Il fotovoltaico è molto più convincente per quello che mi riguarda, anche perché tiene un padre nobile, il grande Albert Einstein. Nel 1905 Albert scrisse tre articoli scientifici di grande intelligenza e vinse il premio Nobel per la Fisica. Uno di questi trattava di un fenomeno di natura quantistica per il quale una radiazione elettromagnetica di opportuna lunghezza d’onda riusciva a tirare fuori elettroni dalla superficie di metalli. Avrei dovuto scrivere di opportuna frequenza, poco male visto che frequenza e lunghezza d’onda sono l’una l’inversa dell’altra. In quanto alla radiazione elettromagnetica è energia che si propaga. La luce è energia elettromagnetica. I raggi solari sono radiazioni, energia elettromagnetica.
Quindi, una “giusta” quantità di energia fa venire fuori elettroni. E la corrente elettrica altro non è che un flusso, un movimento ordinato e misurabile, di elettroni. Avere elettroni liberi di cui potersi servire significa avere corrente elettrica. L’effetto fotovoltaico, per il quale abbiamo energia pulita dal Sole, è strettamente legato all’effetto fotoelettrico. Cercando di essere semplici, potremmo dire che l’elettrone che tiriamo fuori passa da una banda di valenza, che è una posizione di energia definita, a una banda di conduzione. Insomma, grazie alla luce del sole riusciamo a fare muovere elettroni e ad avere energia elettrica.
Devo confessare che la mia descrizione di fenomeni fisici così decisivi è oggettivamente arrangiata, e a buon peso. Chiedo scusa a tutti quei lettori che di queste cose se ne intendono, e a tutti i miei amici fisici che spero non si incazzeranno di brutto. Lo so che tutto è molto più complicato ma francamente parlare di cristalli di silicio, distintamente drogati con atomi di tipo P (boro) e di tipo N (fosforo), che, posti a contatto ci danno una giunzione P-N grazie alla quale gli elettroni presenti nel cristallo P tendono a spostarsi nel cristallo N, e viceversa, mi è sembrato rischioso assai. Ripeto il punto essenziale: se si muovono ordinatamente elettroni abbiamo la corrente elettrica.
Anche il fotovoltaico ha bisogno, oltre a sistemi di accumulo, di un retroterra di energia da fonti “non” rinnovabili, ma non c’è paragone con l’eolico. Secondo me. Là siamo in balia del vento, qui la teoria è solida perché la fisica è bella tosta e testata, se mi passate il termine. La vera dannazione di una buonissima tecnologia come il fotovoltaico è il rendimento.
Il rendimento è uno di quei rapporti che, introdotto in termodinamica come confronto fra lavoro meccanico ed energia fornita, ha assunto un ruolo generale e definitivo nel capire se, per così dire, “la spesa vale l’impresa”. Vediamo di spiegare, la radiazione elettromagnetica di energia incidente sufficiente, i raggi del sole, colpiscono questi benedetti impianti, e grazie al combinato disposto di effetto fotoelettrico ed effetto fotovoltaico, otteniamo la conversione di energia solare in energia elettrica. Il punto è quanta energia solare viene effettivamente convertita in energia elettrica. O forse più correttamente dovremmo domandarci quanta è la potenza utile rispetto alla potenza assorbita.
Servono necessariamente un paio di definizioni, facili facili. Prima definizione. L’energia è la possibilità o, se volete, l’attitudine a compiere un lavoro. Cioè senza energia non siamo in grado di combinare nulla. Seconda definizione. La potenza è l’energia diviso il tempo: in quanto tempo “faccio” un lavoro. A parità di energia, quindi, è più potente chi ci mette meno tempo. Orbene, correttamente il rendimento è la misura dell’efficienza di un sistema: quanto lavoro utile e in quanto tempo effettivamente ho ottenuto, quindi quanta è la potenza ottenuta, rispetto a quanta potenza impegnata. Tutto qui.
Il problema del fotovoltaico è proprio questo, una bassa potenza ottenuta rispetto a quella impegnata, e pare che non ci sia via di uscita perché il silicio quello è, come semiconduttore. E il suo grado di purezza sembra proprio non possa essere ulteriormente migliorato.
A dire la verità dove il silicio non poteva, ci aveva pensato l’ingegnerizzazione a fare diventare maggiormente “efficiente” il fotovoltaico. I campi fotovoltaici, che ora, siamo alle solite, in nome e per conto di una aggiornata valutazione di impatto ambientale sono vietati, erano una risposta a questo rendimento non esaltante. Aumentare la superficie di esposizione all’energia solare implementando in serie le varie celle significava avere maggiore potenza utile. Ma vabbè. Di soluzioni intelligenti e intriganti ce ne sono, e altre se ne troveranno. Il fotovoltaico è solido nella teoria e nella tecnologia. Avrà un futuro importante nelle rinnovabili.
Tutto sembra piuttosto chiaro a questo punto, e la strada tracciata. Due tecnologie ― oltre all’idroelettrico, dove veramente siamo stati bravi ― l’eolico e il fotovoltaico, per ottenere energia pulita e rinnovabile, su tutto. Nonostante i loro alti e bassi, i pro e i contro, l’affidabilità “sub iudice”, in particolare per le folate di vento a corrente alternata, sono il fotovoltaico e l’eolico, secondo i più attenti, o che sembrano tali, difensori di una natura incontaminata, le tecnologie che potranno e dovranno tirarci fuori, in un futuro che sarà, dai disastri di una produzione di energia che ha messo, almeno la sua parte, in difficoltà il pianeta e la sua stessa sopravvivenza.
