La crisi del più grande presidio ospedaliero del Mezzogiorno, il Cardarelli, sta rimbalzando su tutti i mezzi di informazione nazionali. Ora tutti fanno a gara a dire la loro, ma la crisi della sanità campana è cosa risaputa. Le tante riflessioni, critiche e autocritiche, prodotte durante i momenti più bui della pandemia, sembrano essere svanite e si ricomincia da zero, anzi ancor meno visto che la crisi strutturale del sistema continua ad aggravarsi.
All’inizio della crisi pandemica da più parti si era riconosciuto che il nostro sistema sanitario nazionale, considerato per anni un modello unico da imitare nel mondo, era ormai entrato profondamente in crisi. I motivi sono tanti ed è utile ricordarli. È fallita l’ipotesi che il trasferimento alle Regioni delle competenze nella gestione del sistema sanitario, pensato per calibrare i servizi alle esigenze del territorio di riferimento, associato ad un modello di aziendalizzazione potesse garantire maggiori livelli di efficienza. Al contrario l’autonomia ha mobilitato potentati politici locali e organizzazioni malavitose che hanno colto in esso un’occasione di affare e guadagni. Ciò ha determinato il vertiginoso aumento dei costi delle prestazioni sanitarie, diversi regione per regione, è aumentata le disparità territoriale nella prestazione dei servizi.
L’occupazione politica dei sistemi sanitari regionali ha fatto proliferare l’assegnazione di incarichi a dirigenti con competenze di tutt’altra natura rispetto a quelle necessarie per progettare e gestire un sistema sanitario. Il taglio lineare dei finanziamenti decisi dai governi nazionali nel corso degli anni ha fatto il resto. Nella pandemia la carenza di medici e in tutte le professioni sanitarie ha evidenziato i clamorosi errori commessi anche nella programmazione del fabbisogno professionale. Un disastro che soffoca l’Italia della sanità e che offusca le straordinarie capacità, competenze e l’impegno della stragrande maggioranza degli operatori sanitari.
La questione che oggi torna alla ribalta è che i servizi pubblici, tra cui rientra a pieno titolo il sistema sanitario, non possono essere progettati e gestiti con criteri di affiliazione politica. Un pronto soccorso è un’unità operativa assai complessa che ha bisogno di avere alle spalle una struttura articolata e di elevata specializzazione, come ha ricordato giustamente il prof. Francesco Corcione: unità diagnostiche, sale operatorie, unità di rianimazione e di terapia intensiva. Indubbiamente i centri di Pronto Soccorso hanno dei costi elevati e non sempre è possibile moltiplicarli a dismisura, per questo è necessario costruire una rete di assistenza in grado di saper selezionare, ancor prima che il paziente giunga in ospedale, il livello di criticità delle sue condizioni.
Il caso Cardarelli sta evidenziando questo. Quando nel deserto assistenziale cui ormai è ridotta la Campania, con le ambulanze costrette a viaggiare senza medico a bordo, il presidio ospedaliero si affolla a dismisura e se pur gli operatori addetti all’accoglienza e al primo intervento svolgono benissimo il proprio ruolo, si trovano con le sale intasate da malati che potrebbero essere trasferiti in reparti specifici ma che sono incapaci di accoglierli perché carenti di posti letto e di personale. Gli operatori sanitari e i loro rappresentanti sindacali hanno da tempo denunciato questa situazione, ma le loro proteste sono rimaste inascoltate perché la decisione di come e quando intervenire è avocata a sé dagli apparati politici.
Sta di fatto che mancano strutture adeguate e operatori. Durante la pandemia sono state reclutate molte persone con contratti a termine che ora rischiano un indecoroso licenziamento. Una emergenza tutt’altro che conclusa visto che negli ospedali è ancora necessario adottare rigorose procedure per evitare che il contagio entri in corsia. Precauzioni rese inefficaci dal super affollamento come ancora denunciano le organizzazioni sindacali preoccupate anche della difesa della salute dei lavoratori che rappresentano. Negli ultimi due anni i governi avevano promesso importanti investimenti, ma non si capisce ancora se i soldi ci sono e dove sono finiti. Ma il problema non è ovviamente solo finanziario. Le linee guida per la riforma del sistema sanitario nazionale emanate dal Ministero invitavano le Regioni ad attuare piani per la diffusione del modello delle Case della salute, unità sanitarie polispecialistiche diffuse nel territorio, pensate per garantire una assistenza di prossimità alle persone, evitare inutili e lunghe degenze ospedaliere che in molti casi fanno ammalare più che guarire.
