A cosa serve la religione?

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Quella del titolo può sembrare una domanda bizzarra, perché quasi all’unanimità la risposta potrebbe essere che essa serve a mettere in contatto l’uomo con Dio, che essa risponda al bisogno di trascendenza dell’animo umano, che non si rassegna al pensiero che questa vita è tutto quello che c’è. Ciò, però, presuppone che “Dio” esista. “Dio nessuno l’ha mai visto”, lo dice lo stesso evangelista Giovanni che si suppone sapesse di cosa stesse parlando (Giov. 1:18). Se nessuno l’ha mai visto, come si fa ad affermare che egli esista? È tutta una questione di quella che è comunemente definita “fede”, che non è altro che un sinonimo di “fiducia”. Ovvero, bisogna crederci perché è così; lo stesso grande “apostolo delle genti” lo confermò scrivendo una delle sue lettere ai Corinti, nella quale diceva loro che “camminiamo nella fede e non ancora nella visione” (2 Cor. 5:7); ovvero andiamo avanti credendoci anche se non abbiamo mai visto niente. Stabilito, pertanto, che credere nell’esistenza di un essere supremo, creatore di tutto ciò che esiste, e che è fuori dal tempo e dallo spazio, è un’opzione senza prove, ci troviamo nella stessa situazione di un investigatore che deve credere che qualcuno è stato ucciso, senza averne mai visto il cadavere.

Quando parliamo di religione entriamo in un campo i cui confini abbracciano l’intera storia umana, per lo meno degli ultimi trentamila anni, quando i Sapiens cominciarono a lasciare tracce delle loro idee sulle pareti di grotte e caverne. Un campo, inoltre, sterminato, che rende quasi impossibile classificare tutte le forme di religione che l’uomo ha sperimentato nel corso della sua storia plurimillenaria. Già lo stesso termine “religione” ha origini non proprio chiare. Lucrezio, per esempio, lo derivava da re-ligare, cioè unire in una serie di credenze comuni, mentre sant’Agostino intendeva essere “stretti e legati a Dio”. In questa breve considerazione di un argomento amplissimo, per necessità, ci concentreremo soltanto sulla forma di religione che, in generale, caratterizza il cosiddetto “occidente”, ovvero il Cristianesimo, che in un suo notevole saggio del 2012, Umberto Galimberti ha definito “la religione dal cielo vuoto”.

Sappiamo tutti (o quasi) che il Cristianesimo è una fede religiosa che affonda le sue origini nel Giudaismo, la religione ebraica; e che il “Dio del Vecchio Testamento” è lo stesso Dio del “Nuovo Testamento”; d’altra parte è egli stesso che lo afferma, quando al profeta Malachia (3:6) dichiara: “Sì, io sono il Signore e non muto”. Per cui quando parliamo di Cristianesimo non possiamo prescindere dalle sue radici, che ci portano indietro nel tempo a personaggi come Abramo e Mosè, uomini “di Dio” che eseguivano la sua volontà e ne trasmettevano la Parola. A questo punto forse è utile una riflessione: la religione fondata da questi personaggi quale scopo si prefiggeva? È comune convincimento che la religione debba servire a migliorare l’essere umano, a innalzarlo verso una spiritualità più piena e farlo divenire migliore; se dalle Scritture Ebraiche passiamo a quelle Cristiane, queste ultime sono infatti permeate di questo fine, cioè l’amore: amore dell’uomo per Dio, amore di Dio per l’uomo, amore degli esseri umani per i loro simili. Ma per quanto riguarda la religione ebraica le cose non stanno proprio così. L’unico scopo per cui venne all’esistenza l’ebraismo (chiedo scusa per l’eccessiva semplificazione) fu quello di radunare un “popolo eletto” che godesse, esso soltanto, del favore e delle benedizioni di Dio. Tutti gli altri popoli – anch’essi credenti nel loro Dio – non erano che polvere insignificante, ecco perché il “Dio che non muta” ordinò al suo popolo di sterminarli senza pietà, senza risparmiare nemmeno donne, bambini e animali, il loro Dio aveva comandato di “destinare alla distruzione tutto ciò che era nella città, uccidendo con la spada uomo e donna, giovane e vecchio, toro, pecora e asino” (Giosuè 6:21). In poche parole lo scopo dell’esistenza di Dio, come ci viene chiaramente spiegato nel “Vecchio Testamento”, era quello di impedire a chiunque di credere, di esercitare fede, di venerare e adorare qualsiasi altra divinità perché, come spiegò Mosè: “Tu non ti devi prostrare a un altro dio, poiché il Signore si chiama geloso, egli è un Dio geloso” (Esodo 34:14). Brutta cosa, la gelosia; è detestabile negli esseri umani, figuriamoci in un Dio d’amore, di bontà, di misericordia. Ci rivela un dio intollerante, di vedute ristrette, un dio che ama la morte, tanto è vero che tutti i rituali ebraici prevedevano il sacrificio di animali, esattamente come le altre religioni di tutti i tempi della storia. Se, quindi, ci rivolgiamo nuovamente la domanda iniziale, non possiamo che rispondere che la religione, come la politica, ha esclusivamente lo scopo di assoggettare gli uomini a una divinità che, ovviamente, non potendo esser vista, deve avvalersi di rappresentanti umani: sacerdoti, sciamani, profeti, veggenti, papi; contravvenire alle cui determinazioni equivale disubbidire a dio, con la conseguenza, molto spesso, della morte.

