Si è tanto discusso sulla disaffezione o meglio sul rifiuto che una buona metà degli italiani va dimostrando da anni nei confronti dei partiti, della politica e della cosa pubblica in generale. Non è dunque il caso di soffermarsi ulteriormente sui fatti, le circostanze e i comportamenti che hanno determinato l’astensionismo cronico qui da noi ma anche in numerosi paesi europei. Merita invece la massima attenzione il modo in cui la sinistra può tentare di ridimensionare a suo vantaggio questo fenomeno, possibilmente entro i tempi brevi che ci separano dalle elezioni anticipate del 25 settembre prossimo.
Mentre infatti si è aperta da parte di tutti gli schieramenti politici la caccia ai voti lasciati in libertà dal M5s, la sacca degli astenuti, ormai storici, non sembra disposta a modificare il suo comportamento. C’è però da ritenere che l’area degli astenuti sia prevalentemente alimentata da gente di sinistra delusa dalla politica centrista portata avanti negli ultimi decenni dai partiti che alla sinistra si ispirano. Ed infatti perché mai gli elettori di destra dovrebbero essere delusi dai partiti a cui danno il voto visto che titolari di rendite di posizione, piccoli e medi imprenditori, liberi professionisti ed evasori fiscali possono considerarsi appagati da una politica che ha loro risparmiato riscossione di cartelle esattoriali, imposta sulla casa, imposta di successione, liberalizzazione dei mercati e che, come se non bastasse, promette loro la flat tax e un nuovo episodio di quella grande truffa chiamata “pace fiscale”. Né si ritengono delusi dalla destra quelli che erano poveri o lo sono diventati perché, caduti nella trappola populista, sono stati indotti a pensare che sia colpa della sinistra. Tocca dunque alla sinistra tentare di recuperare il consenso nella prateria dell’astensionismo.
Come farlo nei due mesi che ci separano dal voto? Si potrebbe, tanto per cominciare, demonizzare (la parola è fondatissima) la destra sul piano dell’adesione all’Europa e alla Nato: la si dovrebbe accusare, senza alcuna remora, di filo-putinismo in tutte le sue componenti (Berlusconi e Salvini in via diretta e la Meloni indirettamente attraverso la sua apertura al sovranismo e al suprematismo di Steve Bannon e di Donald Trump, entrambi collusi con Putin in questa desolante e pericolosa prospettiva oscurantista).
Si potrebbe chiedere alla Meloni con insistenza, giorno dopo giorno, come farà, in caso di vittoria, a giurare fedeltà ad una Costituzione, che vieta la ricostruzione del disciolto (?) partito fascista, senza prendere pubblicamente le distanze dalle formazioni neo-fasciste e neo-naziste che l’hanno sin qui sostenuta e che continueranno a farlo. Duole in proposito dover ricordare che deputati e senatori non sono tenuti a giurare fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione e che una modifica in tal senso, pur presentata in Parlamento, non è mai stata messa ai voti. Anche se la Meloni giurò, insieme agli altri ministri eletti in Alleanza Nazionale, da “Ministro per la gioventù” nel primo governo Berlusconi: l’occasione di andare finalmente al potere era evidentemente troppo ghiotta per non dissimulare il loro squadrismo.
Sarebbe inoltre utile condannare duramente le posizioni clerico-fasciste presenti in tutta la destra in materia di diritti civili. Non guasterebbe neppure qualche accenno alla disinvoltura con cui la destra (leggi Lega, per adesso) indebiterebbe oltre misura il Paese a danno delle future generazioni.
Ma il cuore del problema per un rilancio in extremis della sinistra è altrove ed esattamente nel recuperare le parole “ricchi”, “tasse”, “povertà” ed abbandonare apertamente la difesa di quel ceto medio al quale, non solo in Italia, si sono rivolti tutti i partiti perché compra e consuma, partecipa cioè in maniera strutturale al sistema produttivo capitalistico. E quindi “tutti” i politici parlano da anni di pensionati e di lavoratori senza neppure tentare di distinguere i lavoratori e i pensionati poveri dai lavoratori e dai pensionati ricchi. Il livello e la dimensione della povertà in Italia sono ormai tali da giustificare eticamente e politicamente chiunque intenda mettervi mano, senza lasciarsi soffiare l’occasione dai populisti e quindi sputtanando (termine più che appropriato per il creatore del bunga bunga) sin da subito il solito Berlusconi che promette mille euro di pensione minima, oppure giocando a sua volta spudoratamente al rialzo con la promessa di elevarla a milleduecento euro. La sinistra non può più permettersi di trascurare le fasce più deboli rincorrendo i voti di centro anche se, checché ne dicano illustri politologi, il centro esiste e, se riesce ad aggregarsi, sarà tutt’altro che irrilevante alle elezioni: la sinistra lasci ai partiti di centro la difesa del ceto medio e il recupero di quei voti del M5s che non andranno né a destra né a sinistra.
Tutto questo però potrebbe non bastare, se non cambia il tono con cui il PD chiarirà le sue posizioni. Il fair play di Letta potrebbe funzionare forse nel lungo periodo. Una campagna elettorale di due mesi obbliga a sventolare i vessilli, a urlare in tutte le sedi per distinguersi una volta per tutte dalla palude dei cercatori di voti del ceto medio e dalla bolgia dei sovranisti. E invece siamo ancora alla creazione di slogan improbabili, come l’invito a guardare lo scontro elettorale con “gli occhi della tigre”. Si rivelerà molto più efficace la mossa sfacciatamente populista della Meloni che ha anticipato i tempi avvertendo gli elettori che tra poco la macchina del fango sarà azionata contro di lei. Quindi, se sarà accusata di essere fascista, sovranista, retrograda la Meloni si sentirà autorizzata a derubricare tutte queste critiche al rango del previsto infangamento.
Auguriamoci che la sinistra sappia adottare toni tribunizi rivolgendosi anche alla pancia degli elettori più deprivati e non insista nell’esibizione di quell’atteggiamento responsabile che non l’ha portata da nessuna parte. E soprattutto si evitino posizioni di chiusura verso quei partiti con i quali, pur nella diversità, ci sono punti in comune significativi e comunque da opporre a quelli inaccettabili della destra, M5s compreso.
Spaventa invece la morsa del pochissimo tempo che resta per stabilire alleanze capaci di contrastare la superiorità della destra nei collegi uninominali. Senza troppi distinguo sinistra e centro dovrebbero raccogliersi sotto il comune denominatore dell’agenda Draghi rendendosi disponibili a modificarla per includere anche Conte e la parte del M5s disposta a seguirlo in questa avventura. E, chissà, un clima di ritrovata unità e di netta opposizione alla destra potrebbe incoraggiare gli astensionisti a riprendere il dialogo con la politica.