Un siffatto sistema avrebbe come effetto collaterale atteso quello di alleggerire il carico degli ospedali, luoghi dove bisognerebbe essere ricoverati solo nei casi strettamente necessari. In Campania il presidente De Luca ha ignorato queste indicazioni e ha immaginato per la Regione l’apertura, o riapertura, di strutture para-ospedaliere, più che altro poliambulatori. La supponenza del decisore politico neutralizza ogni azione innovativa. L’unica e vera pratica di intervento nel sistema sanitario è quella degli annunci, dei tagli di nastri alle inaugurazioni e dello scarica barile nelle responsabilità. Un meccanismo che alla fine salva tutti meno che i cittadini che necessitano di cura e assistenza.
Il diritto alla salute, scritto o non scritto nella carta costituzionale, in leggi e decreti più o meno coerenti, i cittadini lo rivendicano. Forse la vera svolta sarà possibile solo e se la sanità raggiungerà un livello di indipendenza istituzionale, una riorganizzazione dove a contare siano solo le competenze tecniche e scientifiche e la capacità di prendersi cura dei pazienti. È necessario pensare al sistema sanitario come a un sistema dotato di autonomia, di uno statuto speciale, al pari di altri apparati indipendenti come idealmente dovrebbe essere la Magistratura. Un sistema sanitario fondato su principi di universalità e giustizia diffusa su tutto il territorio nazionale che riesca a garantire assistenza a tutti i cittadini.
Purtroppo l’interesse è ancora rivolto alla nomina dei consigli di amministrazione, emanazione diretta dei gruppi politici. Ricerca e formazione, riconoscimento anche economico e non solo di status, a professionisti adeguatamente selezionati devono essere la norma non l’eccezione. Certamente deprecabile e criminale è il comportamento di chi assale i centri di pronto soccorso e sfascia tutto cercando qualcuno da picchiare. Ma se, come sta accadendo in Campania in questi giorni, ti arriva una telefonata da un ospedale come il Monaldi, eccellenza riconosciuta nella cura delle malattie cardiologiche, perché un tuo congiunto possa finalmente accedere ad una visita e a una cura specialistica, un congiunto che nel frattempo, 5 o 9 anni prima, è deceduto, è inevitabile che si vada su tutte le furie così come quando devi aspettare anche 24 ore prima che qualcuno ti visiti ad un pronto soccorso dove sei arrivato in preda a dolori insopportabili. La sciatteria, quella di certi dirigenti delle strutture ospedaliere, degli apparati politici e amministrativi, chiama delinquenza e noi tutti, la maggior parte persone perbene, dobbiamo augurarci di non ammalarci anche per non entrare in questo girone infernale.
Il tono dell’articolo, pur essendo condivisibile, appare molto…dolce.
La regìonalizzazione della sanità ha risposto esclusivamente alle logiche, rivelatesi adesso spartitore, del compromesso storico.
In Campania c’e un quinto ďei soldi pro capite dei cittadini del nord, non si può far nulla e, alla fine, De Luca è tra i migliori organizzatori del povero nulla esistente….
Caro Peppe ottimo e ben documentato.
Raffaele T
L’articolo offre un quadro completo e lucido della situazione sanitaria in Italia ma sopratutto in Campania dove si esibiscono politici egocentrici e narcisisti più che buoni amministratori. Da più di 20 anni nella struttura organizzativa di Emergency che opera nei territori di guerra i posti di primo soccorso hanno agito come unità sanitarie polispecialistiche diffuse in territori spesso vasti ed impervi di regioni deserte. Sarebbero quelle Case della salute appena proposte nella bozza di riforma e sottovalutate nella loro utilità da De Luca a favore di esposizione mediatica e politica, sigh!
Che tristezza, non ci sono parole per quanto succede nel sistema sanitario nazionale. Abbiamo tante professionalità, grandi professionalità, ma non abbiamo mezzi adeguati, né personale sufficiente per far fronte alle enormi deficienze che ci sono. Occorre investire nella sanità, ma investire con onestà, non permettere che sciacalli mettano le mani in pasto dividendosi una torta succulente a discapito di tutti.
La vergogna della sanità campana, altro che eccellenza, vorrei dire a De Luca. Aggiungo a questo articolo, che condivido e apprezzo molto, che nei primi 5 giorni di ogni mese i centri diagnostici esauriscono le disponibilità per gli esami assistiti dal SNS. Le prescrizioni scadono. Altro che diagnosi precoci. Purtroppo la pessima situazione si sta allargando anche alle altre regioni. Anche nella eccellente Lombardia si trascorrono ore e ore nei pronto soccorso e si aspettano mesi per una visita. Purtroppo se non hai soldi non hai diritto alla salute. Un Paese allo sfascio. Ma i soldi per inviare armi per un assurda guerra ci sono.😡