“How many roads must a man walk down, before you can call him a man?”
Così cantava Bob Dylan nella sua celebre canzone “Blowing in the wind”. Questa frase torna inesorabilmente a galla in questi giorni, ma forse andrebbe sostituito il soggetto da “uomo” a “rifugiato”: Quante strade deve percorrere un rifugiato prima di essere chiamato tale?
Secondo Amnesty International, dall’inizio del conflitto in Ucraina le persone fuggite dal Paese sono circa 3 milioni. Tre milioni di vite (donne, anziani, bambini) che hanno cercato di salvarsi nei Paesi limitrofi o che, attraverso i corridoi umanitari, sono riusciti a raggiungere Italia, Germania, Spagna.
Associazioni, governi, enti si sono mobilitati giustamente per l’accoglienza dei rifugiati. L’Unione Europea, dal suo canto, ha eccezionalmente adottato una proposta per un’azione di coesione (CARE) a favore dei rifugiati in Europa. In questo modo dunque sono staziati fondi straordinari per sostenere gli Stati membri e le Regioni nell’emergenza ed accoglienza dei rifugiati in arrivo dall’Ucraina.
“Gli Stati membri potranno utilizzare i fondi di coesione per sostenere i rifugiati nella ricerca di un lavoro, nell’intraprendere o continuare un percorso di istruzione e nell’accesso a strutture per l’infanzia. Potranno ricevere un sostegno anche per la consulenza, la formazione e l’assistenza psicologica. I finanziamenti del Fondo saranno fondamentali per fornire i prodotti alimentari e l’assistenza materiale di base di cui c’è un grande bisogno”, ha dichiarato Nicolas Schmitt, Commissario per il Lavoro e i diritti sociali della Commissione europea.
Tutto questo è lodevole e giusto. Ma è terribile constatare che anche in condizioni così tragiche, di fronte a violazioni dei diritti umani, a bombardamenti su civili, non tutte le vite sembrano avere lo stesso valore. Sono state moltissime, infatti, le denunce di persone in fuga dall’Ucraina, bloccate al confine con la Polonia, a causa delle loro origini. Come se anche di fronte alla morte o ai diritti umani ci siano persone di serie A e di serie B.
Persone fatte scendere dal bus alla frontiera tra Ucraina e Polonia con la frase “No blacks”. Questi episodi hanno suscitato scalpore e indignazione, ma forse non abbastanza. Il direttore generale dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale sulle Migrazioni, Antonio Vitorino, ha duramente criticato la disparità di trattamento riservata ai rifugiati ai posti di blocco.
Occorre inoltre fare una riflessione: proprio i Paesi del cosiddetto gruppo di Visegràd (formato da Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) sono quelli che in passato hanno chiesto con forza all’Unione Europea misure più dure in merito alla politica migratoria, addirittura paventando la costruzione di muri per bloccare i flussi migratori.
Nè sono mai stati propensi e d’accordo con le politiche di redistribuzione chieste da molti Paesi del sud Europa come Italia, Grecia, Malta e Spagna, sui quali la pressione migratoria per la conformazione geografica è più forte, vedendoli maggiormente coinvolti nell’accoglienza dei migranti che attraversano il Mediterraneo su barche di carta. In secondo luogo, le numerose organizzazioni non governative che si occupano del soccorso dei migranti sono sempre state al centro di note discussioni, dando vita alla cosiddetta “criminalizzazione della solidarietà”.
La politica migratoria europea degli ultimi anni ha mostrato numerose carenze per quanto riguarda il sistema di asilo e la gestione umanitaria delle crisi migratorie e la necessità di trovare un equilibrio tra solidarietà e sicurezza ha sempre costituito oggetto di discussione.
L’empatia mostrata, sebbene lodevole in questa situazione, non è stata sempre la stessa. Influenzata forse da scelte politiche? O economiche?
Va ricordato infine che secondo il principio di non respingimento (non refoulement) dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, “nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. Nessuno può essere respinto al confine verso un Paese in cui la sua sicurezza ed incolumità sono in pericolo.
