafora del vaso da notte, del cantaro o pitale che dir si voglia.
Con buona pace di tutti i campani che si chiamano Giuseppe, questa figura retorica, ormai desueta come desueto risulta essere l’oggetto, era ancora molto usata fino agli anni ’60 del secolo scorso, forse dai nostalgici dell’ancien regime borbonico. Non essendo tanto amato dalle nostre parti l’Eroe dei due mondi, sembrerebbe facile associare la denominazione dell’utensile a Giuseppe Garibaldi, ma alcuni testi di circa mezzo secolo prima sembrano escluderlo. “È robba ‘e zì Peppe”, usavano dire i camorristi sodali dei Savoia quando requisivano derrate alimentari e beni dai poveri “regnicoli” ignari oppure introducendo qualsiasi merce nei confini del Regno senza pagare nessuna gabella o tassa. Il riferimento a Garibaldi fu comunque connesso alla decisione del ministro dell’interno Liborio Romano di affidare, poco prima dell’entrata di Garibaldi a Napoli, il mantenimento
dell’ordine pubblico al capo della camorra Tore ‘e Criscienzo ed ai camorristi suoi affiliati, integrandoli nei ranghi della guardia cittadina. Ma questa è un’altra triste storia…
Per tornare all’origine dell’epiteto bisogna risalire ai tempi del regno di Ferdinando I delle Due Sicilie. Divenuto re di Napoli a soli 9 anni, nel 1759, la sua educazione fu affidata a Donato Cattaneo Principe di San Nicandro. Il nobile precettore, invece di instradare il giovane re sulla strada dell’illuminato genitore Carlo III, lo assecondò in ogni suo regale capriccio. La caccia e la pesca in primis, ma anche la vicinanza a quel popolo da cui si fece amare. Da “Il Corricolo” di Dumas apprendiamo che Ferdinando amava travestirsi da pescatore o da popolano per stare tra la gente, parlando anche un fluente napoletano. Il re lazzarone soleva ricevere il suo Consiglio ristretto facendosi trovare seduto sul cantero.
Ecco la testimonianza di Giuseppe Benedetto Augusto Giovanni Antonio Michele Adamo, Re di Germania, Duca di Milano e Mantova, Duca di Brabante, Conte delle Fiandre, futuro imperatore d’Asburgo Lorena, in una lettera alla madre: “Ferdinando ci pregò di tenergli compagnia, mentre stava seduto sul vaso. Lo trovai già con i calzoni calati, circondato da cinque o sei valletti, ciambellani ed altri. Facemmo conversazione per più di mezz’ora, e pensavo che egli sarebbe stato ancora lì, quando una terribile puzza ci convinse che era tutto finito.”
Essendo Giuseppe di Asburgo Lorena cognato del re in quanto fratello di sua moglie, la regina Maria Carolina d’Austria, pensò di fare cosa gradita omaggiando Ferdinando di un cantero adeguato alle sue regali terga. Dalle manifatture di porcellane imperiali di Augarten fece confezionare, come dono di nozze, un lussuoso cantero neoclassico racchiuso in una raffinata colonnetta di legno. Il re lazzarone piccato dall’affronto non reagì male, anzi fece piazzare il dono di Giuseppe d’Austria nella stanza degli ambasciatori ma per tutta ripicca soprannominò l’oggetto “zi Peppe” in “onore” del cognato. Da allora in poi il secondo nome del Cantero fu appunto “zi Peppe”.