Pochi giorni fa, la Rettrice dell’Università di Milano Bicocca ha annunciato la sospensione del ciclo di lezioni su Dostoevskij dello scrittore Paolo Nori per “non suscitare polemiche” vista la situazione in Ucraina. Poco dopo, a causa della grande polemica e delle mobilitazioni che si sono generate, l’Ateneo ha fatto dietrofront e ha deciso di mantenere il ciclo di lezioni sull’autore russo, annunciando però che “la rettrice avrebbe invitato lo scrittore Paolo Nori ad un colloquio per un momento di riflessione”.
Per stigmatizzare le scelte di Putin è iniziata un’operazione di criminalizzazione di un intero popolo e della sua storia. Riprendendo le parole di Giulio Cavalli, drammaturgo e regista teatrale: “La pericolosa abitudine di confondere i popoli con i loro governi è utile per infiammare il tifo ma diseduca alla complessità. Solidarietà a Paolo Nori (e a Dostoevskij)”.
É stato poco dopo lo stesso scrittore Nori ad annunciare la propria decisione di non tenere più le lezioni poichè gli era stato chiesto di accostare a Dostoevskij necessariamente un autore ucraino. Purtroppo questo è solo uno degli esempi di ciò che sta accadendo in questi giorni. Gli atleti russi sono stati esclusi dalle paralimpiadi, la stampa italiana si è allineata ad un modello di informazione prettamente unilaterale, escludendo qualsiasi tipo di analisi strutturata e complessa di ciò che sta accadendo. Professori, esperti ed analisti che nelle proprie analisi avrebbero voluto avere uno sguardo critico, approfondendo anche le origini del conflitto, sono stati accusati di essere filorussi, filo Putin.
Ma approfondire, studiare, capire le radici degli avvenimenti in Ucraina, che non sono certamente odierne, dovrebbe essere al contrario un’operazione da compiere ovunque: nelle scuole, nelle università, nelle associazioni. La crisi ucraina non è un evento di oggi, nonostante solo oggi i riflettori di tutto il mondo siano puntati lì.
Per onestà intellettuale, va considerato e sottolineato che una fetta di popolazione russa è la prima che si sta opponendo strenuamente a quanto sta avvenendo. Sono centinaia i russi scesi in piazza per protestare contro l’invasione ucraina, repressi dalla polizia ed arrestati. I canali di informazione russi, a parte rare eccezioni, impediscono alla popolazione stessa di informarsi su quanto sta avvenendo.
Ha fatto scalpore il video circolato sui social di un’anziana signora di 96 anni, sopravvissuta all’invasione nazista di Lenigrado, che è scesa in piazza con un cartello con su scritto “Deponi le armi, o soldato, e solo così sarai un vero eroe”: è stata anch’ella bloccata dalla polizia russa.
Tutto questo fa da sfondo ad un’azione simbolicamente e politicamete gravissima, che sembra essere stata accettata senza colpo ferire dalla classe politica italiana e da parte dell’opinione pubblica: l’invio di armi nel conflitto, in aiuto dell’Ucraina. L’Italia è stata tra i primi Stati europei ad inviare armamenti, non soldati, ma armamenti ai civili ucraini. Germania, Francia, perfino la Spagna, tenutasi neutrale per qualche giorno, ha capitolato in nome dell’unità europea. Ormai sembrano lontani i tempi in cui i manifesti programmatici della nostra Europa erano pieni di parole come sostenibilità, solidarietà, pace nella risoluzione dei conflitti, politica di disarmo. A sentirli oggi sono quasi una stonatura.
La scelta che è stata fatta è gravissima, ma ancor più grave è la posizione dei media e della classe politica a difesa di quanto deciso. Il 5 marzo a Roma è stata organizzata una manifestazione contro la guerra: “Cessate il fuoco”; organizzata da numerosi enti e organizzazioni come CGIL, Legambiente, Emergency e tante altre. Manifestazione che da alcuni è stata definita “qualunquista e conformista”. Come se manifestare per un disarmo o essere contro lo scontro armato fosse ormai un concetto superato, retogrado, simbolo di “buonismo”. É ormai chiaro che sono saltati tutti gli equilibri.
A farne le spese resta la popolazione, i civili. Ucraini, russi, italiani, spagnoli. Resta la tragica situazione migratoria: sono migliaia i rifugiati che stanno fuggendo dall’Ucraina cercando di entrare nei Paesi limitrofi, non solo Polonia o Moldavia, ma cercando accoglienza in Italia, Germania. Anche qui, sembra che non tutte le vite siano uguali. Tanti sono infatti i rifugiati africani che vivono in Ucraina che, in fuga dal Paese, stanno cercando di passare il confine venendo bloccati e trattenuti.
Di fronte a questo annichilimento dell’essere umano, sacrificato come pedina in una partita di Risiko, di fronte a governi che piuttosto che negoziare si schierano inviando armi ma non volendo allo stesso tempo assumersi la piena responsabilità di un’azione militare, leggere Dostoevskij è ora più che mai fondamentale. Non per uno schieramento, non per sostenere nessuna fazione, al contrario. In primis per contestualizzare chi fosse e la sua vita: condannato a morte per la sua militanza democratica e vicino ai rivoluzionari del 1849, la sua pena fu poi commutata in lavori forzati e fu dunque deportato in Siberia. Oltre alla sua storia, che potrebbe già da sola essere presa come simbolo, leggere Dostoevskij è importante per educare nuovamente alla complessità, analizzare, studiare, capire e non subire passivamente informazioni. E la complessità non è certamente addossare senza alcuna logica la responsabilità di quanto accaduto ad un Paese o ad un popolo che, come quello ucraino, non merita in questo momento di essere ghettizzato nè lasciato al proprio destino.
E, riprendendo Dostoevskij, è auspicabile che quella sua frase de “L’idiota”, ora così utopica, possa farci da luce in un momento così disperato: “La bellezza salverà il mondo”. E la bellezza parte dalla mancanza di pregiudizio, ma soprattutto dall’empatia e dal ripudio della guerra.
Bellissimo articolo… Complimenti
Grazie mille!