E allora ci si domanda come sia possibile che anche i principi di solidarietà internazionale non vengano rispettati pienamente neppure in una situazione simile. Questa rappresenta forse una delle prime volte in cui è palese sotto i nostri occhi ciò che avviene continuamente in tutte le frontiere d’Europa: le persone senza voce continuano ad essere senza voce. Anche di fronte alla morte.
E dunque l’interrogativo di Bob Dylan resta il nostro:
E per quanti anni alcuni possono vivere
prima che sia concesso loro di essere liberi?
E per quanto tempo può un uomo girare la sua testa
fingendo di non vedere?
La risposta, amico mio, se ne va nel vento
Per quanto tempo dovranno volare le palle di cannone
prima che vengano bandite per sempre?
La risposta, amico mio, se ne va nel vento.
Perdonatemi, ma se dai dati sul numero di profughi (AI), non puoi non dare almeno un briciolo di dati su quanti sarebbero stati i respingimenti di persone di colore. Inoltre nell’ articolo si omettono due elementi fondamentali: 1) gli Ucraini avevano, in accordo con le autorità Polacche e Rumene, inizialmente, autorizzato il passaggio senza documenti di soli Bambini e donne (indipendentemente e dal colore della pelle). Gli uomini restavano bloccati oltre confine. 2) il passaggio di cittadini stranieri, non ucraini, non era previsto dall accordo, salvo ulteriori accordi, con i paesi di origine. Vedi il caso degli studenti Indiani. Se qualche caso di respingimento di persone di colore è avvenuto è certamente vergognoso. Ma raccontare una tale tragedie e la straordinaria solidarietà mostrata da paesi non sempre disponibili a tale pratica, andando ad evidenziare il probabile e sicuramente condannabile limitato caso di razzismo, che non escludo possa esserci stato, mi sembra un po’ limitativo di quello che sta avvenendo su quella Frontiera. Bob Dylan credo si riferisse a ben altro.
Grazie per il suo commento. In primis, vorrei sottolineare che non ho raccontato nessuna tragedia evidenziando “solo” questo aspetto. Ho scritto “Tutto ciò è lodevole e giusto” MA l’articolo si concentra appunto sulla disparità di trattamento riservata in particolare a persone di origine africana, che è stata documentata da video e testimonianze che può trovare in rete ( Twitter o sui principali giornali e agenzie di stampa internazionali, i cui inviati in loco hanno intervistato queste persone e documentato quanto accadeva. A denuncia di ciò sono intervenuti l’ambasciatore del Sudafrica in Ucraina, il presidente nigeriano, OIM, UNHCR e perfino la Commissaria UE per gli affari interni Johansson, chiedendo spiegazioni alle autorità polacche. Questo per darle un’idea della portata della cosa. In secondo luogo, e credo sia il punto più importante, di fronte ad una tragedia simile e proprio secondo il diritto internazionale umanitario tutte le persone vanno accolte a seconda della propria origine, razza, religione. E penso sia questo che debba essere sottolineato più di tutto, senza se e senza ma. Derogare a questo principio è immorale oltre che vergognoso. Per quanto riguarda Bob Dylan, la musica è bella proprio perchè universale, non divisa in compartimenti stagni e scevra da visioni unilaterali. Io ho interpretato la sua canzone adattandola a questa situazione, all’incertezza di una soluzione che sembra non arrivare, a situazioni che sembrano ripetersi senza trovare mai una loro risoluzione (vedi politica migratoria UE). É ovvio che lei la sentirà ed interpreterà a suo modo. È questo il bello della diversità!
Mi piace questo articolo. Purtroppo fino a quando regnera’ nell’uomo l’egoismo e la volonta di sopraffare i suoi simili, ci saranno sempre persone di serie A e di serie B. Ma prima o poi, io spero prima molto prima, l’uomo si accorgerà che da solo e senza l’amore universale, quell’amore per tutto ciò che lo circonda, dai suoi simili all’ambiente agli animali, non andrà da nessuna parte…e questa è la grande speranza