La rielezione di Mattarella ci offre l’occasione per ricordare come si siano affermate negli ultimi anni alcune informazioni distorte sulla corretta applicazione della nostra Carta Costituzionale. L’ultima di queste fake news (perché tali diventano per la maggioranza degli italiani, ignara o poco avvezza a riflessioni giuridiche) è stata, per l’appunto, la non rieleggibilità del Capo dello Stato. Concetto in parte indotto dallo stesso comportamento di Mattarella forse eccessivamente rispettoso del senso più profondo della norma costituzionale che limita a sette anni il mandato presidenziale. I fatti hanno poi dimostrato che la rielezione era perfettamente compatibile col dettato costituzionale, come peraltro già provato in occasione della conferma di Giorgio Napolitano. In proposito occorre semmai precisare che la Costituzione non prevede una limitazione del settennato di presidenza, come qualcuno suggeriva immaginando un “ticket” tra Mattarella e Draghi. Inutile evidenziare che la presunta incostituzionalità della rielezione di Mattarella è stata strumentalmente ventilata da chi vi si opponeva. Ed è doloroso dover constatare come questa erronea interpretazione non sia stata quasi mai smentita dai vari commentatori che hanno affollato gli schermi televisivi: per quanto riguarda i conduttori non c’era da aspettarselo perché si guardano bene dal privare i loro format di tutto ciò che può alimentare scontri vivaci, utili a tenere alto lo share.
La stessa cosa si ripete, ormai stancamente, da decenni sul falso problema sollevato periodicamente da chi lamenta che il premier in carica non è stato eletto dal “popolo sovrano”, nell’intento di minarne la legittimazione. Anche questa opinione, del tutto infondata, non viene contraddetta dall’intervistatore o dal conduttore di turno: mai che si levi dai teleschermi una voce che chiarisca, una volta per tutte, che la Costituzione lascia totalmente libero il Presidente della Repubblica nella scelta della persona cui affidare l’incarico di formare il governo. Naturalmente non sarà incaricato uno sconosciuto ma un personaggio capace di ottenere la fiducia da entrambi i rami del Parlamento. Va piuttosto segnalata la grave forzatura, ormai metabolizzata anche dagli elettori, della designazione dei candidati premier durante le campagne elettorali da parte dei partiti di rispettiva appartenenza perché rappresenta un limite o comunque un condizionamento alla libertà del Presidente di affidare l’incarico di governo alla persona da lui ritenuta più idonea. Tanto per non allontanarci troppo dall’attualità, per quale ragione all’indomani delle prossime elezioni l’incarico di formare il nuovo governo dovrebbe spettare a Salvini, notoriamente divisivo, piuttosto che a Giorgetti, anima dialogante della Lega, solo perché il simbolo del partito propone il primo dei due?
Un altro classico della disinformazione in materia istituzionale è quello di considerare delegittimato il Parlamento quando la cosa conviene ad una parte politica. Quello attualmente in carica lo sarebbe per almeno due motivi il primo dei quali è che la modifica costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari è ormai in vigore, per cui l’attuale assetto numerico sarebbe incostituzionale. Il secondo motivo poggia, in genere, sui sondaggi elettorali tutte le volte che fanno registrare significativi mutamenti nell’orientamento politico degli elettori. Di questi mutamenti il Presidente della Repubblica, secondo i partiti che si vedono in ascesa nei consensi, non potrebbe non tener conto e quindi dovrebbe sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni. Lo scioglimento delle assemblee parlamentari in questi casi risulta peraltro molto discussa in dottrina, ma allo stato attuale non esistono scostamenti tali da indurre il Capo dello Stato a un passo già così discusso per cui la delegittimazione è totalmente pretestuosa. Qualcuno ventilò lo scioglimento anticipato delle Camere anche a seguito della dichiarazione di incostituzionalità del “Porcellum” da parte della Corte Costituzionale. Tutte motivazioni destituite di ogni fondamento: la legislatura dura cinque anni e la facoltà di sciogliere le Camere spetta esclusivamente al Capo dello Stato
La realtà è che, complice la cattiva informazione, si va sempre più scivolando verso lo svuotamento della Costituzione per affermare un incerto e pericoloso concetto di “costituzione materiale” che vede ampliare i poteri del Capo dello Stato e dell’esecutivo a detrimento di quelli del Parlamento. Ne sono prova l’abuso, non sempre giustificato dall’urgenza o dall’emergenza, dei decreti legge e la tentazione di rafforzare di fatto i poteri del Presidente della Repubblica, come adombrato da Giorgetti in vista del passaggio di Draghi al Quirinale, poi scongiurato dall’esito elettorale. E l’impressione diffusa è che una parte della politica attribuisce la sua crisi alla Costituzione e quindi fioccano proposte e progetti volti a modificarla assoggettando, ad esempio, senatori e deputati al vincolo di mandato nei confronti dei partiti che li hanno candidati. Tutto tende, in definitiva, ad imprigionare i rappresentanti eletti dal popolo nelle maglie delle segreterie di partito o, peggio ancora, dei segretari unici privilegiando il progetto, in sé antidemocratico, di “un uomo solo al comando”. Nella medesima prospettiva si fomenta l’introduzione del presidenzialismo malgrado che, anche storicamente, questa forma di struttura istituzionale abbia dato pessima, e spesso tragica, prova di sé.
Per ridare centralità al Parlamento occorre piuttosto ridurre il potere dei partiti e la strada da percorrere non può che essere quella di ripristinare le preferenze nelle elezioni politiche, cosa peraltro doverosa da quando nel 2013 la Corte Costituzionale dichiarò, come già detto, incostituzionale il Porcellum anche con riferimento all’impossibilità per l’elettore di esprimere preferenze. Si tratta in pratica di rivitalizzare negli eletti al Parlamento la responsabilità verso i propri elettori riducendo quella oggi interamente rivolta ai partiti. Non basterà ma è un primo passo indispensabile ora che ci si accinge a cambiare la legge elettorale.