Domenica 26 febbraio si “celebreranno” le primarie del PD. Per molti non bisognerebbe proprio andarci e non hanno tutti i torti. Le primarie si sono rivelate, a conti fatti, una sciagura. Le prime primarie (mi si perdoni il bisticcio) avevano un senso: occorreva dare una legittimazione popolare a un candidato premier, nominato dai vertici del neocostituito Ulivo. Le successive edizioni si sono rivelate una scelta negativa perché hanno trasferito questa delicatissima decisione dalla Direzione del partito alla platea dei potenziali elettori (tra i quali possono peraltro annidarsi anche i guastatori di altre forze politiche), esposta alla fascinazione dei personaggi più carismatici a detrimento di concorrenti altrettanto o magari anche più validi ma poco attrattivi. Si pensi alle sconfitte di Civati e di Cuperlo nel 2013. Ma il motivo principale è che dalle primarie, proprio a causa di quanto appena ricordato, possono sortire veri e propri incidenti come Matteo Renzi, corpo estraneo alla sinistra. Dove sarà finito quel sano centralismo democratico in auge nel PCI e in seguito tanto vituperato? Altra cosa sono gli ex compagni (ne conosco alcuni), che non votano alle primarie perché considerano di cattivo gusto il contributo obbligatorio di 2 euro. Dimenticano che l’abolizione definitiva del finanziamento pubblico fu adottata da un governo di larghe intese sull’onda del populismo, non certo fomentato dal PD ben consapevole che la contribuzione privata a favore dei partiti popolari è certamente inferiore a quella ottenibile dai partiti padronali.
Ma tant’è, le primarie con tutti i limiti e i rischi restano un’opzione democratica e quindi in famiglia ci accingiamo a parteciparvi compatti. Non senza qualche distinguo iniziale legato proprio alla contestazione delle primarie. Questa prassi, mutuata dagli USA dove vige un sistema elettorale maggioritario ampiamente collaudato ma non per questo pienamente democratico, da noi ha spinto verso la personalizzazione del maggior partito della sinistra che si è così accodato ad altri partiti (che non hanno mai fatto congressi o non li fanno da anni) rinunciando ad un vero e proprio confronto tra idee e contributi diversi. Non a caso queste primarie precedono un congresso che forse diventerà superfluo, mentre sarebbe stato logico e necessario anteporlo alla scelta del nuovo segretario vista la frammentazione in cui versa il PD.
Superate le divergenze tra chi in famiglia avrebbe preferito protestare contro questa ennesima incongruenza, si è passati ad esaminare nel merito le varie candidature. Tutti concordi nel considerare Bonaccini troppo lontano da un vero rinnovamento, abbiamo condiviso anche l’irritazione per la candidatura della De Micheli, scopertamente finalizzata a darsi quel pochino di visibilità da offrire poi al vincitore, chiunque esso sia. La candidatura di Gianni Cuperlo ci ha invece sorpreso. Ne abbiamo sempre condiviso la serietà e la posizione critica nei confronti della deriva renziana: un bersaniano rimasto nel PD tra i tanti renziani che non transitarono in Italia Viva creando nel PD quel bubbone chiamato “Base Riformista”. Abbiamo poi analizzato la personalità politica ed umana della Schlein trovando alla fine tre buone ragioni per darle comunque il nostro voto, pur consapevoli della probabile sconfitta.
La prima buona ragione è che la Schlein è ebrea. Poco importa se la sua etnia di origine la espone all’aggressione da parte degli antisemiti che si annidano in tutti i partiti di destra ed in una parte non trascurabile dell’opinione pubblica, specie di quella che frequenta i social media: nel nostro giro familiare è prevalso un moto di ribellione a questo clima di crescente e ingiustificabile insofferenza.
La seconda buona ragione risiede nel coming-out della Schlein che suscita in molti quel senso arcaico di ripulsa verso comportamenti ritenuti innaturali se non addirittura contro natura, tuttora condannati dal dogmatismo cattolico più ottuso. Anche in questo caso abbiamo sentito l’opportunità di lanciare una provocazione.
Il terzo ed ultimo motivo lo si trova nella linea politica che la Schlein intende portare avanti, una politica che impone innanzitutto di recuperare l’identità perduta del partito ricollocandolo in prossimità delle classi sociali più deboli. Un PD schiettamente solidarista, ambientalista ed europeista soffrirebbe nell’immediato di una condizione di isolamento, ma sarebbe una via crucis inevitabile se si vuole recuperare la rappresentanza delle classi più deboli e dei giovani.
Insomma, date queste premesse se la Schlein dovesse miracolosamente vincere le primarie, avrebbe tutte le carte in regola per confrontarsi con la Meloni da una posizione chiara, perché diametralmente opposta alla sua. Il suo slogan potrebbe essere: “Io sono Elly e come ben sapete non ho quasi niente in comune con Giorgia”. Alla fine nella cerchia familiare si sono tutti impegnati (che te ne fai del centralismo democratico?) ad andare a votare per la Schlein domenica 26, muniti di una moneta da 2 euro.