Noi napoletani, come tutti del resto, viviamo la nostra vita giorno per giorno. Dall’età in cui si inizia a lavorare e a metter su famiglia gli impegni quotidiani ci lasciano appena il tempo di organizzare le poche ore libere che ci restano. Le giornate passano senza lasciare lo spazio di soffermarci col pensiero su aspetti e circostanze della nostra personale esistenza, cose che diamo per scontate sin dall’infanzia. Ci siamo mai chiesti, nel vortice della routine quotidiana, se essere nati a Napoli ha importanza per noi oppure no?
In realtà solo dal momento in cui andiamo in pensione, smarriti in una libertà che avevamo perso di vista dopo oltre sessant’anni di impegni di studio e di lavoro, la nostra mente può vagare in spazi più aperti. Chi sta in pensione può avere finalmente il tempo e la serenità di interrogarsi sulle conseguenze dell’assoluta casualità di essere nato in questa o in quell’altra città, in questo o quell’altro paese.
A Napoli le attuali condizioni di vita spingerebbero ad abbandonarla. Non ci facciamo mancare nulla: le famiglie camorriste che si combattono facendo anche vittime innocenti; la corruzione diffusa; la totale assenza di senso civico che va dall’evasione fiscale endemica alla mancata raccolta delle deiezioni canine e allo scorretto smaltimento dei rifiuti, tra i quali i napoletani fanno rientrare anche oli di frittura esausti mandati dai ristoratori per via fognaria ad impermeabilizzare la superficie del nostro mare ormai moribondo, come ultimamente segnalato su queste pagine dal sig. Antonio Sacco; e poi la proverbiale indisciplina automobilistica, aggravata ultimamente dall’attivazione di cellulari e addirittura di tablet durante la guida, ma anche dalla dismissione, ormai abituale, dell’uso delle frecce direzionali; ed infine l’inefficienza cronica dei servizi pubblici, a partire dai trasporti e dalla raccolta dei rifiuti per finire con i lavori pubblici che durano un’eternità.
Dal caos generale causato da tutti questi vecchi e nuovi retaggi si salvano, ma solo nelle ore del giorno, alcune zone privilegiate come, ad esempio, il Vomero di De Magistris, la Riviera di Chiaia, Mergellina, Posillipo e parte del centro storico. Nelle ore notturne queste stesse zone diventano però teatro, sotto la copertura di un fenomeno giovanile, sociale e commerciale, la “movida”, di abusi, di risse e negli ultimi tempi anche di accoltellamenti per futili motivi. D’altra parte la crescente aggressività dei napoletani va togliendo spazio alla cordialità ed alla socievolezza che hanno caratterizzato per secoli i napoletani: quelli che mantengono in vita questo modo di essere tendono ad isolarsi in una sorta di riserva indiana.
Quanti pensionati napoletani, avendo ormai tutto il tempo per formulare ipotesi fantasiose, si chiedono se non sarebbe stato meglio nascere altrove, in altre città. Rivolgendosi questa domanda, oziosa quanto si vuole ma non infondata, avranno pur dovuto fare un confronto serio tra la loro città natale e quelle immaginate come alternative? Sì, è vero ogni città è unica e non può essere messa a confronto con nessun’altra: tutti hanno un legame profondo con la propria città natale e molti ne avranno anche individuato le ragioni. Ma Napoli ha qualcosa in più di tutte le altre, è una somma di storia, di cultura alta ma anche popolare.
La sua storia nasce con i colonizzatori eubei, ma quella delle città greche ed, ancor prima, di quelle egizie e mesopotamiche, non ha poi vissuto vicende paragonabili a quelle che la nostra città ha attraversato nei secoli successivi. Poiché anche Roma è nata successivamente, per non parlare di Londra, Parigi e delle altre capitali della vecchia Europa, possiamo affermare che Napoli è la città occidentale che ha avuto lo sviluppo storico di maggiore durata, scandito da eventi che hanno forgiato il modo di essere di chi vi è nato e vissuto. Basti pensare a tutte le dominazioni che si sono susseguite lasciando testimonianze tangibili della loro presenza e influenzando comportamenti individuali e sociali. E soprattutto a quella della Chiesa! Napoli è la città delle 400 chiese, avamposti di tutti gli ordini religiosi in competizione tra di loro a colpi di opere d’arte commissionate ai più famosi pittori, scultori e architetti.
E quali eventi non hanno colpito Napoli? Eruzioni vulcaniche, terremoti, bombardamenti, ma anche insurrezioni, come la rivolta di Masaniello, la Repubblica partenopea del 1799 e la cacciata dei nazisti nelle Quattro Giornate.
Cosa dire poi della tradizione gastronomica: sfogliatelle, babà, pastiera, taralli e soprattutto la pizza nelle sue versioni classiche. E la famosa “tazzulella ‘e cafè ca sulo a Napule ‘a sanno fa”? Potremmo anche fermarci qui per accampare giustificate pretese di superiorità nei confronti di qualunque città o metropoli del mondo. Ma come dimenticare la Canzone Napoletana, un miracolo durato un paio di secoli ed esportato in tutto il mondo? E il teatro con le sue straordinarie maschere, da Pulcinella a Totò, e i suoi grandissimi autori, come Viviani e Eduardo? Tutta questa straripante ricchezza dovrebbe bastare a convincere il pensionato dubbioso del privilegio di essere nato e di essere cresciuto in questa contraddittoria ma straordinaria città.
E tutto questo senza considerare le bellezze naturali, la “cartolina di Napoli” con il Vesuvio, le isole che costellano la baia di Napoli e quella di Pozzuoli. E i reperti archeologici che la pervadono e la circondano da Pompei ai Campi Flegrei. Tutte cose alle quali non badiamo più perché col passare degli anni ci siamo abituati, le abbiamo interiorizzate e non riusciamo più a guardarle con gli occhi dei turisti che non a caso da un trentennio hanno scelto Napoli come tappa obbligatoria.
Dunque noi napoletani possiamo essere più che fieri dei nostri natali e, se ci pensiamo bene, forse non riusciamo nemmeno a concepire come saremmo se fossimo nati e vissuti altrove, perché avremmo comunque un’identità meno ricca, un’apertura verso il mondo più ristretta. Certo le condizioni attuali non incoraggiano e il loro cambiamento non può che essere affidato alle future generazioni. Sarebbe quindi bene che nelle scuole di Napoli e provincia, pur nel rispetto dei programmi ministeriali (nei quali dovrebbe trovare più spazio l’educazione civica), si deliberassero progetti volti a stimolare nei ragazzi e nei giovani l’orgoglio di essere napoletani, senza per questo immaginarsi una razza superiore, per carità, ma sentendosi depositari di un patrimonio ineguagliabile di storia e di bellezza. Senza dover attendere l’età della pensione.