Come previsto, in Lombardia e in Lazio il disastro elettorale dei partiti all’opposizione del Governo si è puntualmente verificato. Sulle responsabilità strategiche di quanto accaduto non è il caso di soffermarsi più di tanto: il PD non ha capito che, nell’attesa di ritrovare l’identità perduta, sarebbe stato più conveniente far vincere la Moratti che Fontana (non aveva già accolto, facendoli poi eleggere in Parlamento, la Lorenzin e lo stesso Casini?), mentre il M5s si è intestardito in Lazio sulla questione inceneritore, già causa dell’imperdonabile abbandono del governo Draghi.
All’indomani delle elezioni regionali alcuni opinionisti di buona volontà hanno sottolineato la tenuta del PD, riconoscendone la potenziale capacità di aggregare sia il terzo polo, molto deludente, che i pentastellati, notoriamente zoppicanti nelle elezioni amministrative. A dispetto di questa speranza, probabilmente infondata e quindi illusoria, la situazione postelettorale appare sconfortante dal punto di vista dei partiti che si oppongono al Governo Meloni.
Occorre prendere atto che la destra governa ora in ben 15 regioni avendo conquistato il Lazio, seconda regione più popolosa e sede della capitale. È lecito pensare che il percorso dell’autonomia differenziata ne sia avvantaggiato? Gli elettori lombardi hanno evidentemente perdonato la dissennata performance di Attilio Fontana nella lotta al Covid: vogliamo sperare che almeno i parenti delle tante vittime della pandemia nel bergamasco e nel bresciano non l’abbiano dimenticata. Nel Lazio, dove la pandemia è stata affrontata, a detta di molti, in maniera esemplare, l’assessore alla salute D’Amato, candidato del centro sinistra, è stato invece, ironia della sorte, scalzato da Francesco Rocca, amico di Antonio Angelucci, deputato dal 2008, “patron” della sanità privata in Lazio ed ispiratore dei vari Sallusti, Sinaldi, Borgonovo & Co, essendo proprietario in via diretta o indiretta dei quotidiani “Libero”, “La Verità” e “Il Tempo”. Rocca è stato anche presidente del consiglio di amministrazione della fondazione San Raffaele che fa capo alla famiglia Angelucci e possiede diverse cliniche ed RSA nel Lazio: questa circostanza lo pone sotto osservazione per un possibile conflitto di interessi. Su Francesco Rocca, anche lui svezzato nel Fronte della Gioventù e presidente della Croce Rossa da dieci anni, incombe anche il sospetto di avere beneficiato di un trattamento di favore acquistando dall’EMPAIA, ente di previdenza per impiegati dell’Agricoltura, col maxisconto del 30% un appartamento in una delle zone più esclusive della capitale, beneficio di cui ha goduto anche Claudio Durigon, all’epoca Sottosegretario al Ministero del Lavoro a cui compete, guarda caso, la vigilanza su detto ente previdenziale.
Ma per la destra al governo questo è l’ultimo dei problemi: dopo quello gigantesco di Berlusconi il conflitto di interessi ha serpeggiato in modo ricorrente nelle file dei politici di destra. D’altra parte sembra che la destra non disdegni l’ingresso in Parlamento di nuovi portatori di interessi privati. L’ultimo è stato Claudio Lotito, presidente del Lazio calcio, eletto al Senato nelle liste di Forza Italia e probabile ispiratore del ricco, quanto discusso, stanziamento di bilancio in favore delle squadre di calcio.
Al centro del dibattito c’è però la questione del crescente astensionismo. A sinistra se ne parla, con viva e probabilmente sincera preoccupazione, come di un pericolo che grava sulla tenuta del sistema democratico, posizione alla quale la destra si associa per semplice fair-play. In realtà la destra ha poco da temere se la gente, il popolo dei patrioti, non va a votare. In primo luogo perché si sa che buona parte degli astenuti cronici appartiene alla classe meno abbiente e meno istruita del Paese, mentre è difficile che non vada a votare chi intravede nei partiti di destra, tutti indistintamente, la prospettiva di pagare meno tasse o di continuare a non pagarne affatto o di essere graziato qualora i suoi trascorsi di evasore venissero a galla. Lo stesso dicasi per chiunque abbia un interesse, pur legittimo, da proteggere in termini, ad esempio, di concessioni, di licenze o di rendite. Se questo è lo scenario, non si vede perché la destra debba preoccuparsi dell’astensionismo: lo zoccolo duro della sua base elettorale non avrebbe interesse ad astenersi. Anche il degrado dell’istruzione pubblica concorre a tenere basso il livello culturale: non a caso il finanziamento della scuola statale ha subito dai governi di destra i tagli più significativi mentre quella privata si è espansa e, in quanto espressione dell’imprenditoria, sembra del tutto indifferente all’innalzamento del senso critico e della maturazione civica di chi la frequenta.
Lo scarso interesse della destra ad abbassare il livello dell’astensionismo elettorale è spiegabile con un ragionamento alquanto elementare: più cresce l’astensionismo, più si riduce la partecipazione democratica e più ci si avvia verso forme di governo oligarchiche o autarchiche. Chissà che il disegno ultimo, la missione, di questa destra, e forse di tutte le destre, non sia proprio questa: lasciare irrisolti i tanti nodi socio-economici di ampie quote di popolo in modo da poterlo indirizzare agevolmente verso scelte elettorali “di pancia” o verso la più cupa disillusione e quindi all’astensionismo, lasciando la politica nelle mani di una ristretta minoranza, espressione del potere economico e finanziario. Non dimentichiamo che appena qualche anno fa Berlusconi ebbe a dichiarare che le decisioni politiche potevano essere discusse e deliberate dai segretati di partito.
Compito della sinistra sarebbe opporsi a questo ipotetico disegno e alle sue versioni meno estreme. Occorrerebbe recuperare la capacità di aggregazione delle classi più deboli ed emarginate, dei disoccupati, dei lavoratori e dei pensionati prossimi alla soglia di povertà, dei giovani e degli ambientalisti, ma sono diventate afone le strutture organizzative che hanno svolto meritoriamente tale funzione in passato: partiti, sindacati, settori della stessa Chiesa. Difficile immaginare se, quando e come si ricostituirà una sinistra organizzata ed univoca. Al momento non se ne vedono le premesse. I partiti che si agitano nell’area di sinistra sembrano, anche all’indomani delle elezioni regionali, guardarsi con astio e diffidenza, stati d’animo peraltro circolanti sottotraccia anche nella vincente alleanza di governo: la Meloni, dopo l’uscita filo-putiniana di Berlusconi, non ha colto l’occasione di commentare il successo elettorale del suo partito per validi motivi di salute. Eppure, il Governo ha trovato tempo e modo di accordare a Berlusconi, sperando di tenerlo buono, una piccola ma tempestiva attenzione: il ritiro della costituzione di parte civile dello Stato nel processo Ruby ter, attivata dal governo Gentiloni nei riguardi dell’illustre accusato. Regalino di appena 10 milioni di euro, cifra che il PM aveva quantificato come risarcimento del danno di immagine creato allo Stato italiano. Regalino che però resta sospeso per la sopravvenuta assoluzione in primo grado dell’imputato. Per vederlo materializzarsi bisognerà attendere l’eventuale condanna nel giudizio di secondo grado, se e quando ci sarà.