Come ogni mattina, da circa trent’anni, Carlo si era vestito avendo cura che la divisa fosse in perfetto ordine: la giacca e i pantaloni stirati, le scarpe lucidate e le mostrine che gli ricordavano il suo ruolo di comandante di una piccola stazione dei carabinieri.
La notte, come accadeva quasi sempre da quelle parti, era trascorsa tranquilla, ma la notizia di un arresto per una tentata rapina all’ufficio postale, chissà perché, gli provocava una strana ansia.
Via radio gli avevano comunicato che un altro rapinatore era riuscito a sfuggire alla cattura, facendo perdere le sue tracce, il che non aveva fatto altro che contribuire ad accrescere quell’inspiegabile senso di inquietudine che lo aveva attanagliato.
Nonostante tanti anni di esperienza alle spalle lo avessero reso avvezzo a situazioni ben più critiche, in contesti davvero difficili, la notizia di quell’arresto lo aveva turbato.
Ma fu solo pochi minuti dopo, quando si trovò faccia a faccia con quel ragazzo in manette, che l’ansia si trasformò in angoscia e prese corpo il suo incubo peggiore.
Chi gli stava di fronte era il migliore amico di suo figlio e il fatto che i due fossero praticamente inseparabili lo gettò nella disperazione più assoluta.
Infinite domande, di cui temeva le risposte, cominciarono a ingolfargli la mente.
“Come era possibile che quel ragazzo, che tante volte si era fermato a cena a casa sua, fosse lì, in manette, seduto di fronte a lui?”
Restarono muti, a guardarsi, per alcuni attimi che a Carlo sembrarono interminabili.
Non sapeva da dove cominciare, anche perché la sua mente era occupata da un interrogativo che faticava a prendere forma e che lo stava dilaniando dall’interno: “Dov’era suo figlio in quel momento?”
“Era lui il complice della tentata rapina sfuggito alla cattura?”
Ecco, era riuscito a formulare a sè stesso quell’angosciosa domanda.
Temendo la risposta, Carlo era impietrito e muto al cospetto di chi si stava rivelando un perfetto sconosciuto, un intruso che si era intrufolato nella sua vita e in quella dei suoi affetti più cari, causando chissà quali danni, cui difficilmente sarebbe stato possibile rimediare.
Ma oltre a essere un padre disperato, Carlo era un carabiniere abituato a fare il proprio dovere.
Seduto davanti al ragazzo in manette, stava per porgli la domanda più difficile della sua vita, quando all’improvviso squillò il telefono: l’alzare il ricevitore e il sentire la voce del figlio dall’altro capo del filo, che gli comunicava l’esito positivo dell’esame appena sostenuto all’università, lo restituirono a quel mondo di certezze che stava per crollargli addosso, a causa di un doloroso equivoco con cui il destino si era divertito a metterlo alla prova.
Il giorno successivo, forse, avrebbe fatto un salto all’università.