Imperversa, ci dicono, da qualche tempo nei vicoli della Napoli più popolare una canzone dal titolo “Povero gabbiano”. La canta un certo Gianni Celeste, noto cantante neomelodico di chiara ascendenza “merolana”. Il brano ha trovato, sembrerebbe, una sorprendente notorietà anche nella fascia dei giovani che detestano questo tipo di musica i quali ne hanno esteso ironicamente il compatimento contenuto nel titolo agli amici e ai conoscenti quando ne ricorrano le circostanze.
Il testo della canzone è la banale assimilazione dello sconforto del protagonista a quello del volatile, entrambi abbandonati dalla propria compagna. Alle orecchie mie e di mia moglie è sembrato per nulla pertinente: viviamo ad oltre un chilometro dalla riva del mare, una distanza che si sta rivelando, di tempo in tempo, insufficiente a tenere lontani i gabbiani dalle nostre automobili ed anche dalle nostre teste. Non trovando più di che nutrirsi nell’acqua e sulla riva del mare cercano cibo nell’entroterra dove lo troveranno rovistando nei rifiuti ed ingerendo chissà quali porcherie. Le nostre automobili, abituate a sorbirsi le deiezioni di uccelli più continenti, i più impegnativi dei quali erano certamente i colombi, con i gabbiani si trovano ad affrontare vere e proprie catastrofi sia per la quantità che per la qualità di ogni singola evacuazione. Sospettiamo che si siano messi d’accordo con i gestori degli autolavaggi.
Eppure il gabbiano ha sempre suscitato sentimenti di rispetto e di amicizia per la bellezza del suo volo libero e solitario. In letteratura è stato eretto a simbolo della libertà già a partire dall’omonimo dramma crepuscolare di Anton Cecov. Richard Bach lo ha addirittura personificato dandogli un nome e cognome, entrambi evocativi del coraggio e della ricerca, nel suo romanzo “Il gabbiano Jonathan Livingson”, un vero “cult” degli anni Settanta. Invece Louis Sepulveda, nel suo racconto metaforico “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, esalta il valore della cura affettuosa che deve ispirare anche chi alleva un “diverso”. Sorvoliamo sulla circostanza oggettivamente discutibile che il gatto si sia reso responsabile di aver messo in circolazione un altro esemplare di una specie ornitologica pericolosa per le automobili ma anche per gli ignari passanti. Meglio quindi Cecov il cui gabbiano viene opportunamente fatto sparare. Ma, aldilà di tutti i riferimenti letterari, per me e mia moglie i gabbiani sono ormai diventati nemici da combattere: quindi, tornando alla canzone, povero gabbiano… una mazza!