Il conflitto russo-ucraino ha evidenziato un ulteriore elemento di squilibrio oltre al divario militare (e nucleare) che divide il paese aggressore da quello aggredito ed è la tracotanza con cui Putin, direttamente o tramite i suoi tirapiedi, minaccia i paesi occidentali.
Non manca giorno che dalla Russia non arrivino all’Unione Europea, alla Nato ed anche agli Stati Uniti avvertimenti più o meno espliciti. Un giorno avverte che “siamo pronti ad usare armi straordinarie”, il giorno dopo ironizza dicendo che “in Ucraina abbiamo appena cominciato”, un altro ancora minaccia di chiudere i rubinetti del gas. Meno male che queste intimidazioni si collocano all’interno di una sequela di menzogne, iniziata già qualche giorno prima del conflitto, quando la Russia annunciò che non aveva intenzione di invadere l’Ucraina.
Solo di tanto in tanto qualche mezza verità trapela nella tessitura di questa rete di disinformazione, come, ad esempio, la constatazione, faziosa ma non del tutto infondata, che le democrazie occidentali hanno fatto il loro tempo. In questo scenario dobbiamo prendere atto che, almeno sul piano verbale, le risposte dell’occidente non sono altrettanto risolute. Sarà perché molti paesi europei continuano ad acquistare combustibili fluidi dalla Russia e si sentono quindi ricattati. Ma esistono anche ragioni oggettive che possono allarmare.
Nelle democrazie i governi, come si sa, non hanno le mani libere: ci sono i partiti di opposizione che ne criticano spesso aspramente l’operato ma anche le semplici dichiarazioni di intenti. C’è una stampa più o meno libera che giudica e commenta l’attività del governo informandone l’opinione pubblica ed influenzandola. Ci sono infine le elezioni, sempre dietro l’angolo, che espongono alle peggiori strumentalizzazioni anche le dichiarazioni più innocenti. Insomma, alzare la voce in un contesto bellico, che le coinvolge per l’invio di armi all’Ucraina e per le sanzioni comminate alla Russia, può suscitare critiche anche interne alle democrazie occidentali, come succede qui da noi, per cui la prudenza suggerisce toni moderati. Abbiamo visto, giusto per fare un esempio, quanti imbarazzi ha creato a Draghi l’aver definito Erdogan un dittatore.
Va da sé che mentre le situazioni vissute dalle democrazie occidentali sono, per effetto della libertà di stampa, perfettamente leggibili dall’establishment russo, ciò che succede realmente in Russia può essere conosciuto solo attraverso i servizi segreti o i social, Instagram e Facebook esclusi perché oscurati dal marzo scorso.
Infatti, tutt’altro clima si respira, ma “respira” è una parola grossa, nei regimi illiberali. Lì troviamo un autocrate il quale si aggiusta sistematicamente le elezioni in suo favore, un parlamento, quando c’è, che approverà le leggi conformi ai suoi desiderata ritagliando scadenze e sistemi elettorali capaci di assicurarne la permanenza al potere. Troviamo quasi sempre in questi regimi un sistema corruttivo articolato in maniera tale che chi gestisce un potere economico, politico o anche religioso è complice dell’autocrate stesso e quindi si guarda bene dal muovergli critiche. Il tutto adagiato comodamente sulla soppressione della libertà di stampa che permette al regime di propagandare ciò che più gli va a genio, servendosi della menzogna sistematica, e di oscurare le verità provenienti da oltre confine. Poiché non sempre ci riesce, è costretto di tanto in tanto ad eliminare gli oppositori, ad arrestarli e poi condannarli, nel caso l’eliminazione fallisca: si pensi, per esempio, a Navalny, prima oggetto di un tentativo di avvelenamento, poi arrestato e condannato a nove anni di carcere per evasione fiscale (!).
Ma, aldilà di ogni differenza istituzionale, sociale, di costume o di malcostume, nei regimi illiberali spicca la figura del “dittatore”. La personalità del dittatore allarma di per sé: il dittatore ha un’ambizione incontenibile, con gli anni tende a sacralizzarsi e a sentirsi onnipotente: per esempio, Putin ha mosso le cose in maniera da poter fare il bello e il cattivo tempo fino al 2036 grazie ad un emendamento alla Costituzione proposto, guarda un po’, dal parlamento che ha ritenuto ammissibili altre due rielezioni dell’amato Vladimir. Tra i suoi poteri c’è anche quello di scatenare una guerra nucleare, cosa che per un premier democratico è un tantino più complicata. Il dittatore invece non teme neppure le conseguenze di un’eventuale reazione uguale e contraria, né per il “suo” popolo né per la sua stessa vita, ammesso che non creda alla sua immortalità. Tutto è possibile. La tracotanza di Putin tende in definitiva ad avvalorare la disponibilità della Russia all’uso di armi atomiche ed esercita quindi, anche su questo piano, un ricatto sui suoi avversari “malati di democrazia”.