Il cielo di carta: Di sangue e d’amore

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Di sangue e d’Amore è il titolo, per Homo Scrivens, del terzo e recente libro che la scrittrice e poetessa partenopea Annamaria Varriale ha regalato ai lettori. Un romanzo autobiografico in cui la penna leggera e a tratti lirica dell’autrice imprime sulla carta le proprie emozioni, che attraverso il filo dei ricordi si snodano in un lungo arco di tempo. Come il “gomitolo” di bergsoniana memoria che continuamente muta e cresce su sé stesso, la storia personale della scrittrice, della sua famiglia e quelle dei personaggi d’invenzione, ispirati da persone reali, si fondono e danno vita a un affresco storico visto dal basso, a partire dal lontano 1939.

A fare da sfondo c’è Napoli e in particolare un antico quartiere molto caro all’autrice, Fuorigrotta. L’area, come ci dice l’etimo foris cryptam, affonda la sua nascita al tempo dei Romani, quando fu collegata da una o più grotte al rione di Mergellina, così come ancora oggi, all’alba del terzo millennio.

Giocata sul tempo della memoria, la narrazione prende l’avvio in una mattinata di qualche anno fa quando l’autrice decide improvvisamente di recarsi in visita all’anziana zia Anna dopo una lunga assenza di fatto, ma non di affetti. Con lei intesse un dialogo a cuore aperto. La zia, attraverso foto in bianco e nero, stinte dal tempo riavvolge il gomitolo e le racconta fatti di emigrazione, di guerra, di deportazioni e di lutti, ma anche di gioie familiari che sua nipote, nata negli anni Cinquanta, non può conoscere direttamente. Eppure, l’aiuteranno a ricostruire tempo e spazio di un mondo che le appartiene nel profondo.

L’autrice d’altro canto si apre a lei come a quella madre che non ha più da quando era bambina e le si racconta senza remore. Ecco che le pagine si affollano di ricordi di un’infanzia felice e dolorosa; di un’adolescenza movimentata da turbolenze esistenziali e vivacità intellettuale; di una prima giovinezza animata dalle contestazioni politiche, da nuove amicizie, esperienze di viaggi e amori fugaci. Sono gli stessi anni in cui il suo quartiere si riposiziona nella storia della città per offrire alle nuove generazioni un humus che non le faccia sentire “al di là della grotta”.

Poi il tempo continua a scorrere. E arriva l’età adulta con cambiamenti radicali, scossoni dolorosi e incisivi, ma anche con grandi gioie che negli anni Ottanta imprimono alla sua vita svolte decisive. E qui ferma il lungo racconto.

È ormai sera. «Zia, ora me ne vado.»

«Sì, vai… t’arraccumanne, viene st’estate… ce mettimme fore ‘o terrazzo… te conto tant’ati ccose… He’’a scrivere n’atu libro?!»

Il romanzo, difatti, è il felice prosieguo di “Eravamo tanto ricchi”. In esso l’autrice si era fermata agli anni Sessanta, concentrandosi sulle vicende familiari. In Di sangue e d’amore è andata oltre. Si è aperta ancor di più a sé stessa e alla società.  

Nonostante l’intricata tessitura e l’alternanza narrativa tra prima e terza persona, la scrittura non perde mai di fluidità, intensità e soprattutto di efficacia comunicativa, che a parer mio dovrebbe essere il primo, vero obiettivo di uno scrittore al fine di creare un rapporto di osmosi con il proprio lettore.

Di Sangue e d’amore, varcando gli schemi dell’autoreferenzialità e del compiacimento personale, tocca le corde dell’anima e il lettore si vede come allo specchio per un motivo preciso, per una esperienza similare, per una sfumatura, per un vezzo o per un difetto. La magia della scrittura si è compiuta. 

1 commento su “Il cielo di carta: Di sangue e d’amore”

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