Fin dalla rivoluzione agricola (circa 12.000 anni fa) – quando l’uomo cacciatore-raccoglitore adotta uno stile di vita più stanziale, procacciandosi le risorse alimentari con l’agricoltura e l’allevamento, non avendo più necessità di spostarsi per la caccia e la raccolta di frutti e piante – il genere umano, anche grazie all’affinamento delle sue capacità cognitive dovute alla maggiore cooperazione e alla migliore dieta ricca di proteine, ha avvertito sempre più la necessità di migliorare la sua condizione. Un miglioramento che, rispetto all’epoca moderna, è progredito nei millenni con una lentezza esasperante.
Ai milioni di anni dell’industria litica, infatti, seguirono millenni per l’invenzione della ruota (5000 a.C.), l’aratro (3500 a.C.) e la formazione dei primi agglomerati urbani (la città di Ur in Mesopotamia risale al 3800 a.C.). Poi vennero le grandi civiltà (Egitto, Grecia, Roma) che con la scoperta del ferro (4000 a.C. circa) e la fabbricazione delle armi rivoluzionarono l’assetto territoriale con le loro conquiste e la loro eredità artistica. Poi… tutto ristagnò per secoli, tranne qualche voce isolata, ignorata o messa tacere.
Erano iniziati i secoli bui, l’epoca dei generatori di illusioni: i dogmi, la fede, l’autorità, il carisma, il misticismo, le visioni, le sensazioni istintive, l’ermeneutica dei testi sacri. Insomma l’epoca di papi, imperatori, alchimisti, visionari, roghi delle streghe, crociate, riforme e controriforme. Finché… Alcuni uomini di genio, perlopiù pensatori, filosofi o naturalisti, stimolati dalla condizione umana, sempre subordinata a qualcosa di esterno al quale aveva accesso solo un’autorità o un dogma, cominciarono a mettere al centro delle loro speculazioni l’uomo, come creatura dotata di ragione e capacità di autodeterminazione. Non a caso infatti il motto dell’Illuminismo (il periodo storico di cui stiamo parlando) è “Sapere Aude (osa comprendere)!” (Kant) per rivendicare la libertà di parola e di pensiero, perché solo così l’uomo può uscire da uno stato di minorità da imputare a lui stesso. Ebbe così inizio l’epoca di Newton, Galileo, Cartesio, Keplero, Watt, Linneo, Vesalio, Volta, Harvey ed altri che con le loro scoperte impressero il definitivo sigillo a un periodo (la fine del XVIII secolo) di scoperte e invenzioni che non ha più conosciuto battute d’arresto. E tutto questo grazie all’affermarsi della scienza, la disciplina che è stato il vero motore del progresso e del processo di modernizzazione dei cui frutti continuiamo a godere.
La scienza però non è un modo naturale e intuitivo per spiegare i fatti e trovare soluzioni e applicazioni che possono essere utili. Anzi le spiegazioni controintuitive e controfattuali di un fenomeno – attraverso l’elaborazione di punti di vista alternativi e la costruzione di modelli astratti per organizzare, sperimentare e confrontare i dati e scoprire le cause – si sono affermate come l’unica via maestra da intraprendere per arrivare alla possibilità di avere una risposta plausibile e ripetibile. È il cosiddetto metodo scientifico che si fonda principalmente sullo scetticismo, sulla falsificabilità (K. Popper) dei dati e sulla ripetitività dei risultati. Solo così gli scienziati hanno svelato i meccanismi della materia, della vita e della mente.
Ad esempio, nel mio campo, esso viene applicato ai trials clinici multicentrici randomizzati a doppio cieco, quando si vuole testare l’efficacia di una cura. In pratica si scelgono due gruppi a caso (random) come età, sesso e comorbilità, a uno dei quali viene somministrata la molecola oggetto di studio e all’altro un placebo. I gruppi e gli sperimentatori che praticano la terapia non sanno ovviamente a chi è stato dato il placebo e a chi il farmaco (doppio cieco). Poi c’è una commissione esterna a conoscenza dello studio, che valuta i risultati. Ecco il motivo per il quale tante terapie alternative (prima fra tutte l’omeopatia: negli U.S.A. da molti anni c’è un premio – non ancora ritirato – da un milione di dollari per chi dimostra che in un farmaco omeopatico non c’è solo acqua), sorrette solo dalla sporadicità dei risultati, non hanno mai superato le prove delle evidenze dei dati su cui si basa il metodo scientifico. Ma bisogna fare sempre molta attenzione a non essere vittima del bias di conferma, a proposito di falsificabilità, cioè raccogliere oltre i dati che confermano una teoria, anche quelli che la smentiscono. E grazie alla scienza è iniziato il processo di modernizzazione, che ha favorito l’ascesa di valori emancipativi, con una transizione verso una gerarchia di bisogni che hanno avuto una rapida ridefinizione soprattutto negli ultimi cinquant’anni. A parte il bisogno primario della sopravvivenza, la libertà è diventata primaria rispetto alla sicurezza, la diversità rispetto all’uniformità, la creatività rispetto alla disciplina, l’autonomia rispetto all’autorità, l’individualità rispetto al conformismo. Ed è stato certamente questo circolo virtuoso – senza confondere la causazione con la correlazione – che ha portato all’affermarsi di sistemi politici liberali e di valori come la libertà, la sicurezza e l’istruzione, i cui effetti sono stati una società meno razzista, sessista, xenofoba, omofoba e autoritaria.
Un progresso caratterizzato da un andamento cumulativo, non ciclico (dove si ha alternanza di perdite e guadagni) che ha inoltre favorito longevità, salute e più reddito. Basta pensare che fino a 200 anni fa solo l’1% della popolazione mondiale viveva in un paese democratico, oggi ci vivono i due terzi. La scolarizzazione, la salute e la ricchezza ci hanno resi anche più intelligenti di 30 punti sopra i nostri antenati. Ai detrattori di questa epoca e dei suoi doni ed ai ricorrenti titoli dei giornali che terminano con un punto interrogativo (Andiamo verso un lungo e inarrestabile periodo di crisi? La nostra salute è sempre più compromessa? L’olocausto nucleare è prossimo? Dove ci porterà l’erosione della famiglia, della tradizione, della religione e della comunità di una volta?) si può rispondere con un enfatico no! Non stiamo precipitando verso la catastrofe, come quell’uomo che cadeva dal tetto e, passando per ogni piano, diceva “per adesso tutto bene”.
Certamente la scienza, almeno nel breve termine, non porrà rimedio a tutti i problemi della nostra epoca (circa un quarto della popolazione è denutrita, un milione di bambini muoiono ancora ogni anno di polmonite, diarrea, malaria, morbillo e AIDS e un quinto manca di istruzione di base, le foreste tropicali continuano a ridursi, così pure la biodiversità delle specie viventi vittime di estinzione, nell’atmosfera continuiamo a sversare biossido e monossido di carbonio oltre all’anidride solforosa), ma di certo siamo più attrezzati che in passato per trovarne le soluzioni, proseguendo nel dare continuità a quel progresso che è iniziato in maniera così perentoria solo da poco meno di tre secoli.