Se, adesso, facciamo un salto temporale, ed entriamo nel campo della religione derivata dall’Ebraismo, cioè il Cristianesimo, troviamo un panorama altrettanto desolante a riprova della veridicità delle parole già citate di Umberto Galimberti che definisce il Cristianesimo “la religione dal cielo vuoto”. Con un’estrema semplificazione possiamo fissare la data di nascita ufficiale del Cristianesimo in Europa, che a quel tempo era dominata dall’impero romano, nel 324 d.C., con Costantino, con il quale la religione cristiana aveva “assunto un’importanza e una dimensione mondiali e che sul finire del secolo l’imperatore Teodosio, detto il Grande, con il suo editto di Tessalonica, la rendeva unica e obbligatoria. Era solo un primo passo; sarebbe stato via via completato proibendo culto e sacrifici pagani con la minaccia di punizioni severissime, compresa la pena di morte. In pochi anni i cristiani si erano trasformati da perseguitati in persecutori” (Corrado Augias, La fine di Roma. Trionfo del Cristianesimo, morte dell’impero, Einaudi 2022). Da quel tempo in poi la religione cristiana, la religione dell’amore e del perdono, divenne una religione oppressiva, esclusivista, che privava della libertà chiunque la pensasse diversamente, e diede l’avvio alle stragi più sanguinose del primo Medioevo passate sotto il nome di “Crociate”, al grido di Deus Vult! con il quale Pietro l’eremita incitava gli eserciti allo sterminio degli “infedeli”, per la riconquista della terra santa!

Con un altro salto temporale, ci spostiamo adesso nel diciannovesimo secolo. È un’epoca nella quale del Cristianesimo fondato da Gesù Cristo (clamorosa inesattezza storica) non rimaneva già più niente. Nel Medioevo i “cristiani” si erano lacerati fra di loro, maledicendosi gli uni gli altri e fondando movimenti che spesso presero il nome dei loro fondatori: Calvinisti, Luterani, Battisti, Anabattisti, Metodisti, Congregazionalisti, Episcopaliani, Protestanti, e una miriade di sette e gruppuscoli che dilagarono in tutto l’occidente. Ognuno d’essi prometteva qualcosa, per credere nella quale bisognava riporre la famosa “fede” cieca nel profeta di turno. Principalmente la promessa consisteva in una prossima restaurazione del paradiso sulla terra, che doveva aver luogo da un momento all’altro. Così sorsero gli Avventisti del Settimo Giorno, i Testimoni di Geova (che a loro volta si scissero in sette più piccole), i Mormoni e tanti, tanti altri. Ora, se consideriamo con attenzione la storia e le parole d’essa registrate nel “Nuovo Testamento”, non è affatto difficile rendersi conto che i primi illusi (e delusi) dal mancato avvento del Regno di Dio sulla terra furono Gesù Cristo in primis, che si sentì “abbandonato da Dio”, e secondo il quale “questa generazione (la sua) non passerà prima che tutto questo accada” (Matt. 24:34), e poi i suoi primi seguaci che attendevano anch’essi la realizzazione di un “nuovo ordine di cose” con Dio al potere. Lo stesso accade oggi con le sette di cui abbiamo fatto menzione e di tante altre di cui non v’è il tempo di parlare.

Ma, e ci avviamo alla conclusione, rimane una domanda cruciale alla quale, ormai, è necessario dare una risposta: a cosa serve la religione? Se volgiamo lo sguardo solo al secolo scorso, vediamo come il fatto che tutte le nazioni europee, quelle americane (Nord e Sud America) e quelle dell’area ex sovietica, fossero di religione cristiana, non ha impedito il carnaio di due guerre mondiali e di cento altri conflitti di minore rilievo che, ancor oggi – vedi il conflitto russo ucraino – insanguinano il pianeta. Sotto questo profilo, ci chiediamo: che senso ha definirsi cristiani, musulmani, scintoisti, ortodossi e compagnia varia, se il risultato è sempre lo stesso? I cristiani uccidono altri cristiani, i musulmani uccidono altri musulmani e il dio nel quale essi ripongono fede non muove un dito per fermarli. A questo punto la deduzione logica è che ci troviamo dinanzi a un dio non onnipotente, ma impotente. O meglio dinanzi a nessun dio, che è la creazione umana più perniciosa perché si basa interamente sulla menzogna, contravvenendo a un preciso ordine di Paolo apostolo che agli Efesini aveva ordinato: “Ciascuno dica la verità al suo prossimo” (Ef. 4:25). Alcuni cercano di consolarsi credendo che dopo la morte vi sia un’altra vita e che essa sarà all’insegna di tutte le promesse mai realizzate, fatte da predicatori, ministri di culto e da tutte le gerarchie ecclesiastiche di ogni fede e colore. Sta di fatto che tutta la storia umana è intessuta di religione e che essa non ha mai portato niente di buono agli esseri umani; e il perché è molto semplice, in quanto la religione non è altro che l’espressione di un potere che, come la politica, assoggetta gli uomini, in più promettendo cose che la politica non può promettere, a patto, però, che si eserciti fede in ciò che dice il rabbino, il papa, l’imam e il rappresentante di dio di turno. Che ci siano, e ci siano stati, dei “santi uomini” che hanno predicato in lungo e in largo l’amore di Cristo, la pace, la fratellanza e tutto l’armamentario della fede, non cambia di una virgola il quadro generale, e cioè che la religione (qualunque religione) non solo non è servita a niente, ma rappresenta una forza divisiva che invece di affratellare gli uomini li ha spinti a odiarsi gli uni gli altri nel nome di “dio”.

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