Il 20 gennaio di ogni quadriennio è un giorno importante per gli Stati Uniti; è, infatti, il giorno in cui, dopo la vittoria elettorale, il neo presidente presta formale giuramento nelle mani del presidente della Corte Suprema e pronuncia la sua solenne promessa di sostenere e difendere la Costituzione. Particolare interessante di questa cerimonia, che risale al 1789, è che il Presidente pronuncia la sua dichiarazione avendo dinanzi a sé, aperta, una copia della Bibbia, e conclude il suo discorso con le parole “so help me God” (che Dio mi aiuti).
Da quanto precede derivano alcune considerazioni. La prima è che il capo del governo americano non può essere un non credente, altrimenti le parole riguardanti l’aiuto di Dio non avrebbero senso, il che è veramente singolare per una nazione laica che non ha alcuna religione di Stato. Avrebbe potuto averlo nell’Italia dello Statuto Albertino (1848-1948), secondo l’articolo 1 del quale “la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato”. Ma, e questo è ben noto, l’America è il paese delle contraddizioni. Un paese che intraprese una dura lotta con l’Inghilterra per affrancarsi dal suo dominio e conquistare la libertà, ma che per secoli trasse immensi vantaggi economici dalla soppressione della libertà di milioni di esseri umani dalla pelle nera che, fino ad ora e per ampie fasce della popolazione, non sono considerati di pari dignità dei loro concittadini dalla pelle più chiara. La religiosissima America, poi, è l’unico paese al mondo – almeno fino ad ora – che abbia fatto uso in guerra dell’arma atomica su inermi popolazioni civili, con conseguenze che ancora oggi sono visibili fra la popolazione del Giappone. Chissà cosa ne avrebbe pensato il dio al quale il presidente Truman, che autorizzò quell’azione disumana, aveva chiesto l’aiuto all’atto del suo insediamento.
La seconda considerazione riguarda il libro sul quale tutti i presidenti giurano, e cioè la Bibbia. La Bibbia che da Roberto Calasso è definita “il libro di tutti i libri” ed è spesso indicata come “la Parola di Dio”. Ovvero è un libro che, sebbene redatto materialmente da mani umane, contiene integralmente e infallibilmente i comandi, gli statuti, le leggi, le norme, provenienti direttamente dall’onnipotente creatore dell’universo e, di conseguenza, della terra e dei suoi abitanti. Secondo John Barton, “La Bibbia è al centro della cultura occidentale: per le due fedi che la considerano sacra è il fondamento della religione, l’autorità su cosa credere e come vivere la parola di Dio”. I due grandi movimenti religiosi che condividono la loro fede in essa, il cattolicesimo e il protestantesimo, hanno un diverso rapporto con questo libro. Per i cattolici è un testo pressoché sconosciuto, in quanto nel corso dei secoli le gerarchie non hanno voluto che il “popolo” potesse attingervi liberamente, ritenendolo incapace di comprenderne la complessità, e vi hanno sostituito il Magistero che faceva delle autorità ecclesiastiche le uniche autorizzate a mediare fra il singolo fedele e Dio, nel nome del quale – enorme responsabilità – impartivano il perdono divino ai penitenti, facendo della confessione un potente strumento per l’esercizio dell’autorità.
Sull’altro versante, però, le cose non sono andate poi tanto meglio, in quanto la “libertà” di leggere la Bibbia concessa ai protestanti ha favorito l’insorgenza di un numero incalcolabile di sette religiose, molte delle quali dalle caratteristiche veramente preoccupanti come, con dovizia di particolari, illustra un recente lavoro del nostro Direttore, Achille Aveta, al quale rimando.
