Mangiatene e bevetene tutti, questo è il corpo. Il corpo di Napoli. Non è la scena dell’ultima cena dove il Cristo spezza il pane e versa il vino ai suoi discepoli, momento rituale di quella che sarà il suo insegnamento e sacrificio, la sua religione, ma piuttosto l’immagine di un banchetto dionisiaco, orgiastico dove un gruppo di menadi, baccanti dilaniano il corpo di Orfeo, il cantore caro agli Dei. La sua musica, la sua voce capace di incantare tutte le specie della terra è diventato cibo, spezzettato, condito cucinato e ingoiato da tante bocche assetate di sangue, emozioni di pancia e palato.
Uso questa metafora classica per cercare di descrivere il rituale che ormai senza più freno va in scena in città. La città è diventata un unico e sconfinato banchetto, a partecipazione illimitata, un gigantesco Food-Rave. L’attraversamento serale che spesso compio durante le mie passeggiate nel corpo più antico della città, il Centro Storico, me ne svela nuovi sviluppi, e rapidi mutamenti. La sottrazione continua ed esponenziale di spazio alla strada pubblica per aggiungere un posto a tavola che c’e un turista in più è sottogli occhi di tutti, non esistono ormai più non solo le strade ma neanche le tanto rinomate piazze della città antica, per non parlare del silenzio e dell’aria fritta.
Guardo con crescente interesse le ironiche fotografie di mio zio Massimo Velo, fotografo professionista, che ormai riesce a scattare solo ipovedute, come lui le definisce, della città: gazebo, ombrelloni, insegne, striscioni, banner pubblicitari, sterminate distese di tavolini, nascondono e impediscono in un processo irreversibile la visione e la fruizione della sua bellezza spaziale, architettonica, i suoi secoli di storia scritti nelle pietre, senza che nessun organo deputato a tutelarlo muova un dito, divenendo monumenti al degrado inamovibili. Senza cibo non vivi ma con troppo cibo muori, un paradosso bizzarro, uno spaventoso controsenso, ma assolutamente veritiero. Così rischiamo di assistere all’agonia della città per troppo cibo, la monocultura fatta di ristorazione, la cosiddetta cultura enogastronomica con un’assoluta mancanza di regolamentazione sta letteralmente soffocando ogni piccolo spazio fisico della collettività, la sua cultura millenaria e la sua storia. Interessi di parte che prendono il sopravvento su quelli di tutti, qualcuno ci vuole forse trasformare tutti in cuochi, camerieri, pizzaioli …, ma soprattutto in consumatori!
Sembra che il fuoco sacro del Vesuvio sia rinato, diffuso e distribuito in tutti i forni delle ormai migliaia di pizzerie e ristoranti che popolano Napoli, fiamme alimentate come su un tripode delfico che fanno la loro bella mostra nelle cavità ctonie dei forni trasformando i pizzaioli in nuovi sacerdoti di un culto efestino in città: la Pizza. Un’eruzione dal basso dove però non c’è purificazione, il fuoco non è più sacro come una volta, ma maledettamente profano e rischia, nel banchetto orgiastico dionisiaco che non si ferma mai, di portare tutti verso lo smarrimento della ragione.
Non ci resta che mangiare, è l’imperativo senza speranza che la scena che mi si staglia davanti mi suggerisce. Tutto passa per un tubo digerente per finire poi in… merda.
Eppure un ragionamento intorno alla ricerca di un equilibrio sostenibile per il nostro vivere e per i luoghi dove viviamo, come le città e come dovrebbero essere gestite, resta una priorità per tutti, soprattutto da parte di chi amministra, controlla, fa rispettare i piani regolatori ed altri strumenti urbanistici esistenti, che dovrebbero essere guide di riferimento per il vivere in comune, oggetto di costanti aggiornamenti, valutazioni, buon senso, letture, previsioni ed interventi di pianificazioni, e invece… sembra che il bene comune come una strada, una piazza, un marciapiede possa essere affidato, occupato e gestito solo da chi può farci i soldi con la preparazione di cibo o drink nel grande luna park del gusto, della movida e della Pizza Connection.
