Quando pensiamo al Diluvio universale, descritto nel libro biblico della Genesi, l’immagine che si forma nella nostra mente è quella di una pioggia torrenziale che provoca un’immensa inondazione e sommerge tutta la superficie della Terra. Su questa immensa distesa d’acqua vediamo un’immagine familiare, l’Arca di Noè, sulla quale il patriarca ha posto la sua famiglia e le coppie di animali che intendeva salvare.
Dopo la morte di Abele, e la conseguente fuga di Caino, Eva aveva dato alla luce un altro figlio, Set, dal quale era sorta poi una lunga stirpe di discendenti. La Terra cominciava rapidamente a popolarsi. La Bibbia racconta che “gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie”. Questi eventi erano tenuti sotto attenta osservazione da un misterioso gruppo di esseri che la Bibbia chiama “figli di Dio”, i quali si mostrarono particolarmente interessati alle “donne degli uomini”, tanto da unirsi a loro.
I miti mesopotamici, così come la successiva mitologia greca, raccontano spesso di relazioni tra semidei e donne mortali. Tuttavia, alcuni studiosi hanno provato a dare una spiegazione diversa a questo avvenimento. Il teologo e biblista M. George Kline ha proposto un’interpretazione secondo la quale i “figli di Dio” descritti nella Genesi sarebbero in realtà i re delle prime città-stato che apparvero nel Sumer antidiluviano intorno al 3000 a.C. Se questa ipotesi corrispondesse al vero, avremmo qui uno dei riferimenti storici più antichi presenti nel primo libro della Bibbia.
Il testo della Genesi menziona, però, ancora un altro gruppo di personaggi enigmatici, i Nephilim, un termine ripreso poi dal libro dei Numeri, il quale li descrive come i “Giganti che vivono nella terra di Canaan”. La Genesi ne parla come “eroi dell’antichità, uomini famosi”. I Nephilim sarebbero stati, appunto, dei titani orientali, nati dall’unione tra semplici mortali con degli esseri celesti. Uno dei Manoscritti del Mar Morto (4Q417) si riferisce ai Nephilim come i “figli di Set” che Dio aveva condannato.
In ogni caso, in questo turbolento periodo “storico” nel quale convivevano semidei, giganti, eroi e mortali, la popolazione della Terra comincia a corrompersi, precipitando sempre di più verso una depravazione morale e una decadenza umana che, a un certo punto, si mostra insanabile. Vediamo pertanto Dio, (secondo una concezione molto umana, in realtà) pentirsi per non aver compiuto bene la sua creazione, la sua opera primordiale, e decidere di sterminare l’umanità. Si sarebbero salvati solo Noè e la sua famiglia. Il nome Noè si pensa provenga dalla parola niham, letteralmente “quiete”, “riposo”.
Noè sopravvive grazie a un’arca, un’enorme imbarcazione in legno rivestita di bitume per la costruzione della quale Dio fornisce tutta una serie di precise istruzioni. Appena Noè, la sua famiglia e tutti gli animali furono imbarcati, Dio fece piovere per quaranta giorni e quaranta notti. Alla fine le acque si placarono e l’arca si arenò sui monti dell’Araràt. Harê Araràt, è in realtà un termine plurale: “monti dell’Araràt”, che è stato spesso confuso con il monte più alto tra la Turchia e l’Armenia, il monte Ararat, appunto.
La letteratura sumerica e quella dell’antica Mesopotamia sono ricche di riferimenti a un “grande diluvio” voluto dalla divinità. È molto probabile che questi racconti risalgano all’imprevedibilità dei fiumi Tigri ed Eufrate, il cui livello era solito alzarsi improvvisamente e devastare le terre circostanti. Nell’antica Epica di Atrahasis, infatti, gli dèi decidono di distruggere l’umanità con una immensa inondazione. Ma il dio dell’acqua, Enki, prova pietà per un uomo, Atrahasis, e lo esorta a costruire una grande imbarcazione su cui caricare tutti i suoi averi e tutti i suoi animali.
La famosa Epopea di Gilgamesh offre dei paralleli ancora più stringenti con il racconto biblico. Si narra, infatti, della storia di un antenato di Gilgamesh, Utnapishtim, al quale viene affidato l’incarico di costruire una grande imbarcazione, con tanto di dettagliate istruzioni.
È altamente improbabile che l’autore biblico ignorasse tali tradizioni, tanto famose a Babilonia da far dividere le dinastie in “antidiluviane” e “postdiluviane”, e le Liste reali sumeriche in due periodi distinti: prima e dopo il diluvio.
Ma, ebbe davvero luogo una tale, immane inondazione? La Lista reale sumerica ne registra una intorno al 2600 a.C. Nel 1922 l’archeologo Woolley scoprì uno strato di argilla profondo a circa 2,5 metri di profondità, che fece pensare di aver trovato, finalmente, la prova storica del Diluvio universale. Negli anni successivi, però, gli archeologi hanno trovato testimonianze di numerose inondazioni in corrispondenza della “terra fra i due fiumi”, come riprova di quanto questa zona fosse soggetta a questi fenomeni, spesso catastrofici.
Ricerche moderne hanno trovato tracce di un’inondazione di enormi dimensioni risalente al 2900 a.C. circa. Il periodo è stato identificato grazie alla datazione al radiocarbonio dei sedimenti fluviali rinvenuti a Shuruppak (l’attuale Tell Fara in Iraq). L’inondazione avrebbe letteralmente devastato molte città-stato presenti in Sumer. Probabilmente sarebbe stato proprio questo evento ad aver comportato uno spostamento del centro di potere da Uruk alla città di Ur, nella pianura sumerica, presunta terra di Abraamo. Ma di questo, riparleremo.
Continua …