Ritornando al testo ritenuto “sacro”, sono pienamente convinto che solo chi non conosce e non l’ha mai letto per intero, possa definirlo così. La Bibbia è divisa in due parti: l’Antico e il Nuovo Testamento, ovvero le Scritture Ebraiche e quelle Greche, dalle lingue nelle quali i due testi ci sono stati tramandati. Se per il momento rivolgiamo la nostra attenzione alla prima parte – non dimenticando mai che il suo Autore è lo stesso della seconda – ci troviamo di fronte all’imbarazzante scoperta che il suo contenuto, contrariamente alla caratteristica dell’immutabilità attribuita a Dio, è un insieme di contraddizioni e di incoerenze, che nessuna Costituzione potrebbe mai accettare a fondamento di uno stato moderno. Si prenda, per esempio, la “summa” più nota di questo testo, ovvero i Dieci Comandamenti o Decalogo, e si legga il quinto: Non uccidere. Sorge la domanda: non uccidere chi? Perché tutto il seguito degli altri libri – per esempio Giosuè – non è altro che un comando imperativo allo spargimento di sangue, allo scannamento di uomini, donne e bambini, colpevoli soltanto di non essere ebrei e di risiedere da secoli su terre che agli ebrei piacevano. Il Dio del Vecchio Testamento è una sorta di Hitler al contrario, e le sue leggi sono una sorta di documento sulla razza. Non vale a nulla cercare di giustificare il tutto con il fatto che quelle leggi erano dettate per venire incontro a un popolo ancora primitivo e che bisognava tenere conto di usi e costumi del tempo. Ma se le leggi di Dio devono adattarsi alle caratteristiche umane, allora a che servono?
Passiamo al decimo comandamento: “Non desidererai la casa del tuo prossimo, non desidererai la moglie del tuo prossimo, il suo servo, la sua serva, il suo bue, il suo asino, e tutto quello che è del tuo prossimo”. È facile notare come, agli occhi del Dio delle Scritture Ebraiche, la donna – la moglie – non è altri che una proprietà dell’uomo, come il bue e l’asino, concetto che il trascorrere del tempo non servì a modificare. Diversi secoli dopo, infatti, per bocca del grande “apostolo delle genti”, il vero fondatore del Cristianesimo, apprendiamo che, “Voglio che sappiate che il capo della donna è l’uomo … ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo manca di riguardo al suo capo come se fosse rasa … né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo, per questo la donna deve portare un segno di dipendenza sul capo … come in tutte le chiese dei santi, le donne nelle assemblee tacciano, non si permetta loro di parlare, ma stiano sottomesse, come dice anche la legge [di Dio]. Ché se vogliono apprendere qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti. È disdicevole per una donna parlare in assemblea” (chissà cosa ne pensano le devote luterane Angela Merkel e Ursula Von der Leyern).
Una condizione del genere, per la donna, oggi la troviamo fra gli esecrati Talebani, e nessuno stato occidentale si sentirebbe di assecondarla. Ma è la Parola di Dio. Qualcuno si sognerebbe mai di applicarla oggi? E che dire del noto episodio riguardante la città di Sodoma, colpevole di ospitare una comunità di LGBT? Il punto di vista di Dio, anche in questo caso, non presenta ombre: vanno sterminati! “Allora il Signore fece piovere sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore, dal cielo. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti della città e la vegetazione del suolo” (Genesi, cap. 19). Anche nel libro “sacro” del Levitico (20:13) viene stabilito che, “Chiunque abbia giaciuto con un uomo come giace con una donna … siano messi a morte”. Anche in questo caso, il Cristianesimo, con grande coerenza, non cambiò una virgola. Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, li informò che, “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né gli impuri, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati … erediteranno il regno di Dio”. E, per evitare fraintendimenti, parlando ai Romani di “turpitudini di uomini con uomini, questo “grande” apostolo aggiunge che “coloro che compiono tali azioni sono degni di morte”. Non ci si meraviglia, quindi, che in una nazione protestante come il Regno Unito, fino al 1952, l’omosessualità fosse considerata un reato, fatto che spinse al suicidio una delle menti più brillanti della nazione: quella di Alan Turing.