Assistiamo così inermi ad una sregolata lottizzazione a fini commerciali dello spazio comune, i marciapiedi, una volta realizzati per permettere ai pedoni di camminare al riparo dagli autoveicoli ed altri mezzi di locomozione, ora sono solo una estensione dei locali che nascono come funghi al dorato passaggio del turista Re Mida, e cosa incredibile, spesso a costo zero per i gestori ed altissimo per i cittadini. Napoli è famosa per i suoi vicoli, strade strette con poco spazio, vitali però per vivere e muoversi in prossimità nei quartieri più antichi e popolari.
Il centro Storico di Napoli è patrimonio dell‘Unesco dal 1995, passeggiare per le sue strade, piazze, monumenti e castelli, significa attraversare venti secoli di storia e scoprire la vera anima della città. Il più grande centro storico d’Italia e uno dei più vasti d’Europa che si estende per 17 chilometri quadrati. Ma è ancora così? Cosa è diventato in realtà? È ancora possibile leggere la sua ultra millenaria storia passeggiandovi o sembra invece di essere tutti capitati in una gigantesca sala ristorante della pizzeria Unesco?
La turisticizzazione dei centri storici delle città ha provocato profonde trasformazioni e gentrificazioni un po’ ovunque, ma a Napoli il fenomeno è ormai completamente fuori controllo. La scena che mi si presentava ieri sera era a dir poco imbarazzante, un genitore con un figlio disabile in carrozzina non riusciva a passare nella strada trasformata in sala ristorante, non essendoci più il minimo spazio, da un lato il traffico impazzito delle auto, dall’altro la selva di tavolini tutti occupati e difficile da spostare, sullo sfondo di una musica assordante e turisti ubriachi con il calice alzato. Carpe Diem!
Ho proseguito la mia camminata a dire la verità con molta tristezza, cercando di uscire dalla sala urbana infilandomi in una strada laterale, meno affollata, un po’ in ombra, senza le luminarie di un Natale perenne, e ho scoperto di trovarmi in uno dei bagni della grande pizzeria a cielo aperto, un forte odore acre di orina umana mi ha subito assalito le narici. I pavimenti della grande Sala Unesco non brillano certo per igiene e pulizia e poi come si fa a pulire e spostare tutta quella roba, la cosa non sembra importare allo straniero anzi direi che aggiunge quel tocco di esotico che non guasta, Dioniso fa sentire altro, espande, fa superare ogni limite… libera dalle apparenze e soprattutto è nemico della ragione. Attenzione però perché forse anche Dioniso non è così tranquillo, forse sta guardando il baratro che lo porterà alla morte, lo sprofondo, l’ade per poi rinascere ancora.
Non lo dice, non canta, ebbro, reclino all’indietro con gli occhi persi e lucenti sembra godersi nel frattempo il suo nuovo miracolo, non la solita uva trasformata in vino ma qualcosa di ben più forte, questa volta riguarda tutti, ed è lo specchio dei tempi nuovi. Il “miracolo” del nuovo tempo, una trasformazione di classe, in barba al suo sempre odiato Apollo.
Il “miracolo” della trasformazione della Classe Dirigente, la mente, in una grande sconfinata Classe Digerente, il ventre, ma senza più limiti, senza più confini.
Napul è …. quello che c’è, fuori e dentro! Brillante allusione a miti e divinità che osservano, partecipano e a volte si distraggono, punteggiando il racconto di una “semplice” passeggiata
Bella riflessione, bella Napoli, unica e universale “sala ristorante della pizzeria Unesco”, accomodatevi prego Tutto secondo programma della cinica e secolare classe dirigente il digerente, per le ipercollaudate pratiche basse di Napoli, …