Non passa giorno senza che il Governo ci faccia una sorpresa. Una delle ultime riguarda il ridimensionamento della validità ai fini degli appalti pubblici del cosiddetto “bollino rosa”. Si tratta di una certificazione, introdotta dal governo Draghi, che attesta l’adozione da parte delle imprese di politiche virtuose sul tema dell’equità e dell’inclusione, molto apprezzata dai movimenti per la parità di genere. Chi sa se la prima donna premier è al corrente di questa limitazione o se si tratta anche in questo caso del “balzo in avanti” del birbaccione di turno, dopo le recenti iniziative di Donzelli e Delmastro Delle Vedove, già precedute da quelle di Piantedosi e di tutta la sfilza di buontemponi che disturbano “la manovratrice”. Se così fosse, la Meloni farebbe pensare all’ex ministro berlusconiano Scajola che si trovò proprietario di un appartamento “a sua insaputa”.
Le cose però non sembrano stare così. C’è un continuo agitare le acque, sollevare polveroni, inventare nemici e cercare colpevoli, sempre con toni protervi o irridenti, che, anche se la Meloni ne fosse del tutto ignara, non si può non definire “fascista”. Certo non tutti sono fascisti allo stesso modo, né esiste uno strumento per misurare chi lo è di più e chi di meno. Ci sono i nostalgici, allevati in batteria, e quelli che lo sono inconsapevolmente. I primi si sono svezzati nel Fronte della Gioventù, nel FUAN (Fronte Nazionale di Azione Universitaria) e in altri movimenti giovanili: oggi scorrazzano nella destra un po’ dappertutto. Il Fronte della Gioventù ha battezzato, politicamente, il ministro Sangiuliano, il ministro Giorgetti e il faccendiere Savoini, mentre qualcuno, come Gasparri, è approdato in Forza Italia. Emblematico è il caso di Claudio Durigon, due volte sottosegretario in quota Lega ma assurto agli onori delle cronache per la proposta di intestare al fratello di Benito, il gerarca Arnaldo Mussolini, un parco pubblico di Latina già dedicato a Falcone e Borsellino. La presenza più massiccia è ovviamente in Fratelli d’Italia (FdI), formazione che ha però attratto ultimamente numerosi proseliti provenienti dagli altri partiti della destra in crisi di consensi. Questi ultimi sono i fascisti inconsapevoli, probabilmente privi di infatuazioni nostalgiche ma abbastanza opportunisti da precipitarsi in tempo utile sul carro dei presumibili vincitori. E sono i peggiori perché in loro si assommano il calcolo politico senza scrupoli e la condivisione, più volte manifestata, dei disvalori che hanno caratterizzato il fascismo e che sono tuttora presenti in tutte le forme di autoritarismo in circolazione. E quali sono questi disvalori? I soliti: razzismo, per cominciare, ma poi nazionalismo, insofferenza ai controlli di qualunque tipo, sia a quelli istituzionali, come l’autorità giudiziaria, che a quelli connaturati alla libertà di espressione, come la stampa e le manifestazioni di popolo. Disvalori peraltro condivisi, enfatizzati e propagandati da giornalisti e opinionisti che gravitano intorno all’emittenza televisiva e alle testate di proprietà della famiglia Berlusconi e di Antonio Angelucci, deputato dal 2008 eletto nelle liste del Popolo delle Libertà e poi in Forza Italia, detentore di un record che merita di essere conosciuto: Wikipedia ci dice che occupa il 630º posto su 630 nella classifica per l’indice di produttività della Camera, con 101 presenze su 24.735 (0,46% di presenze e 99,54% di assenze). Se aggiungiamo la protervia negli atteggiamenti, l’arroganza nell’eloquio e la violenza verbale riconosceremo nei nuovi fascisti, consapevoli o non, i caratteri classici del fascismo storico. C’è da esserne preoccupati?
Al momento la cosa non allarma. Tutti pensiamo che settant’anni non sono passati invano, che ci sono i vincoli europei e il mercato globale. Ma l’Europa non sembra intervenire più di tanto nella difesa delle libertà individuali compresse in alcuni Paesi membri: si pensi alla Polonia e soprattutto all’Ungheria. La stessa indifferenza, forse anche più colpevole, si rileva nell’Alleanza Atlantica che tollera la Turchia liberticida di Erdogan. La rappresentazione plastica di questa divaricazione tra l’Europa della finanza e l’Europa dei diritti civili ce la offre la stessa Meloni se confrontiamo il tono aspro e aggressivo che adotta quando polemizza con gli avversari sui temi di politica interna con quello conciliante che usa nelle relazioni internazionali: una sorta di Giorgia bifronte. C’è chi, dando credito all’intelligenza della Meloni, si attende una graduale presa di distanza dalla modalità tribunizia necessaria per tenere in pugno il suo elettorato a denominazione di origine controllata, ma è comunque arduo sperare che rinunci a realizzare il programma concordato con Salvini e Berlusconi. Tenterà di tenere insieme consenso interno e relazioni accettabili con l’Unione Europea. Così come appare improbabile che le venga a mancare la fiducia dei suoi alleati prima che risultino realizzate l’autonomia differenziata e la riforma della giustizia. Difficile quindi che il governo Meloni cada prima della fine della legislatura, anzi è immaginabile una sua riconferma. Nel qual caso mettiamoci l’anima in pace e attendiamoci Ignazio La Russa al Quirinale se non la stessa Meloni, se nel frattempo dovesse passare anche il presidenzialismo.