Qualche paragrafo più in alto abbiamo parlato della schiavitù che ha a lungo caratterizzato, tristemente, la storia degli Stati Uniti, ma non abbiamo fatto menzione del fatto che quel paese, in effetti, non stava facendo altro che applicare la disposizione divina della schiavitù: “Lo schiavo e la schiava di tua proprietà vi verranno dai popoli che abitano intorno a voi … essi saranno vostro possesso. Li lascerete in eredità ai vostri figli dopo di voi” (Levitico, cap. 25) E, a proposito del quinto Comandamento, esso non si applicava agli schiavi: “Se uno colpisce il suo schiavo o la sua schiava con un bastone e muore … se tuttavia reggono un giorno o due non saranno vendicati perché sono suo denaro”.
L’avvento del Cristianesimo, con la sua esortazione a “conoscere la verità che vi renderà liberi” (Giov. 8:32), non apportò nessun cambiamento a questa pratica disumana che assimilava degli esseri umani a semplici oggetti di consumo. Anzi. Tanto è vero che Paolo invitò lo schiavo fuggiasco di un padrone cristiano a ritornare a sottomettersi alla sua condizione di schiavo (Lettera a Filemone). Addirittura egli esorta gli schiavi cristiani a “essere con maggiore prontezza schiavi dei loro padroni”. E, a corollario di quanto fosse disumana la cosiddetta “parola di Dio”, non trascuriamo di menzionare la famigerata “legge del taglione”, secondo la quale, “Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui la stessa lesione che egli ha fatto all’altro: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente, gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro” (Levitico, cap. 24).
Concludiamo cogliendo l’opportunità di menzionare i tremendi “venti di guerra” che dopo decenni di pace soffiano minacciosi sul continente europeo e sullo scacchiere internazionale, per fare un confronto fra la “sacra parola di Dio” e le leggi umane. La nostra Costituzione, all’articolo 11, così recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Tutt’altra musica rispetto al punto di vista biblico, secondo il quale “il Signore è prode in guerra” (Esodo, cap. 15), è “il Dio degli eserciti”, è “il Signore potente in battaglia” e “avanza come un prode, come un guerriero eccita il suo ardore, grida, lancia urla di guerra”. Sembra la descrizione di Putin o di Tamerlano piuttosto che del “Dio della pace” invocato dai credenti. L’intero Vecchio Testamento è straripante di incitazioni alla guerra; guerra nella quale “Dio cammina con voi per combattere contro i vostri nemici” e nella quale dopo avere sconfitto i nemici “li voterai allo sterminio … né farai loro grazia” (Deuteronomio, cap. 20).
Per concludere questa carrellata sulla “parola di Dio”, ricordiamo che la collezione dei “libri sacri” si conclude con quello dell’Apocalisse, nel quale è vividamente descritta la battaglia di Armaghedon, la “guerra del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”, nella quale avrà luogo il più grande spargimento di sangue della storia dell’umanità ad opera di Gesù Cristo, il “Principe della pace”.
Ritornando, quindi, alle parole di John Barton, secondo il quale “i credenti la ritengono spesso ispirata da Dio e una fonte più che autorevole in materia di fede e prassi”, mentre “anche i non cristiani continuano a esserne affascinati, noi oggi non possiamo non concludere che se essa fosse realmente la fonte e il fondamento sul quale i popoli dovrebbero basarsi, ciò rappresenterebbe una iattura senza precedenti. Per cui, sebbene non vi sia alcun dubbio che la Bibbia è un monumento letterario di fondamentale importanza, e una raccolta di testi impareggiabili per comprendere il passato, alla luce di quanto abbiamo visto, che ha dimostrato abbondantemente la sua origine squisitamente umana, ha ancora senso definirla “la Parola di Dio”, che ci comanda di “ubbidire a Dio quale governante anziché agli uomini?” (Atti 5:29).
Articolo calzante e sul quale credenti e non credenti sono invitati a riflettere. Complimenti.