Intorno al conflitto russo-ucraino si accendono sin dal suo inizio vivi dibattiti in tutti gli àmbiti, dalla politica all’informazione ed anche, infine, nelle conversazioni tra quanti sono attenti alla cronaca ed agli eventi bellici che la alimentano. È soprattutto nel corso di queste discussioni, per lo più civili ma talvolta molto animate, che emerge un’opinione piuttosto diffusa: lo zampino degli U.S.A. sarebbe presente in tutti gli scontri, le rivolte e i colpi di stato che si sono registrati e tuttora si verificano sulla faccia della terra. Possibile che le cose stiano veramente così? La risposta non è semplice né sono disponibili i documenti necessari a fugare i dubbi più che legittimi.
Se ci si riferisce genericamente alle ingerenze della diplomazia e dei servizi segreti americani nelle vicende più significative della storia recente, ci si può trovare anche d’accordo. La defenestrazione di Allende in Cile, l’assassinio di Aldo Moro in Italia ne sono prova. Che la politica statunitense sia costantemente tesa ad affermare e a difendere la supremazia del dollaro su tutte le altre monete del pianeta, euro compreso, è fuori discussione, così come lo è la volontà di imporre l’egemonia economica e militare.
Ciò che lascia perplessi nella narrazione di chi riconduce alla presenza occulta degli U.S.A. tanti avvenimenti politici e militari è la disinvoltura con cui viene tirata in ballo in ogni circostanza o evento di cui andrebbero invece analizzate le cause: come dire “Non si muove foglia che la Casa Bianca non voglia”. E così si tira in ballo la CIA anche in eventi marginali, quasi come se la sua rete spionistica coprisse ed influenzasse capillarmente le scelte politiche in tutto il pianeta.
Le radici di questo convincimento ragionevolmente eccessivo affondano in realtà nell’avversione preconcetta che si coltiva nei confronti del paese che, con la vittoria riportata nell’ultimo conflitto mondiale, si è collocato ai vertici dell’economia, della politica e della potenza bellica. Tale avversione è in parte giustificata dalle non poche iniquità di cui si è macchiato nel tempo lo “Zio Sam”: nessuno osa negare le angherie perpetrate nei confronti dei nativi nordamericani, né le atomiche di Hiroshima e Nagasaki, né le guerre “di liberazione” del Vietnam e dell’Iraq. Il punto è che se ci si guarda intorno, o si interroga la storia più o meno recente alla ricerca di genocidi e atrocità varie, non si sa da dove cominciare.
Per non risalire troppo indietro nel tempo, potremmo partire dalla ferocia con cui i Conquistadores spagnoli sterminarono le popolazioni dell’America centro-meridionale e proseguire poi con le tante stragi e repressioni consumate dal colonialismo e dall’imperialismo. Non si salva quasi nessuno: i francesi in Indocina e nell’Africa nord-occidentale, i portoghesi e gli olandesi in tutti i continenti extraeuropei, per non dire della costruzione del Commonwealth britannico. E sin qui non abbiamo superato i confini dell’occidente “civile”. Tanti sono infatti i genocidi e i crimini di guerra consumati nei paesi dell’est euroasiatico ed in estremo oriente, basta pensare a quelli degli armeni, degli azeri e a quello, tuttora in itinere, dei curdi, per non parlare delle deportazioni e delle purghe staliniane nonché dei massacri di Pol Pot in Cambogia.
Nella scena geopolitica attuale siamo certi che gli U.S.A. siano peggio della Cina e della Russia? Pensiamoci bene prima di rispondere. E domandiamoci anche se gli americani siano così invariabilmente aggressivi qualunque sia il partito cui appartiene il presidente di volta in volta in carica. Sostenere, come fanno in molti, che tra Obama, Trump e Biden non ci sia alcuna differenza in politica estera è una tesi azzardata. La diversità dei loro atteggiamenti rispetto alla Russia dovrebbe indurli a giudizi più prudenti. E poi c’è un aspetto fondamentale che spesso sfugge a chi vede gli U.S.A., con gli occhi degli Ayatollah, come il “Satana americano”: gli Stati Uniti bene o male sono una democrazia, per quanto zoppicante, mentre i suoi rivali della democrazia non hanno sentito neppure il profumo. Riusciamo ad immaginare cosa potrebbe significare per l’Europa entrare nella sfera di influenza della Russia o della Cina? Sembra dunque opportuno accettare la logica della competizione geopolitica, tentando di rimanere ancorati al concorrente più confacente alla nostra storia e alla nostra posizione geografica.
Ed infine vogliamo riconoscere, almeno noi europei, che ci accomuna agli Stati Uniti quella che chiamiamo “cultura occidentale”, nata con l’antica Grecia e poi arricchita con gli innesti del Cristianesimo, dell’Illuminismo e così via fino ai più recenti incontri sul terreno della letteratura, dello spettacolo, del cinema. Cose di cui non sempre si può essere fieri, ma che costituiscono ormai il tessuto culturale della nostra società, tessuto che, di fatto, esportiamo in tutto il pianeta mettendo spesso nell’angolo gli usi e i costumi delle altre civiltà.