
In tempi recenti ci siamo ritrovati a combattere sulle barricate contro un virus che non accennava a recedere mietendo vittime in tutto il mondo. Continuando la metafora bellica, le armi messe a nostra disposizione dai governi sembravano somigliare più a rudimentali fionde che a fucili d’assalto. Sieri genici sperimentali, tamponi molecolari, dispositivi di protezione individuale (mascherine, disinfettanti topici) erano diventati, in poco tempo, parte del lessico e dell’outfit quotidiano. Attualmente i contagi da Covid sembrano essere in declino e tutti ci siamo lasciati un po’ andare abbassando le difese ma, secondo un sondaggio OXE dell’ottobre scorso, nella popolazione resta forte l’angosciante paura per una nuova pandemia futura. Con l’animo fiducioso nei prossimi progressi scientifici, proveremo a raccontare di un antico medicinale, considerato in grado di guarire da tutti i mali, preparato a Napoli sin dal XI secolo, talmente richiesto che le varie corone succedutesi al comando del regno ne monopolizzarono il commercio per introitare i forti ricavi.
La teriaca (dal greco THĒRIAKĒ = antidoto) era un elettuario, cioè un preparato medicale ottenuto mescolando estratti di varia provenienza: parti di animali e polveri vegetali aggregate ed addolcite col miele. Una panacea di origini antichissime: la prima formula fu preparata per il re del Ponto Mitridate VI, nel primo secolo a.C., dal medico di corte Crateva. Il composto doveva avere la funzione d’immunizzare il regnante da ogni tentativo di avvelenamento. Con la sconfitta di Mitridate da parte dal generale romano Pompeo Magno, la teriaca arrivo a Roma. Il medico di Nerone, Andronico, ne perfezionò la formula aggiungendovi carne di vipera e la rese nota attraverso i suoi scritti. Il leggendario medico Galeno (che influenzerà la scienza medica fino al tardo rinascimento) consigliava all’imperatore Marco Aurelio di assumerla regolarmente. Dopo la caduta dell’impero romano d’occidente il preparato divenne quasi introvabile in quanto molti degli ingredienti necessari alla sua preparazione erano reperibili esclusivamente nelle contrade d’outre-mer.
Per ritrovare la teriaca in Europa dobbiamo aspettare il secolo XI e le invasioni della Sicilia da parte degli arabi. Riaperte le vie del commercio, il preparato ritorna in voga tra le classi abbienti grazie anche alla nuova versione che le dette il grande medico persiano Avicenna. Merito del padre della medicina moderna fu quello di tradurre dal siriaco e dal greco le due principali ricette del preparato e di divulgarle nel suo famoso trattato Liber canonis medicinae, rimasto attendibile nei secoli e tuttora studiato nelle università. All’ombra del Vesuvio la teriaca arrivò grazie ai sovrani normanni e Napoli ne divenne una delle principali produttrici. Fino al XII secolo fu preparata da medici, praticoni, alchimisti e furfanti. Questo rese necessaria una prammatica emanata “ad acta” da Federico II di Svevia a latere della celeberrima Costituzioni di Melfi: l’ordinanza federiciana autorizzava i soli speziali a confezionare la panacea.

Durante i secoli furono diversi i libri dedicati alla teriaca: uno dei più noti fu “Della Theriaca et del Mithridato libri due”, scritto nel 1572 dal medico e alchimista Bartolomeo Maranta. In questo trattato, a metà strada tra l’alchimia rinascimentale napoletana ed i primi vagiti della farmacopea moderna, possiamo leggerne la ricetta ed il modo in cui somministrala: “si prenda una vipera femmina dei Colli Euganei catturata dopo il letargo, si aggiunga ad essa oppio, benzoino, mirra, gomma arabica, fungo di larice, incenso, trementina, fiele di castoro, polvere d’oro, zolfo, calcite, rabarbaro, sclera di un occhio” eccetera. Particolarmente indicata per le “febbri maligne, rabbia, coliche, emicrania, mal della pietra, angina, tosse, pazzia, deperimento, asma, ansia, dolori mestruali, reumatismi e soprattutto come antidoto ad ogni forma di avvelenamento”. Lo scienziato consigliava di non usare la panacea “dopo i trentasei mesi dalla prima apertura dell’albarello”. Per assumerla bisogna “prima purgare e salassare il corpo poscia servire la teriaca mescolata con vino rosso e miele”, se usata come “antidoto velenifugo aggiungere foglia d’oro”.
Particolare diffusione si ebbe nel XVIII secolo quando Ferdinando IV di Borbone ne affidò la produzione alla Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, obbligando tutti gli speziali del tempo ad acquistarne almeno mezza libbra l’anno. All’inizio dell’Ottocento vi subentrò invece il Real Istituto di Incoraggiamento alle Scienze Naturali di Napoli, fondato dal re Giuseppe Bonaparte ed ospitato nell’edificio di Via Tarsia a Palazzo Spinelli. Ancora ad inizio Novecento si poteva acquistare la teriaca nelle farmacie italiane sotto il nome di “acqua torriacale o teriacale”.
Quando la Bbc, qualche tempo fa, scelse Napoli per il documentario “Shakespeare’s Italy”, dedicato ai legami tra il grande Bardo e la tradizione magico-alchemica italiana, la troupe e il regista girarono alcune scene nell’ospedale “Incurabili” e rimasero incantati dinanzi alla sua farmacia e in particolare di fronte alla grande urna di marmo che conteneva la leggendaria teriaca.