Quel soprannome lo accompagnava sin da una memorabile partita disputata su quel campetto di campagna: baciato dalla grazia, forse perché era un prete, aveva giocato nel ruolo di terzino la finale di un torneo strapaesano, molto sentito dai suoi parrocchiani.
La sua prestazione era stata determinante nel condurre la squadra alla vittoria e, dalla domenica successiva, i banchi della chiesa erano sempre stati pieni, a patto che il giovane prete, dopo la messa, avesse indossato le scarpette da calcio e fosse sceso in campo a difendere i colori della squadra locale.
Partita dopo partita quell’appellativo, “don Terzino”, aveva soppiantato il suo vero nome, Domenico, tanto che persino le anziane donne della parrocchia, quando si rivolgevano a lui, lo chiamavano don Terzino, per poi immediatamente scusarsi, mortificate, per quell’errore che tanto metteva di buon umore il prete.
Domenico aveva compreso subito che la sua passione per il calcio e la sua predisposizione al gioco potessero essere la chiave per rianimare quella comunità abituata ad un vecchio prete, che per poco non recitava ancora la messa in latino.
L’anziano sacerdote, prima di andar via, si era raccomandato di andarci giù pesante con i Padre nostro e le Ave Maria per i ragazzi che gli avessero confessato di “toccarsi proprio lì”, anche più di una volta al giorno.
Domenico aveva dovuto fare uno sforzo non da poco per restare serio di fronte alla preoccupazione del vetusto religioso, che nel congedarsi non aveva trovato niente di più importante da affidargli della giusta espiazione per gli smanettamenti adolescenziali.
Eppure, di lì a poco, avrebbe avuto il suo bel da fare per farsi accogliere da quella comunità, così poco abituata ai cambiamenti.
Gli uomini al lavoro nei campi, le donne a casa, i ragazzi a scuola, i vecchi al bar e i giovani impazienti di lasciare il paesino.
Solo il calcio, la domenica, li riuniva tutti insieme a sostegno della squadretta locale.
Domenico fu proprio contento di aver trovato la strada per arrivare al cuore della comunità.
Gli sembrò strano che, di tutta una vita spesa in buona parte in missioni in giro per il mondo a servire il Signore occupandosi degli ultimi della Terra, gli tornasse in mente proprio il periodo in cui era conosciuto come “don Terzino”, nel momento in cui, a distanza di più di quarant’anni, era steso a San Pietro, faccia a terra, ai piedi del Papa che lo stava consacrando cardinale.
“Cardinale don Terzino” pensò e un sorriso gli attraversò le labbra e gli riempì il cuore.