Bocche d’acqua

tempo di lettura: 4 minuti
Foto di A. Sacco

Le lettere A, B, C, mi riportano ai ricordi da bambino, alla copertina del mio primo abecedario, dove, dopo la prima pagina che sfogliavo, c’era la lettera A dell’alfabeto che, con il disegno di una goccia che cadeva in un bicchiere, mi aiutava a pronunciare la parola acqua. Ricordo anche che il mio primo figlio, dopo la parola mamma e poi papà, l’altra che ha imparato a pronunciare subito è stata la parola acqua. Portava la mano alla bocca, cacciava la lingua e poi espandeva nell’aria il suono armonioso di acqua. L’umidità del suo respiro nelle giornate più torride, si manifestava in controluce in un piccolo miraggio familiare. Quando ciò accadeva restavo per qualche secondo estasiato, poi velocemente gli porgevo il biberon riempito di acqua fresca. Un genitore con un figlio piccolo può dimenticare tutto ma non l’acqua, il bene più importante e necessario a lui e a tutte le altre specie viventi.

A.B.C. a Napoli è anche però l’acronimo di Acqua Bene Comune, l’azienda municipalizzata del Comune di Napoli che pone al centro della sua azione la qualità del servizio idrico fornito ai cittadini. Un cavallo di battaglia della giunta comunale guidata allora dal sindaco Luigi De Magistris, per ostacolare e impedire la sua possibile trasformazione in nuovo servizio a gestione privata, cosa accaduta in altre città italiane. L’acqua è di tutti, un bene comune e, pertanto, accessibile a tutti come in teoria, dovrebbe essere. Una sacrosanta verità che a Napoli non sembra più essere valida.

Mi avventuro con il mio fedele amico Kuku in camminate più o meno lunghe, che partono dal centro della città per arrivare alla collina di Posillipo o, in direzione opposta, verso est, l’Orto Botanico, Porta Capuana. In queste giornate estive calde ed asfissianti, l’acqua accessibile da una fontanella pubblica dove poter bere o semplicemente trovare un po’ di refrigerio, non ha prezzo. Provate a cercarne una, sono quasi tutte scomparse. Se ne incontrano alcune quali testimonianze di antiche vestigia, con una forma totemica, quasi organica, ma chiuse ormai da decenni. Si potrebbe datare la loro fine dalle stratificazioni di calcare o ruggini presenti e ancora visibili. In basso si può a volte leggere la scritta bocca d’acqua, una bocca senza vita ormai irrimediabilmente chiusa.

Il lento declino della scomparsa delle fontanelle pubbliche, ovvero le bocche d’acqua, sembra inarrestabile. Anche quella, fortemente voluta dal precedente sindaco, posizionata proprio davanti Palazzo San Giacomo sede del Comune, in piazza Municipio, fa la sua desolante figura, non funzionante, secca, malandata, la sua difesa come simbolo di un bene comune è ormai uno sbiadito e lontano ricordo di battaglie per la collettività partenopea. A qualcuno è sembrata addirittura una coincidenza che la sua chiusura sia iniziata con l’insediamento della nuova giunta comunale, forse invece ennesimo segnale di lento e inesorabile abbandono del bene comune da parte delle istituzioni.

Altre fontanine funzionanti, vere e proprie rarità, restano comunque inaccessibili o risultano addirittura ostaggio in cantieri perenni. Altre trasformate in pattumiere, altre mimetizzate come sostegno di qualche trespolo abusivo, altre di metallo, le più antiche, sono forse state rubate per il commercio del ferro. Altre rimangono oggetto di un sogno tutto da realizzare. Forse un giorno non lontano riaprirà quella posta all’ingresso di un importante museo della città, con la gioia dei visitatori e del suo direttore, che l’ha addirittura ascritto nel lungo elenco delle sfide da realizzare, regalando nelle giornate di caldo africano ai visitatori in fila acqua a sue spese. Cosa che ci fa capire di quanto sia urgente aprire o riaprire le bocche d’acqua a Napoli e riprendere così ad offrire un servizio pubblico.

Cammino, rifletto: ormai per bere a Napoli è necessario comprare bottigliette d’acqua di plastica o consumare qualcosa al bar come un caffè. Almeno lì il bicchiere d’acqua non manca quasi mai… Oltre ai cittadini napoletani anche i tantissimi turisti e visitatori giunti a Napoli, la città  dell’accoglienza, pagine intere dei quotidiani che celebrano la ripresa dell’economia post pandemia, ristoranti pieni, alberghi e case vacanze tutti prenotati, file ai principali musei … eppure l’indicatore minimo di un senso di civiltà, della vera accoglienza, del nessuno escluso, della sostenibilità ambientale e persino la pratica applicazione di un comportamento cristiano, il dare da bere agli assetati, viene tradito nei fatti. Al suo posto invece, tonnellate di plastica prodotte solo per bere, i cui effetti si vedono dopo raduni o concentramenti di autobus carovanieri che visitano la città, ennesima occasione mancata di semplice profilassi per tutti, il lavarsi le mani, in contraddizione della prima regola di igiene anti-covid oltre ad essere una inaccettabile mancanza di considerazione per tutte le altre specie di animali, molti dei nostri affettuosi compagni di vita, che vivono o transitano in città.

Eppure basterebbe applicare il semplice buon senso, riattivare le fontanine chiuse, le nuove realizzarle e dislocarle nei punti di maggiore affluenza di cittadini e turisti, nelle piazze della città, assolati deserti da attraversare durante la canicola estiva, o lungo le strade principali, dotando le bocche d’acqua di regolare rubinetto anti spreco e l’insostenibilità dell’essere e vivere a Napoli verrebbe quantomeno attutita. C’è una espressione nella lingua italiana che mi ha sempre colpito molto fin da bambino, perdersi in un bicchiere d’acqua, situazioni in cui ci si arrende alla minima difficoltà, il non sapersela cavare nelle situazioni più banali come arrivare ad affogare nel quantitativo d’acqua contenuto in un bicchiere. A volte le soluzioni sono così semplici, che sembrano disarmanti, e il non prenderle sembra addirittura diabolico. Come infliggere l’ennesima pena.  

Ma siamo sicuri che è solo pressapochismo che regna nei meandri delle nostre governance? Vengono tutelati i diritti di tutti o c’e una sproporzione di interessi di parte? Amministrare una città principalmente significa occuparsi di bene pubblico e garantire seguendo i principi costituzionali gli interessi di tutti, evitando e rimuovendo disuguaglianze e discriminazioni sociali ed invece proprio sull’acqua, che tra l’altro non scorre, si rischia di scivolare. Un vero paradosso. Prendendo a prestito il nome e lo slogan di una delle associazioni impegnate a promuovere la città a chi la visita, resto convinto che più che essere “turisti delle nostre città”, bisogna tornare ad essere “cittadini delle proprie città”, chiedendo a gran voce e lottando per i diritti elementari e gratuiti a ogni cittadino del mondo. Diritti che vengono sempre più negati.

Al termine di questa sconfortante riflessione, mi ritorna in mente un ricordo felice, forse foriero di nuove speranze. Ancora una volta la faccia di mio figlio piccolo, quando, dopo aver bevuto a piccoli sorsi quella piccola quantità d’acqua amorevolmente data, restava a guardarmi con le lacrime ancora negli occhi. Poi, ringraziandomi, mi fissava negli occhi e mi regalava il tesoro più grande che un padre può pensare di ricevere. La gioia e la felicità di un figlio. In fondo l’acqua come l’amore, quando non c’è inaridisce tutto.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto