A distanza di più di vent’anni quella voce gli era diventata insopportabile.
Il fastidio fisico che provava ogni volta in cui l’ascoltava cresceva sempre più.
Per quanto si sforzasse di ridurre al minimo indispensabile le comunicazioni, sapeva che gli era impossibile azzerare del tutto quel suono così sgradevole per le sue orecchie.
La voce influiva negativamente anche sul suo umore, rendendolo instabile e nervoso, motivo per il quale cercava di allontanarsene appena poteva e il più a lungo possibile.
Solo allora tornava ad essere la più amabile delle persone, recuperando il piacere della compagnia di altre voci.
Spesso, preso dai rimorsi, si sforzava di analizzare la situazione, cercando di imporsi una maggiore tolleranza.
Si spingeva così alla ricerca di quelle motivazioni che avrebbero dovuto indurlo a essere più indulgente, ma la sua capacità di sopportazione svaniva rapidamente appena era costretto a riascoltarla.
Sapeva che le circostanze rendevano impossibile l’evitare ogni contatto: quella voce era parte di altre voci di cui non poteva fare a meno!
Non che gli avesse fatto qualcosa di male, ma era entrata nella sua vita condizionandone l’esistenza e non riusciva più a scrollarsela di dosso.
Presenza non voluta, si trasformò in assenza quando l’ambulanza la portò via.
Si sentì un verme in quella circostanza, pensando che, almeno per un po’, la voce gli avrebbe concesso una tregua.
Immaginò il silenzio e poi i discorsi non più interrotti; l’armonia delle altre voci non disturbata dall’irrompere di quella che si era insperatamente allontanata.
Pregustò col pensiero le ore e i giorni di quell’assenza e il suo animo si rasserenò, raggiungendo una
quiete interiore che si era negato per tanto, troppo tempo.
Si crogiolava in quei pensieri quando, lancinante, lo raggiunse lo squillo del cellulare.
Dall’altro capo la voce, che ripiombava nella sua vita trascinandolo in un abisso da cui, oramai era
certo, non sarebbe più venuto fuori.