Il punto, direi il solito, è che non è così semplice. Non esistono risposte semplici a problemi complessi, come vorrebbero tanti signori politici del popolo e per il popolo, stellati o anche no. Non è semplice per niente. Tutte le energie rinnovabili, che esistono sulla faccia della Terra non ce la fanno, non ce la possono fare, non ce la faranno. In questi giorni di agonia elettorale, il presidente di una società italiana seria di ricerche di mercato e di consulenza all’industria ha detto a chiare lettere che avere puntato tutto sulle rinnovabili è stato un grosso errore. Per non parlare della probabile riapertura delle centrali a carbone, ma non mi va di infierire. La verità, semplicemente, è che l’agognata transizione ecologica non ci sarà senza i combustibili fossili ovvero il gas o, tenetevi forte, il nucleare.
A questo punto faccio un appello agli integralisti antinucleare di tutto il mondo: unitevi. E andate da qualche altra parte. Andate dove sapete di dovere andare, non costringete le persone perbene a mandarvici. In questo scritto non ci sono e non ci saranno preconcetti né tesi precostituite all’unico scopo di avere ragione. La ragione di solito si dà ai fessi, per toglierseli dalle palle e non sprecare tempo né salute. La finalità dichiarata è di suscitare un interessamento, una curiosità e, volesse il cielo, una discussione libera e franca, totalmente scevra da capziosità ideologiche e di interessi di parte. Una discussione fra persone che si rispettano e che sanno argomentare. Nel merito. Niente propaganda o slogan. Quelli li lasciamo ad una classe politica mediamente indegna e indecente. Indegna di un grande paese come l’Italia, indecente nei comportamenti e nelle decisioni. Per tutti loro un ricordo, che è monito. In un’occasione, di quelle importanti, a Nelson Mandela, finalmente presidente del Sud Africa, una collaboratrice con preoccupazione sincera disse: «Presidente, per favore non rischi tanto. Può perdere tutto». Mandela con il suo sorriso quieto rispose: «Il giorno che non sarò più in grado di rischiare dovrò lasciare la politica».
Posto che questo è, dico da subito e con chiarezza che, a mio avviso, avere rinunciato ad essere una potenza nucleare nel campo della produzione di energia elettrica, quale eravamo, è stato una cazzata di quelle che ci hanno fatto precipitare sempre di più verso il paese che gli altri vogliono che siamo: il paese di Pulcinella. Con una dipendenza energetica e una ristrettezza di fonti che ci rende un Paese oggettivamente ricattabile. E poiché la politica estera, più di altre, è solo rapporti di forza, un paese di pummarole e olio extra vergine di oliva non conterà nullanello scacchiere internazionale. Facciamocene una ragione.
Se poi penso a come e perché siamo usciti dal club del nucleare pacifico, beh, ci sta solo da incazzarsi di brutto. Non servirà a niente, e va bene. È tutto inutile perché sono fuori tempo massimo, e va bene. Ci sta chi penserà tutto il male possibile di un illuso, e mi sta anche bene. Però la verità la dovete sentire. Perché se vogliamo dialogare la verità va detta. Poi ognuno fa quello che vuole. Siamo usciti dal nucleare pacifico per un referendum totalmente sibillino e deleterio.
Permettetemi di partire da un’ovvietà, e poi da una verità. La politica non può, e non deve, sottoporre a referendum temi così specifici e altamente specialistici e complessi come il nucleare. La verità è ancora più semplice: il tanto sbandierato referendum del 1987 non vietava, di per sé, la realizzazione di centrali nucleari per la produzione di energia, in particolare della pregiata energia elettrica. Naturalmente il calcolo fu politico e le conseguenze sciagurate di quel calcolo le stiamo pagando ancora adesso. Con il caro, anzi carissimo, aumento delle bollette dell’energia elettrica che già mediamente erano il 30% più care del resto d’Europa.
Con un decomissioning che non decolla nella sua parte essenziale, cioè nello smontaggio e nella messa in sicurezza del reattore di Caorso, e non solo di quello. Perché nonostante in tanti hanno fatto carte false per non disperdere, e in parte ci sono riusciti, o meglio smantellare, a motivo dello scontato esito referendario, conoscenze scientifiche e tecnologie di altissimo profilo di specializzazione, lo stesso ci serve una mano dall’estero. Magari dalla Francia ― che quando si parla di nucleare a uso pacifico scompare dalla cartina dell’Europa, al pari della Slovenia o della Finlandia o anche della Turchia e del Regno Unito, misteri della geografia politica italiana! ― o dagli Stati Uniti. Una mano, assai costosa invero per le nostre tasche altrimenti, temo seriamente, ci attacchiamo al tram. Con annesso, al tram, un mistero glorioso da sanfedisti della prima ora, mistero che con il decommissioning, ammesso e non concesso che lo completiamo, diventerà sempre più impenetrabile e rischioso, quale quello del Deposito, con la D maiuscola.
Dove li mettiamo questi nuovi rifiuti radioattivi, oltre a quelli che già abbiamo e continueremo ad avere a meno di rinunciare alla fisica medica e quindi, tanto per dire, alla lotta senza quartiere ai tumori?
È ovvio che non li metteremo da nessuna parte se continua il gioco di tutti gli attori in commedia, o con moderna espressione: sindrome nimby.
“Qui no, non lo permetteremo mai”.
“Da noi? Siete impazziti, scenderemo in piazza con i forconi!”
“Questa è zona di storia, niente rifiuti e basta mo’”.
E altre e magnifiche perle della nostra condizione di parolai strutturati. Per cui?
Magari le porteremo all’estero pagando un botto di soldi. Chissà?
E tutto sto’ casino e altro ancora, ho cercato di mantenermi basso, perché? Per Chernobyl!
Continua …