Archeologia e Bibbia: Il viaggio di Abramo verso Canaan

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Una tavoletta di Amarna (Fonte: http://www.egypte.f1adc.com/les-tablettes-d-amarna.html)

Il libro biblico della Genesi, come abbiamo visto, ad un certo punto ci presenta la figura di Abramo. Una figura solenne, centrale per la storia di Israele. Una figura molto cara sia al giudaismo che all’Islam. La Bibbia riserva a questo affascinante personaggio almeno dodici capitoli, mentre il Corano dedica a lui la sua quattordicesima sûra, intitolandola, appunto: “La sûra di Abramo, su cui sia la pace!”.

La sacra Scrittura ci mostra l’immagine di questo nomade che, col passar del tempo, si dimostrerà sempre di più all’altezza dell’immensa opportunità offertagli da Dio: quella di essere il capostipite di una potente nazione. Un personaggio che si mostrerà, nel corso della narrazione, forte e leale ma, al tempo stesso, almeno in alcune situazioni, anche di dubbia moralità.

In realtà, chi era veramente Abramo? Oltre alle informazioni forniteci dalla Bibbia, possiamo dire di essere in possesso di materiale che ci permetta di poterlo considerare un personaggio storico? Oppure la vita di questo patriarca non è altro che il frutto di una potente creazione letteraria, il retaggio di una serie di tradizioni trasmesse fin dalla notte dei tempi, che affondano le proprie radici nella preistoria di Israele?

La gran parte degli studiosi è molto scettica sulla possibilità di poter ricomporre, per ciò che riguarda la sua figura, degli elementi storici concreti. Nel racconto della Genesi ci imbattiamo soprattutto in saghe, in racconti sicuramente ricchi di simbolismi e di messaggi teologici ma dal punto di vista storico non esistono, attualmente, elementi abbastanza solidi che possano fornirci su di lui almeno qualche esile traccia.

Tuttavia, è anche opportuno precisare che il dibattito sulla storicità di Abramo, che ancora oggi accende gli animi di coloro che sono interessati alla storia biblica, pone degli interrogativi che per gli ascoltatori, o primi lettori della Genesi, non aveva alcuna rilevanza. A differenza di oggi, nell’antichità, a chi ascoltava o leggeva un racconto, non importava particolarmente se il protagonista della storia fosse una figura storica o il frutto di una creazione letteraria. Al lettore dell’epoca interessava soprattutto il significato, il messaggio centrale che il racconto intendeva trasmettere.

E la Genesi delineava un progetto teologico molto chiaro: in seguito a scontri durissimi avuti con il genere umano, l’espulsione dall’Eden, il Diluvio universale, la Torre di Babele, Dio decide ora di cambiare sistema e di rivolgersi ad un solo uomo per riportare l’umanità sulla giusta via. A quell’uomo propone un patto, una promessa secondo la quale sarà identificato un particolare popolo che Egli guiderà e proteggerà, almeno finché questo, a sua volta, rimarrà fedele ed obbediente al Suo volere.

La voce che Abramo sentiva si rivela, quindi, come la voce di Dio, il quale gli dice di proseguire il suo cammino e che gli sarà indicata, al tempo opportuno, la meta prefissata. Abramo, in quanto figlio di Ur, educato con ogni probabilità in una famiglia che venerava divinità come Marduk, An o Nanna, obbedisce inaspettatamente a questo Dio invisibile, senza esitare. Lo seguiranno lontano da Carran, nel lungo viaggio verso sud, solo la moglie Sarai (Sara), suo nipote Lot, che nel frattempo Abramo ha adottato come figlio, i suoi servi e il suo bestiame.

La meta si rivela essere la terra di Canaan. Agli occhi di Abramo il territorio si mostra subito ben differente dalle sconfinate distese della pianura mesopotamica alle quali era abituato. È una terra dai forti contrasti: aspra e selvaggia in alcune aree, con territori rocciosi e ricchi di arbusti selvatici, ma che allo stesso tempo confina con territori sorprendentemente fertili. È la valle più fruttuosa di tutto il Vicino Oriente, lo Jezreel, che la Bibbia identifica come la “piana di Esdraelon”, con il Deserto arabico da un lato e il Mediterraneo dall’altro, con tre piccoli affluenti: Banias, Dan e Hasbani, e con un fiume, il Giordano, che Abramo avrà pensato: “per niente paragonabile al maestoso Eufrate”.

Ma la terra di Canaan è già abitata. E i Cananei non vedevano di buon occhio questi intrusi provenienti dal nord intenzionati ad occupare i loro campi. Abramo, quindi, decide di scendere ancora più a Sud, verso la Samaria, dove il terreno si presentava molto più arido, ma dove ulivi e terebinti lo incoraggiavano a stabilire in quel posto un discreto punto di appoggio. Qui, in un luogo chiamato Sichem, Abramo costruisce un altare per segnare il suo punto di arrivo. Dio gli dice che donerà questa terra alla sua discendenza, affermando così un diritto territoriale destinato a determinare l’intera storia di Israele.

Le tavolette di Ebla, rinvenute dagli archeologici a Tell Mardikh, attestano Sichem come una delle città più antiche di Canaan, già presente nel XXV secolo a.C. Il suo nome compare anche su una stele del regno del re Sesostri III d’Egitto, risalente al 1850 a.C. circa, ed è menzionata, cinquecento anni dopo, nelle Lettere di Amarna, testimonianze di una corrispondenza avvenuta tra gli amministratori egizi e i re della XVIII dinastia, quando Canaan era ancora uno stato vassallo egizio, in quanto la città era situata in una posizione estremamente strategica, al centro di vie commerciali che comprendevano le colline della Samaria, la Siria e l’Egitto. Sichem è stata identificata con il sito archeologico di Tell Balata, in Cisgiordania, e presenta numerose costruzioni, un tempio, una enorme porta e un cortile d’onore, il tutto circondato da grandi mura e datato alla Media Età del Bronzo.

Abramo, nel corso dei suoi viaggi, innalzò vari altari a Dio, vagando ancora con le sue greggi per le alture della regione centrale, prima giungendo a Beth-el (Betel), la “casa del Signore”, identificata anch’essa in Cisgiordania con il villaggio palestinese di Beitin, dove gli scavi hanno riportato alla luce ceramiche e utensili risalenti al 3200 a.C. circa. Poi a Rushalimum, che nei secoli successivi avrebbe assunto il nome di Yerushalayim (Gerusalemme), residenza del governatore egiziano, per poi giungere nel Neghev (Genesi 12:9). È probabile che il racconto delle migrazioni di Abramo rifletta il ricordo dei cicli migratori stagionali delle tribù nomadi che in estate si recavano in alta montagna alla ricerca di pascoli, per poi recarsi, in seguito all’arrivo delle piogge invernali, alla ricerca di pasture nel deserto.

Dio promise ad Abramo che la sua discendenza avrebbe potuto usufruire per sempre di quel territorio. Abramo pensò che, finalmente, il suo lungo peregrinare fosse giunto al termine e che avrebbe potuto, da quel momento, raccogliere i frutti di tanti sacrifici. Ma il futuro aveva in serbo per lui ancora una grande sfida che lo avrebbe costretto, nuovamente, a migrare oltre i confini di Canaan.

Continua …

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